E pure c'è ancora chi sta a guardare e chi si muove nella regione immobile e nella terra che rovina

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images E pure c'è ancora chi sta a guardare e chi si muove nella regione immobile e nella terra che rovina
Franco Cimino
  25 settembre 2019 16:14

In Calabria non cambia nulla. Non è cambiato nulla prima e per lunghi decenni, non cambierà nulla nel corso dei tanti anni che verranno. È troppo debole perché qualcosa in essa cambi. La sua maggiore debolezza consiste nella mancanza di forze che attivino il movimento. Un qualsiasi movimento invece che la staticità assoluta. Trovo sempre più comico che in questa “marmoreitá”priva del marmo ci si agiti quando dall’esterno qualcuno attenti all’onore della nostra terra, dimenticando le forze nere, di pece e di fogna, che hanno fatto di essa la culla dell’onore. Quello ‘ndranghetistico che l’ha“ disonorata”, sfregiandola nel corpo. Ci si indigna, perché nuovamente nessun calabrese è stato nominato ministro o in posti chiavi dell’articolazione ampia del governo. Ci si indigna da sempre quando artisti, osservatori e altre figure diverse, parlano male della nostra terra. Quando dicono di noi che siamo indietro con la modernità o che se potessero, la “baipasserebbero” per recarsi in Sicilia. Quando dicono che il nostro mare è sporco, i fiumi inutilizzati, le strade impraticabili, i servizi alla persona quasi inesistenti, il sistema sanitario quasi di un altro mondo. In questi casi ci indigniamo assai e ci offendiamo pure, chiedendo l’intervento di chissà quale garante alla tutela dell’onore dei calabresi.

È successo anche a Fabrizio De André di esser additato come un nemico della nostra terra per aver affermato, in uno dei suoi ultimi concerti, qui da noi, che la mafia in uno Stato assente e corrotto offre lavoro ai giovani. Da uomo di cultura e da artista vero, si riferiva al fatto che lo Stato aveva affamato la regione e nel contempo accresciuto il potere della ‘Ndrangheta, che ad esso si era sostituita nel vuoto enorme generato. Apriti cielo! Indignazione furente con richiesta di scuse di Faber e invito a boicottarne concerti e dischi! Questi alcuni casi. Di questi tempi sta andando di moda il il “ combatti Salvini”. Qui, a migliaia ormai, lo si combatte non tanto per la sua azione politica, ma per aver detto qualche anno fa parole molto brutte di noi e di tutti i meridionali. Si riempiono di movimentisti le piazze o i piazzali antistanti i cinema dai quali egli parla. Una grande soddisfazione parrebbe quella di appendere lenzuola bianche con scritte anti, di riempiere i social di parole dure, di gridargli da lontano che è un fascista, di disturbare un suo comizio. Insomma, come in quella vecchia battuta al rivale lontano e irraggiungibile: “ sì, mi minau, ma eu ‘nci da dissi!!” A quell’Italia dei palazzi ovunque presenti, che hanno prodotto le cause che hanno fatto nascere i Salvini e i sovranisti e le mille paure che essi hanno ben saputo gestire, non si dice nulla. E ancor più nulla, e non da oggi, gli si muove contro. Perché? La risposta è quella che nessuno cerca: la permanente debolezza che ci avvolge. Ci obnubila. Ci paralizza la mente e le gambe. Inquina il cuore. Nessuno qui cerca soprattutto la causa principale, anzi due, di questa endemica fragilità. Non la cerca perché i giovani non sono educati a pensare politicamente, quindi in maniera critica. Non la cerca, perché i vecchi sono stanchi e rassegnati o lievemente confortati dal particolare orgoglio di provvedere loro al mantenimento di figli con reddito precario e nipoti senza lavoro. Non la cerca la generazione di mezzo, perché abituata a trovare in quella sopita ragione, i tanti motivi dell’opportunità e della convenienza che hanno agevolato in molti di loro una certa pigrizia. Quella pigrizia divenuta indolenza e poi indifferenza. Infine, rassegnazione, che, prodotta dalla causa principale, è diventata alimento della stessa.

