di SERGIO DRAGONE
Dieci anni. Sembra passato un secolo eppure il ricordo di Lea Garofalo, collaboratrice di giustizia spietatamente eliminata dalla ndrangheta, è ancora vivo. Almeno nel cuore e nella mente di chi non si rassegna ad un Calabria chiusa e sottomessa allo strapotere mafioso. L’impressione che mi sono fatto è che il ricordo di Lea sia vissuto quasi con fastidio nella nostra terra. Sarà per paura, sarà per rassegnazione, sarà per inerzia. Non posso dimenticare che i funerali della nostra conterranea vennero organizzati a Milano dal sindaco Giuliano Pisapia nell’indifferenza generale delle istituzioni calabresi.
A Catanzaro, Lea è ricordata con l’intitolazione di un giardino pubblico, nel quartiere San Leonardo, e con una bella installazione della talentuosa scultrice Cinzia Nania dal titolo “Il coraggio di parlare”. E’ stata una bella iniziativa, di cui vado fiero, che io e Cinzia abbiamo portato avanti con passione civile.
La scultura di Cinzia è ancora lì, fortunatamente rispettata. Mi auguro che qualcuno, mettendo per un attimo da parte gli affanni della politica praticata, si ricordi di deporre almeno un fiore.
Lea Garofalo è diventata sua malgrado il simbolo del riscatto della nostra terra. Non aveva la vocazione della martire, ma purtroppo lo è diventata. Il destino le ha assegnato questo compito: martellare, con il suo ricordo, le nostre coscienze.
Nella giornata del decennale del suo brutale assassinio, la RAI ritrasmette la fiction di Marco Tullio Giordana che qualche anno fa ha suscitato molte polemiche. Riguardiamola con occhio attento e critico, rivolgendo al Signore una preghiera per Lea.
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