Presentato il libro dello scrittore girifalcese
21 settembre 2020 16:56di NICOLO' VITO GALLELLO
I ruderi del castello normanno-svevo, a Squillace, hanno ospitato la presentazione del nuovo libro di Domenico Dara, “Malinverno” edito da Feltrinelli.
L’autore ne ha discusso con la giornalista Carmela Commodaro davanti ad un pubblico interessato e partecipe. La serata è stata impreziosita dalla performance canora di Tony Schito e da Maria Macrì che ha deliziato il pubblico leggendo alcuni estratti del romanzo.
Lo scrittore nativo di Catanzaro, cresciuto a Girifalco vive e lavora al Nord, ha vinto numerosi premi ed ha ottenuto molteplici riconoscimenti nazionali. Carmela Commodaro lo ha definito: "un pezzo forte della scrittura"; con il romanzo Maliverno è alla sua terza opera letteraria, uscita da poco e già molto richiesta.
Domenico Dara è ormai un autore maturo, un osservatore acuto che ricerca gli intrecci, le storie. Chi si accosta alla scrittura è, secondo l’autore, colui che è dotato di giudizio etico che manifesta servendosi di “un occhio corrotto” per osservare la società e indagare le pieghe del mondo cogliendone sfumature e dinamiche invisibili ai più.
Tale azione viene compiuta proprio da Astolfo Malinverno, il protagonista del romanzo. Questi viene al mondo “alle ore 6 e 26 del 30 di novembre del 1935" e, a causa di una malformazione congenita, infatti, ha una gamba più lunga dell’altra, sarà destinato, forse, a vivere una vita infelice.
Il nostro Astolfo rifugge la vita reale e i suoi drammi ricercando la vita immaginifica del racconto. È incantato dalla narrazione, dalla parola, dalla ricerca dei termini, dalla finezza del gesto del raccontare, dai fatti di cronaca, dalle storie che la mamma, Catena Malinverno, gli racconta sin da piccolo e che riguardano il suo paese – Timpamara- nel quale si sviluppa la vicenda e ruota il mondo del nostro protagonista.
Il senso di incompletezza e inadeguatezza che caratterizza il personaggio Astolfo, emarginato a causa della sua condizione, diviene immagine distorta e grottesca del senso di smarrimento che cinge costantemente l'uomo facendogli fare i conti con le sue mancanze.
Secondo Dara, infatti, tale smarrimento è manifestato dalla necessità della ricerca. Tutti gli uomini vengono al mondo e ognuno si porta dietro il proprio personalissimo fardello. Tale peso coincide con una parte mancante che tutti, indistintamente, ricerchiamo per tutta la vita.
Tale esigenza, seppur in maniera fuggevole e ingannatoria, viene placata -secondo l'autore - dal senso di soddisfazione donato dalla ricerca, proprio questo spinge l'uomo ad andare avanti. Un secondo, imprescindibile, elemento per dare un senso e una ricercatezza all'agire umano è dato dall’amore. L’amore diviene, dunque, il mezzo utilizzato per farci sentire necessari e viene considerato: "Lo stucco sull’inclinatura dei vetri, la toppa sugli strappi dei tessuti, il punto tra le pelli lacerate".
Come spesso accade, eros diviene faccia speculare di thanatos. Infatti, il tema della morte accompagna continuamente i personaggi costruiti dalle sapienti mani, d’artigiano della parola, del nostro autore. Non di meno, il nostro Malinverno svolge una duplice mansione nella sua Timpamara, di giorno gestisce il cimitero e di pomeriggio la biblioteca e questa duplice azione lo porta a ritenere la morte un fatto naturale anzi necessario.
Astolfo è ossessionato dalla morte giusta, proprio questo fattore fa sì che questi modifichi i finali dei libri, considerando i libri con lieto fine imperfetti, manchevoli. I finali felici, per il protagonista, smettono di insegnare qualcosa, fanno perdere ai vari personaggi la funzione per i quali sono stati creati: la ricerca.
Amore e morte si intrecciano cercando di colmare la distanza che intercorre tra la vita reale e quella immaginata, stessa distanza di cui soffre il nostro protagonista e che porta ogni uomo al conflitto continuo tra quello che è e quello che vorrebbe essere. La fantasia dei libri e la realtà del cimitero diventano gli elementi fondativi della storia, il realismo metafisico fatto di toni sublimi e finezza stilistica dell’autore ti guidano nel percorso di crescita ed evoluzione della storia e dei personaggi e contemporaneamente denudano il lettore di ogni sua certezza spingendolo alla riflessione circa la necessità di ricercare qualcosa o qualcuno che ci completi.
A tal proposito, secondo Domenico Dara, la scrittura diviene salvifica, una terapia alle nostre mancanze. Un’azione contemporaneamente reale e immaginifica, fatta di sangue e fugace come il sogno, per alleviare i miasmi dell’anima, perché in un certo senso per usare le parole dell’autore: "La vita vera è quelle che immaginiamo".
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