Domenico Bilotti: Lollobrigida, diva di tutti e diva di sé 

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Domenico Bilotti
  16 gennaio 2023 16:23

di DOMENICO BILOTTI
 
Forse "Les Lollo", come la chiamavano con vezzeggiativo vagamente maschilista in Francia, alludendo al petto giunonico, si sarebbe corrucciata, da diva degli anni migliori, a scomparire a 95 anni lo stesso giorno della cattura di un latitante di mafia (che di anni uccel di bosco ne aveva ammassato la rispettabile cifra di addirittura trenta: "trovato" in una nota clinica palermitana). E già: le agenzie di stampa volano, e Francia, Stati Uniti e Oriente che molto la hanno amata a dare l'apertura all'Italia dovevano selezionare. E lì batte grancassa l'Italia da copertina, il piatto di spaghetti e la P38. Non più il grande cinema e le grandi attrici. Concediamoci subito una eresia preliminare: a nostro avviso, la Lollobrigida era più brava della Loren. La divina, prorompente, Sophia è diventata da decenni la brava signora di casa di tutte le stagioni: televisiva, invecchiata, può celebrare indifferentemente il prosciutto o l'Oscar a Benigni. La Lollo, no. Le sue ultime incarnazioni pop sono state una gloriosa fata turchina nel nostro miglior Pinocchio televisivo, ultraquarantenne e davvero per mezzo secolo addietro ancora ben più che ostile all'invecchiamento, e un tuffo in Love Boat che sconfinava nel trash del decennio perduto: gli anni Ottanta in cui dovevano convivere le icone della rivolta e della televendita. 
 
Poi era fondamentalmente scomparsa da progetti a lei specificamente relativi: can can di dichiarazioni, vicende matrimoniali, ospitate. Ma il soggetto e la cinepresa pressoché mai più: il monumento stordito non è andato in onda, quello altolocato imborghesito e normalizzato non è mai esistito, s'è conservato un tempo e un immaginario che riscoperto oggi non sembra affatto né vecchio né smorto, né trascurato né annalistico. 
 
Bordate indifendibili sempre tra i denti, la Lollobrigida che talvolta sbraitava nelle conferenze stampa era in fondo la sua gente e la sua patria: la rampogna tirata da fuori, lo sdegno esibito da dentro. E però quanta classe nei suoi ruoli più articolati, quanta capacità di incarnare immaginario e smuovere regie, sceneggiatori, premi, riviste, dal gossip all'avanguardia (quest'ultima più ieri che oggi). 
 
Forse vanesia e civetta, ma nel senso delle vedette nelle canzoni di Jeff Beck e Bob Dylan, Gina Lollobrigida era la discepola del trucco che avrebbe potuto abolire i truccatori: così naturalmente intuitiva, come la Vitti a trovare la caratterizzazione e la Antonelli a sposare un idioletto, a calzare perfettamente i fisici (il corpo) richiesto alla parte. Spettinata, frenetica e icona romantica in "Cuori senza frontiere": Italia della Repubblica frontista e antifascista, poveraccia e popolana. Il nudo da pin up vaporosa in "Le bambole"; l'immaginario maschile da café Pigalle ne "La donna più bella del mondo". Che tempi, che mondi, che cinema, che non ci consolava alla sopportazione del sopruso consueto, ma che ci affrescava in ciò che facevamo: muoverci sempre, anche a costo di non avanzare d'un passo.
 
La ricordiamo, allora, noi, col coccodrillo che si porge in dono alle grandi notizie. Alle grandi artiste. Che questo era stata e che da questo sia ricordata, pazienza se proprio oggi in terza pagina. 

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