di FRANCO CIMINO
Scialbo, lumacuso, tecnicistico, burocratico, vecchio, il dibattito di stanotte tra Kamala Harris e Donald Trump. Gli americani l’hanno atteso per ben due mesi senza voli onirici, é vero, ma con curiosità. La stessa che si ha nei piccoli paesi quando si aspetta l’esito dello scontro violento tra due compari inimicati, che ancora non se le sono date di santa ragione. L’opinione pubblica mondiale lo cercava con quell’interesse ansioso, che te lo fa sentire, l’incontro, come una questione propria, personale. Del genere, se da loro dipende il destino del pianeta, dipenderà anche il mio e quello dei miei figli. Accanto a tutto questo, c’è, per i più anziani, il culto giovanile dell’America delle nuove frontiere. Della terra che tutti accoglie per trasformare di ciascuno il proprio sogno.
L’America delle tante culture e dei tanti popoli nella stessa cultura e sotto la stessa bandiera. Il paese delle Stelle a Strisce, e dall’inno sempre pronto con quella mano sul petto e gli occhi tra il cielo e la bandiera. L’America delle vere rivoluzioni. Quella del jazz e del Rock and roll, del Rock, di Otis e di Elvis, di Marcus e del Sessantotto. L’America delle libertà. L’America Libertà e Democrazia. Liberale e liberatrice. L’America guida del mondo, non solo Occidentale. Forte dei suoi valori e della sua storia da resistere a tante sue stesse cattiverie, ai numerosi errori, alle pesanti contraddizioni, alle guerre sbagliate, ai complotti contro gli eroi e i rinnovatori. L’America, tanto bella da coprire le sue brutture. Generosa guardiana del mondo dei giusti. Coraggiosa sostenitrice dei paesi amici e alleati. Nulla, non c’è stato nulla di tutto questo in quello studio televisivo, dove due giornalisti, eleganti e belli, uomo e donna, bianco lui e nera lei, hanno recitato la particina imparata a memoria con domandine carezzevoli. I due contendenti ingessati come gli intervistatori. Tutto preparato dalle rispettive squadre minuziosamente. In ogni dettaglio. Si è puntato rispettivamente sull’effetto sorpresa. Come maciullerà il suo avversario, la prima vicepresidente donna, probabile prima presidente donna e di colore, ancora fresca d’immigrazione familiare? E quante gliene dirà con quella bocca velenosa il maschilista, prepotente e autoritario, del sempre biondo ex presidente? Sarà uno scontro al fulmicotone? Le urla e le parolacce di Trump contro l’oratoria vivace e puntuta di Harris? Questi sono i due aspetti che hanno maggiormente interessato decine di milioni di americani e decine di volte di più i cittadini nel mondo. Non è bastato, però, neppure questo. L’unico “ pathos” si è avuto all’ingresso dei contendenti. Trump gonfio dell’obbligo di restare “ civile” ed educato, ha tentato goffamente di evitare la prima stretta di mano di Kamala, anch’essa ben istruita a essere più educata di quanto già non fosse. Spiazzarsi per confondere, camuffandosi, il “nemico”. Invece, nulla anche qui. Lei, si inventava il colpo duro che lui, composto e “ civile”, non le concedeva. Il solito dire, trito e ritrito, che l’America, non più calvinista e moralista, ha già dimostrato di ben digerire. “ Sei un delinquente, corruttore stupratore seriale.” E lui, buon incassatore, a replicarle su un terreno lontano dieci miglia:” ma gli immigrati e i delinquenti, tutti immigrati, li hai portati tu. E di più ne porterai perché vuoi distruggere gli USA.” E, poi, le solite domandine e le solite rispostine, sull’industria, sull’occupazione, sulla riduzione del reddito per l’inflazione nonostante gli aumenti degli stipendi e delle pensioni. E le armi, chi le vuol far crescere e chi ridurle. E, ancora, il conflitto in Ucraina, la sua estensione ucraina in territorio russo. E la Russia e Putin, “e tu sei amico del dittatore russo cui somigli. Lo sei perché gli somigli.”E Israele e Gaza con i morti a migliaia, e “tu, Kamala, proteggi e riarmi l’assassino Netanyahu” .
E ancora:” lui è arrogante e antidemocratico.” Di rimando:” lei non é autonoma, rappresenta Biden il peggiore presidente che abbiamo avuto.”Tutto qui. Delle guerre, dei focolai a centinaia che rischiano di scatenarle, delle ingiustizie e delle povertà estreme, della rovina della natura e del cielo che rischia di cadere a pezzi, del clima impazzito che brucia l’aria e asciuga l’acqua. Scioglie i ghiacciai e gonfia il mare, che cancellerà terre e paesi interi. Dell’inquinamento dei fiumi e dell’aria. Della progressiva fine della democrazia e dei suoi autentici valori, dei governi che la modificano in senso autoritario e autocratico. Del terrorismo, che si allargherà dappertutto. Dell’undici settembre, ritornato ieri . Del clima di terrore che si è instaurato. Della nuova tecnica che si è impadronita già di tutto. E delle nostre vite, spiate, violate, vendute. Dell’intelligenza sua, della tecnica, che si sta sostituendo a quella umana. Dei mostri nuovi che stiamo facendo nascere come moderni dott Jekill e della mostruosa società senza umanità, che è già bell’e pronta in laboratorio, dei singoli paesi che hanno perduto il proprio senso di nazione.
E la nazione negata a molti popoli insieme alla terra e allo Stato che le comprende dalla storia. Questi temi, d’un fiato di pensiero, di un moto dell’animo, di una scintilla ideale, di un lampo negli occhi, non sono neppure aleggiati. L’America delle utopie percorribili, dei sogni realizzabili, l’America della Costituzione in perenne divenire e della costruzione in continua realizzazione, l’America del pensare e del fare, la Nazione per tanti popoli e per tutte le razze ed etnie, il Paese di tanti paesi insieme, la guida che sente il futuro, lo disegna e lo indica al mondo, in questa notte fino all’alba dell’ora italiana, non s’é vista. Al suo posto, due Americhe della stessa ultima, stanca, depressa, avvilita. Mediocre. Timorosa di aprirsi al mondo. Stanotte queste due Americhe dell’unica, che, uguali, li comprende ha parlato soltanto a sé stessa. E di sé stessa. “ Prima l’America”, questa America, sembra essere la didascalia dell’intero dibattito di stasera. Si sperava in questi ultimi anni di grave bisogno dell’Umanità, che dalla lunga crisi americana venissero fuori i grandi condottieri del domani, i visionari della vita nuova, i generali di una nuova speranza, i pittori dell’alba più bella. Non dico un John Kennedy , ma qualcuno che somigliasse anche al primo Clinton o al primo Obama. O una ragazza, autentica della sua forza femminile e forte del suo coraggio di donna. Una Donna rivoluzionaria, che somigli solo a sé stessa. Invece, Trump e Harris. Questa é l’America di oggi, ma che pur non dobbiamo abbandonare.
Tuttavia, se io fossi elettore nel prossimo due novembre, voterei Kamala. Decisamente. Perché è migliore di Donald. E perché,“ indossando la divisa di comandante in capo”, e gli abiti di Presidente, potrebbe stupirci tutti. E diventare, come ardentemente spero, un grande Presidente. La Presidente dei nuovi Stati Uniti!
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