Diritto alla salute, Bilotti ospite di un convegno internazionale per esigere "cure accessibili, plurali, universali"
Domenico Bilotti
19 gennaio 2022 19:15
di DOMENICO BILOTTI
Ci occorre uno scatto di mentalità per abbandonare la dicotomia emergenza (permanente)/normalità (perduta). Ci serve cogliere quanto e in che termini la pandemia ha consentito piuttosto di additare -e ferocemente- tutto quello che ha reso la nostra "normalità" così fragile, attaccabile, minacciata, nella sua tenuta materiale e immateriale. Con questo spirito la Barry Law School di Orlando e la prestigiosa Texas University School of Law hanno chiamato a raccolta molti tra i più apprezzati cultori di discipline giuridiche pubblicistiche per fotografare lo stato dell'arte e vedere come il diritto - tanto le libertà che assicura quanto i limiti che impone - possa aiutarci a fronteggiare la fase in cui (ci) siamo immersi.
Ho accolto l'invito con entusiasmo e favore, nonostante sia facile prevedere che il livello degli spunti costringerà a uno sforzo di apprendimento, aggiornamento e approfondimento chi, come il sottoscritto, non può certo accampare i galloni degli altri illustri relatori. E l'appuntamento texano-atlantico ha certo un significato speciale per chi lavora in un ateneo quale quello catanzarese, dove tanto i corsi di laurea in medicina quanto quelli in giurisprudenza hanno avuto e hanno un riconoscimento, un prestigio, una capacità di risuonare buona ricerca fuori dai propri confini: medicina e diritto, cura e legislazione, sapere scientifico, farmacologico, diagnostico, e argomentazione legale, hanno dimostrato in questi due anni a quali e quante intersezioni obbligate siano sottoposte dal ritmo della quotidianità. Se in più settori lo avevamo colto con fastidio (un'alluvionale concezione litigiosa della colpa medica che forse oscura dietro i tanti proclami i casi veri e concreti della cd. mala sanità),
oggi siamo a una sfida che impegna più generazioni.
La pandemia ha messo sotto stress i sistemi regolativi. Dove ci sono state le maggiori restrizioni, non sempre i casi sono stati minori; non per forza però l'approccio tollerante, basculante, ha prodotto frutto se non si è appellato a una seria disamina delle occasioni di contagio e a un forte senso di responsabilità collettiva - come è nella natura tipicamente sua propria del diritto alla salute.
Il sistema cinese ci si è offerto in tutte le sue enormi contraddizioni: efficacia nei tracciamenti di massa, ma incisione aggressiva su libertà individuali e collettive, debolezza della risposta vaccinale, deficit informativo nella fase primigenia del morbo. Quella, per capirci, dove i decessi sono stati proporzionalmente di più. La repubblica cinese, come qualunque Stato (l'Italia, gli Stati Uniti, la Francia, chicchessia), è forse
oggi indietro sul fare di necessità virtù, degli interdetti occasioni di autocritica e miglioramento. Al capo opposto, probabilmente la Gran Bretagna, che, dalla Brexit in poi e col boom del coronavirus ancora di più, ha ripristinato un bislacco isolazionismo, che la ha portata almeno tre volte in questi due anni a cercare di raggiungere una fantomatica e sfuggente immunità di gregge "anticipata". E lo stesso sistema statunitense non sempre ha dato bella prova di sé: sulla pandemia si sono scaricate parti di opinione pubblica che ormai sembrano parlare due linguaggi diversi; chi ha negato il contagio, l'utilità dei vaccini, le misure tutte, è poi finito in piazza, esercitando proprie libertà democratiche, contro le altrui libertà democratiche.
E tuttavia a chi ha subito devoluto la visione politica della crisi alla sola statistica epidemiologica non può non rimproverarsi l'aver dimenticato molte delle opprimenti necessità sociali sottese, che andavano al macero tra un grafico e l'altro: tutela del risparmio, difesa del reddito, diseguaglianze sociali, conflittualità inter-etnica e inter-religiosa. Abbiamo poi visto dappertutto montare in alcuni ambienti di asseriti richiami religiosi (e fondamentalmente estranei però alla vita delle fedi collettive e al vissuto della più parte dei loro seguaci) un feroce sentimento contemporaneamente antipolitico e antiscientifico che poco ha in comune col disagio economico di chi è stato penalizzato dalle varie risposte governative o coi problemi di salute effettivi, che hanno allontanato in troppi da cure più mirate e universali.
Con questo spirito, il Forum Costituzionale di Orlando ci spinge a ritrovarci, il 25 febbraio, giuristi di ogni continente e di ogni cultura, a rimodulare un patto costituzionale che ponga la salute al vertice delle prestazioni a favore della persona, mediante cure accessibili, plurali (modulabili cioè secondo specificità psicofisiche) e universali. Oltre settanta studiosi chiuderanno i lavori con questo appello alle istituzioni competenti.