Documentari in Calabria: con l’archeologia si raccontano le continue trasformazioni del territorio

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Francesco Mollo e Antonio Martino
  02 settembre 2022 13:13

Riappropriarsi del passato per proiettarsi in un futuro più armonico. È questo l’obiettivo di un documentario finanziato dalla Calabria Film Commission. Il regista Antonio Martino, originario di Sant’Anna di Isola Capo Rizzuto, ha scritto un soggetto a quattro mani con il giornalista Francesco Mollo, intitolato “Askos, il canto nefasto della sirena”.

Un interessante documentario che racconta, attraverso l’archeologia, le continue trasformazioni del nostro territorio negli ultimi 100 anni. Il setting è costituito dal territorio del marchesato crotonese, con le sue bellezze e le sue contraddizioni, e come attraverso la ricerca forsennata di progresso e modernizzazione ha reciso le radice del passato. Il pretesto narrativo del film traccia la storia del ritrovamento, della commercializzazione clandestina, dell’esposizione al Paul Getty Museum di Malibù e infine del rientro presso il museo archeologico di Crotone dell’Askos, un unguentario cerimoniale a forme di arpia (sirena).

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Il messaggio simbolico dell’Askos è quello della morte e della rinascita, legato ai culti di Persefone. Offre uno spunto di riflessione sulle vicende storiche e sociali del territorio calabrese, dove emerge con forza lo scontro tra progresso e tradizione negli ultimi 100 anni. Ci si è spinti al massimo verso il progressismo, distruggendo i parchi archeologici, quello che c’era prima, facendo le industrie che hanno sfregiato l’antica Kroton. La riforma agraria ha trasformato il territorio. Negli anni sessanta è stato raso al suolo lo strato di calpestio del terreno  con conseguente dispersione di tesori e reperti archeologici in nome di un agognato progresso. Il film racconterà anche l’attività del nucleo di tutela del patrimonio culturale del carabinieri. Esiste, infatti, un piccolo drappello di carabinieri che, da anni, combatte contro chi scava illegalmente ma anche contro i più importanti musei del mondo, che vanno orgogliosi della propria collezione di reperti archeologici di origine magnogreca o romana, come appunto  l’Askos di Strongoli.

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L’Askos di Strongoli è rientrato in Italia nel 2007 dopo l’accordo tra il governo italiano e il Paul Getty Museum che ha restituito altri 40 reperti detenuti illegalmente. A fronte di qualche successo, tuttavia, il lavoro di recupero del patrimonio è tutt’altro che facile. In molti casi, anche di fronte alle schiaccianti prove della provenienza illegale del reperto esposto, i musei stranieri non restituiscono i beni. In questi giorni, proprio in concomitanza della apertura della nuova campagna di scavi a Strongoli, si sta girando il documentario prodotto da LAGO Film e Solaria Film e il placet dell’Arma dei Carabinieri e della direzione Musei delle Calabria del Ministero della Attività e dei Beni Culturali. Un particolare focus narrativo è dedicato alla ricostruzione della vicenda dell’unguentario di Strongoli - che dalla terra di Murge è tornata al Museo Archeologico di Crotone, passando per Svizzera e Stati Uniti – affrontando anche l’antico conflitto tra tradizione e modernità, tra patrimonio storico e progresso tecnologico, dunque tra radici e futuro.

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«Ammaliati dal canto della sirena del progresso e del consumismo – dice il regista Antonio Martino – i calabresi hanno trascorso l’ultimo secolo a rimuovere l’idea di povertà e arretratezza e, con esse, anche il passato: il desiderio di modernità ha travolto tutto, recidendo le radici e distruggendo anche le vestigia di una antica modernità: quella magnogreca». «Questo bisogno di affrancamento dal vecchio ha coinvolto anche la storia della regione, antica e moderna. L’imperativo della modernizzazione turbo-capitalista ha completamente travolto il territorio: le infrastrutture viarie, la meccanizzazione dell’agricoltura, l’industrializzazione hanno devastato ampie aree ricche di tracce magnogreche, romane e bruzie. E su ciò che è rimasto ha operato più l’archeologia illegale dei tombaroli che quella ufficiale della Soprintendenza. Nella quasi indifferenza o nel consenso della popolazione non informata del potenziale di sviluppo che da questo settore avrebbe potuto derivare alla Calabria, che invece ha continuato a inseguire modelli di modernizzazione “esterni”».

Il regista Antonio Martino è vincitore del Premio Produzioni Indipendente Ilaria Alpi 2007 (con Gara de Nord_copii pe strada), è un filmmaker laureato al DAMS – Università di Bologna. Dal 2005 dirige film documentari d’autore su temi ambientali, sociali e politici: “Valentin, figlio d’Europa” (2019, documentario è andato in onda su Doc3 | Rai3 e sul programma 25 Nuances De Doc sul canale France 2); “Abu Salim - Freedom is not cheap” (LibIa, 2017);  “The Black Sheep” (Libia, 2016, trasmesso da Doc3 | Rai3); “Quello che resta” (Bosnia, 2014); “Isqat al Nizam_ai confini del regime” (Siria, 2012, coprodotto da Doc3 | Rai3) ; “Nìguri” (Italia, 2009); “Be water, my friend” (Uzbekistan, 2009); “Pancevo_mrtav grad” (Serbia, 2007);  “Gara de Nord_copii pe strada” (Romania, 2005). Il giornalista Francesco Mollo è anche È fotografo freelance corrispondente delle agenzie foto-giornalistiche Fotogramma e Agf Foto e videoreporter per l’agenzia AdnKronos. Si è sempre occupato di tematiche sociali. Vive e lavora tra Berlino e Joggi (Cosenza) Nel 2014 per Lago Film ha scritto il documentario “Mix Up” (per la regia di Alessandro Gordano), che racconta di quattro donne rifugiate nelle loro cucine mentre provano a riallacciare i fili delle loro vite spezzate attraverso le tradizioni culinarie dei loro paesi di origine. Nel 2021 è stato aiuto regia per il documentario “Il tempo rimasto” di Daniele Gagliano (prodotto da Zalab).

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