di SERGIO DRAGONE
Il 21 giugno (ma sul piano teorico potrebbero servire altre due convocazioni) sarà eletto il nuovo rettore dell’Università Magna Graecia di Catanzaro che guiderà l’ateneo per sei anni, fino al 2029. Essendo le Università italiane enti pubblici indipendenti dotati di personalità giuridica, in virtù della legge 168/89 sull’autonomia universitaria, le elezioni si svolgeranno secondo le regole fissate dallo Statuto e dal regolamento di cui si è dotata l’UMG. Avranno diritto al voto i professori di I e II fascia, i ricercatori, i rappresentanti degli studenti e del personale tecnico-amministrativo, sia pure con un peso marginale.
Ma fino a che punto le elezioni per il nuovo rettore sono un affare riservato ai “grandi elettori” e dunque alla ristretta famiglia dell’ateneo?
Se sul piano strettamente istituzionale nessuno può mettere becco nelle vicende elettorali dell’UMG, non è certo vietato – sicuramente non si commette un sacrilegio – esprimere alcune considerazioni su questo passaggio cruciale per la vita dell’ateneo e, di riflesso, della città ove ha sede.
Una prima considerazione generale. Se, come sembra ormai certo, ci sarà una sola candidatura – quindi senza una propostaalternativa, come già accaduto nel 2011 con il prof. Quattrone e nel 2017 con il prof. De Sarro, si confermerà che nell’università catanzarese è praticamente assente la dialettica e il confronto. Se si aggiunge anche la circostanza, forse unica nel mondo occidentale, che a Catanzaro non esiste movimento studentesco e che gli studenti – che nel resto del pianeta sono una spina nel fianco dei vertici - qui firmano comunicati di sostegno al rettore o si astengono nel Coruc assieme al rettore davanti alla duplicazione di medicina, si avrà il quadro del pensiero unico che vige all’UMG. Una candidatura alternativa avrebbe dato il senso, quanto meno, di un sussulto di democrazia, il tentativo di mettere in discussione il monolite di potere che impedisce all’UMG di essere concorrenziale con gli altri atenei.
La seconda considerazione riguarda il bilancio del mandato del rettore uscente. Ovviamente, ci si riferisce alla gestione politica e manageriale dell’UMG e non certo alle riconosciute capacità e competenze scientifiche del prof. De Sarro. Basterebbero tre elementi, senza nemmeno bisogno di commentarli, per sintetizzare gli ultimi sei anni: la duplicazione “concordata” della facoltà di medicina a Cosenza in cambio di un inesistente corso di lingue straniere; il terz’ultimo posto in Italia tra le medie università; la difficoltà ad intercettare nuovi e moderni modelli formativi come invece ha saputo fare l’Unical nel caso del corso di laurea in “Tecnologie del mare e della navigazione”, che si sarebbe potuto tranquillamente varare a Catanzaro come corso interateneo in collaborazione con la Facoltà di ingegneria di Arcavacata. Con questo non voglio dire che non ci siano stati risultati brillanti in alcuni Dipartimenti o che non esistano a Germaneto eccellenze.
La terza e ultima considerazione. Credo che la città, i cui destini sono legati a doppio filo a quelli della sua Università, abbia il diritto di conoscere i programmi e gli intendimenti del candidato o dei candidati alla carica di rettore. Per carità, non si tratta di un obbligo statutario, semmai solo di un’esigenza “politica” per tentare di recuperare il distacco esistente tra la città e l’ateneo. Come si muoverà il futuro rettore per invertire la rotta ed evitare che alla prossima rilevazione l’UMG finisca desolatamente in coda alle classifiche? Cosa farà per implementare l’offerta formativa? E come pensa di fronteggiare la baldanzosa concorrenza della nuova facoltà di medicina dell’Unical? Lo farà in continuità, come farebbe pensare la candidatura unica, oppure opererà quella svolta da più parti ritenuta indispensabile per rilanciare il ruolo dell’università di Catanzaro? Si pensi che i prossimi sei anni saranno anche decisivi per il decollo o meno dell’azienda unica ospedaliero-universitaria “Dulbecco” che avrà bisogno di una guida forte e autorevole, anche per ottenere le necessarie risorse, senza le quali l’integrazione sarà solo la sommatoria tra due debolezze.
La classe politica catanzarese, senza distinzione di schieramento, assiste passivamente a tutto ciò ed anche la “sacra battaglia” per impedire l’inutile nascita della nuova facoltà di medicina all’Unical è stata rapidamente accantonata in cambio di appena tre milioni di euro per mettere a norma lo stadio. Una “mancetta”, utile quanto si vuole, ma sempre di mancetta di tratta. Il segno dell’assoluta subalternità della politica catanzarese.
Le istituzioni e i partiti, sostanzialmente disinteressati ai destini dell’università e concentrati esclusivamente su buche, erba alta e stadio, dovrebbero riflettere molto seriamente su quanto avviene nel campus e capire che, come avviene in molte città italiane, lo sviluppo cittadino e quello dell’ateneo vanno a braccetto, che dall’alleanza tra città e università si generano ricchezza, occupazione, produzione, innovazione. Ecco perché l’elezione del rettore non è un affare di famiglia, ma un evento di straordinaria rilevanza pubblica. Che purtroppo si consumerà nell’indifferenza generale.
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