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E ancora, non la cerca il mondo della cultura, o cosiddetto tale, per difetto di sostanza di esso. È cioè per l’enorme assenza di autonomia o per la falsa interpretazione di questa. Si prendano i pensatori, i maestri di ogni cattedra, anche religiosa, i formatori e gli informatori, gli osservatori e i descrittori del reale, altrove, in Italia, in Europa e nel mondo, stimolano le coscienze, sollevano dubbi, aiutano a formare in tutti uno strutturato senso critico, cercano le verità nascoste, interrogano le istituzioni e su di esse vigilano, si mettono, anche se non necessariamente tutti, alla testa dei movimenti che fanno nascere dal corpo ferito della società. Hanno tutti intelligenza e coraggio, e la consapevolezza che la prima senza il secondo è un puro esercizio privato della propria vanità e del proprio egoismo. Il mondo della cultura mancante di questo, da una parte si chiude in casa e nelle biblioteche, dall’altra si mette al servizio di quella causa prima di cui non si dice. Si accontentano, anche nell’esercizio di una funzione autonoma, di prendere qualcosa per se stessi o per familiari ed amici. E, invece, di cercare la risposta, la causa del male o di denunciare affare e malaffare, si fanno megafoni di quella causa, adulatori degli uomini che la usano in danno della Calabria. Per restare nel mondo della cultura, si guardi alle università. Noi ne abbiamo tre, tutte chiuse al loro interno in una sorta di estraneità che sarebbe pure accettabile se, talvolta, in esse non dominasse, e più ferocemente, la logica che ha avvelenato il mondo che tutto ciò di cui ho detto comprende. Sta qui, nella mancata ricerca della risposta, di quella unica risposta, la prima grande questione morale calabrese, dalla quale discendono tutte le altre, dalla malasanità alla malagiustizia, dal malaffare alla malaimprenditoria, dalla corruzione al varie mafie che si muovono dentro corpi sociali apparentemente legali. Quella risposta c’è e si porge disponibile alle intelligenze buone e oneste. Si chiama politica-potere. Che non è, si badi, il potere della politica o la politica al potere, ma la forza omologante che cancella la politica, nega la cultura, respinge l’etica e fa del potere l’unico strumento in grado di decidere su tutto, dalla vita delle persone alla vitalità delle istituzioni, dalle risorse economiche a quelle della natura e dell’ambiente. Un potere nudo di cultura, etica e politica, è il più grande male che possa concepirsi in dotazione all’uomo. Un male capace di generare altro male e in esso tanti piccoli mostri che si agitano con l’unico intento di possederlo, quel male, il potere. Qui mi fermo, nella speranza di sollecitare qualche inquietudine. E qualche domanda sullo spettacolo cui stiamo passivamente assistendo circa ciò che, nella staticità, si muove in queste settimane in Calabria. Ci sono le elezioni regionali, l’atto politico più importante, ma non si sa quando si vota. Si deve eleggere il presidente della Regione, ma non sappiamo chi sono i candidati e dove e chi li sceglie.

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Non sappiamo chi si candida per il Consiglio regionale di soli trenta posti, ma sentiamo di centinaia di nominativi, senza arte nè parte, che dicono di volersi candidare con chiunque perché hanno un pacchetto di voti. Come quegli uscenti che, per confermarsi, non dicono ancora dove vorrebbero trasmigrare. Sentiamo l’aria viziata di ambienti chiusi dove ci si sta ammazzando per raggiungere un posto o quel posto. Nessuno dice di un programma, di un’idea per la nostra salvezza, di una proposta che affronti con competenza i gravi problemi imposti dalla lunga emergenza. Un’ emergenza  così lunga e profonda da procurare quel vuoto enorme di potere occupato ormai stabilmente dalla mafia. La Calabria posseduta e venduta, che a Roma non conta nulla e in Europa è vista come uno spauracchio per lo spreco infinito di risorse, resta impassibile a guardare. Attende che gli altri, i pochissimi incolti e arroganti, decidano per lei. Si muove, in silenzio e di nascosto, come sempre, però solo la Calabria che viene usata dalla ‘Ndrangheta come area di passaggio del male e smistamento della loro “ merce”, come scuola di formazione a delinquere. Quella Calabria si muove. Solo quella. Anche per regolarsi bene per le prossime elezioni regionali. Perché le mafie votano ancora. In queste terre così malmesse, come la nostre, voteranno sempre. Per continuare a “ contare”.

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Franco Cimino

 

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