E chiamiamola estate/5. “Pesce sì, purché sia azzurro”

Share on Facebook
Share on Twitter
Share on whatsapp
images E chiamiamola estate/5. “Pesce sì, purché sia azzurro”

  10 agosto 2025 10:20

di GIOVANNA BERGANTIN

Il verde e il mare sono connaturati in Calabria. Non solo coste, panorami e bellezze artistiche di ogni epoca. Il fascino e la storia dei luoghi si scopronoanche nei colori e nei profumi della cucina marinara, iniziata migliaia di anni fa e cresciuta nel tempo fino a diventare parte integrante dei paesaggi, della cultura e dell’identità specifica di ogni borgo. La cucina tipica costiera calabra ha uno degli ingredienti primari nel pesce fresco, quello azzurro mediterraneo, cucinato con semplicità come tradizione comanda, gustato quasi al naturale o alla griglia.

Banner

E’ un inno d’amore verso il mare, il sapore genuino e sano di alici, sarde, sardine, sgombri e costardelle che abbinano un grande valore proteico a un prezzo decisamente abbordabile. Qualcuno li liquida come “pesci poveri”, i francesi li chiamano “poissons petit budget”, ma finalmente, ci si mette tutti d’accordo sul termine poetico e attraente di “pesce azzurro”. Un pesce certamente senza blasone, ma benvoluto da dietologi e chef di grido. In più, la sua grande capacità a essere trasformato in piatti semplici, ma gustosissimi è dimostrata dalle ricette che lo riguardano e che sono rimaste quasi immutate, partendo dall’antica Roma per passare dalla cucina di magro fino all’immancabile Artusi, e anche oltre.

Banner

Raccontano gli storici che il “pesce azzurro”, così diffuso nel Mediterraneo, era largamente consumato dai romani antichi. Era la base del “garum”, tratto da pesci macerati a lungo al sole, una specie diaromatizzante tuttofare equivalente del nostro aceto balsamico. Da manuale, la ricetta del leggendario Marco Gavio Apicio che, in ben due capitoli del suo “De re coquinaria”, scritto, pare, nel I sec d.C., ai tempi di Tiberio, suggerisce quelle sarde ripiene il cui gradimento ha superato i secoli, ritrovate ancora oggi in molti menù regionali. Nella ricetta originale, le sarde erano farcite con erbe aromatiche, cumino, pepe, menta, noci, miele e si mettevano al forno avvolte in foglie di vite. Si condivano con olio, vino dolce cotto e “allec”, polpa di pesce che rimaneva dopo aver estratto il sugo prodotto dalla fermentazione, una specie di pasta d’acciughe.

Banner

L’utilizzo del pesce azzurro cresce nel tempo anche grazie al rigore delle regole ecclesiastiche sui giorni di “magro” - ben 130 all’anno. Il primo riconoscimento gourmet, però, arriva solo nel 1773. Nelle pagine del ricettario “Il Cuoco Galante” di Vincenzo Corrado, capo dei Servizi di Bocca delprincipe di Francavilla, si introduce e si consigliano le alici, sia fritte che alla parmigiana.

Ha origini antiche anche la conservazione del pesce, tipica della cultura e tradizione calabrese, alimentata nel tempo sia da motivi religiosi - il rispetto dei periodi di magro- sia dalle numerose e ricorrenti carestie. L’argomento ci riporta al famoso libro ‘Cucina di strettissimo magro’ di frate Gaspare delle Piane dei Minimi. Nel testo del seguace del Santo di Paola tra le 476 ricette, troviamo anche salsiccia esalame di pesce. Infatti, questa comunità aveva il privilegio di usufruire della prima scelta di pesce, che usava conservare salato o affumicato per servirsene anche nei momenti in cui non si trovava fresco.

Ancora oggi, il pesce azzurro di piccolo calibro, pescato fresco, trova la sua più tipica trasformazione nella salagione. I pesciolini vengono eviscerati uno per uno e lavati nell’acqua salata di mare per poi essere messi a strati dentro i “salaturi” di terracotta con sale grosso e profumati con pepe rosso a scaglie e finocchietto. Inoltre, senza scomodare influenti pareri stellati, un buon piatto di “pesce azzurro” ben cucinato è così squisito da far dimenticare intingoli complicati e da sprigionare una irrefrenabile voglia di sapori mediterranei. Tanto per rimanere a casa nostra, insostituibili i sapori del pescato fresco di“sardi ‘a rriggitana” o di “alici arriganati” e della“tiella di alici al forno” oppure  “alici chini”. E chi più ne ha più ne metta!

Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner