di FRANCESCO PARAVATI
Se n’è andato come avrebbe voluto, Elio Canino, accompagnato da un corteo di splendide auto storiche a scortarlo nel suo ultimo viaggio, le sue guidate dai figli Salvatore e Carlo e caricate di nipoti. Se n’è andato sicuramente troppo presto e in fretta, così come aveva vissuto, senza rimpianti, circondato dagli affetti più cari e dall’inseparabile moglie Milena, compagna della vita che avevano sognato, fino al tragico epilogo della malattia che ha spento il loro sorriso.
Andandosene però si è portato via la Catanzaro migliore, quella dei nostri ricordi, dell’intraprendenza, forse un po’ presuntuosa e aristocratica da capoluogo di regione che guardava il resto dall’alto in basso, ma se lo poteva permettere. Questa città depressa ormai non era più la sua città, quella delle sfilate di macchinoni sul corso Mazzini, quella dei caffè offerti ogni dieci metri, degli auguri nelle feste di Natale infinite, delle settimane bianche tutti assieme bambini al seguito, nelle case dei villaggi al mare e nelle serate danzanti alla Rotonda. Era la Catanzaro di Elio, quella che non smetteva mai di vantare e di cui non smetteva mai di vantarsi, soprattutto con cosentini e reggini, quella che il calcio in Calabria potevi vederlo solo in televisione oppure al Ceravolo, protagonista del miracolo economico che ha travolto il capoluogo e tutta la provincia dopo gli anni ‘60.
La Catanzaro in cui quando non c’era niente da fare si partiva in macchina di notte per prendere un caffè all’alba in piazza Plebiscito a Napoli, per tornare prima che aprissero gli uffici, così, solo per raccontarlo ad amici e fidanzate. Elio naturalmente era sempre alla guida, da vero comandante, per poi litigare sul tempo impiegato “casello-casello”, a volte sparandole troppo grosse, per vezzeggiare gli amici-piloti avversari. Erano tempi di sfide gagliarde sulle curve di Torrazzo, il mare, come per tutti i catanzaresi, era un posto da raggiungere in macchina per fare una passeggiata, un paio di nuotate forse, un gelato a Soverato, e poi tornare al fresco in città.
Le feste di compleanno imperdibili, fino all’ultimo cugino, pur di stare assieme. La Formula 1 una cerimonia solenne, da guardare fin dalle prove del venerdì in qualsiasi situazione, a qualsiasi costo. La passione per le auto belle, meglio se d’epoca, da vero collezionista, esperto e rispettoso di quei motori che ubbidivano come cani fedeli alla mano del padrone. Se era al volante non perdeva mai la pazienza, a patto che non gli sporcassi o peggio danneggiassi il gioiello del momento. Pilota di rally, come lo sfortunato fratello Vanni, e di go kart, passione instillata nei figli e nel primo nipote, Elio come lui, innamorato della velocita’ ma soprattutto della bellezza con la testa sulle spalle.
Un catanzarese purosangue di nobili origini, come il papà Salvatore (stesso nome del primo figlio, beate tradizioni di una volta) si era prestato pure alla politica, governando la città con l’Udc per cinque lustri, ma era persona troppo onesta e di valore per farsi fregare la vita dagli intrighi di Palazzo De Nobili. Meglio la libertà sincera delle sue splendide macchine, l’amore per la famiglia, il calore degli amici e la passione per le risate e le le guasconate. Meglio essere rispettato e amato per quello che sei.
Un aneddoto la dice lunga, su chi era Elio Canino e di quanto rispetto godeva, anche in ambienti lontani anni luce da lui, capace di parlare a tutti con il suo sorriso disarmante e le sue vigorose strette di mano, soprattutto se parlava di macchine.
Un’estate afosa di qualche anno fa, un amico romano, noto regista reduce da un pluripremiato struggente e bellissimo film sulla Calabria peggiore, in viaggio con la famiglia in Calabria mi chiama disperato: sulla strada per la Sila, alle 12 del 14 agosto, il benzinaio gli ha messo il diesel al posto della benzina, la macchina è andata in fumo e così la sua vacanza. Ha trovato riparo in contrada Barone, presso un improbabile meccanico con la serranda abbassata a metà, che fumava sigarette senza filtro e non parlava se non con grugniti, e che voleva tenersi la macchina fino a dopo ferragosto, ormai avevo chiuso e andava a mangiare. “Non so come fare sembra il set di un mio film, ma questa volta non sono il regista”, mi spiega al telefono.
Arrivo, in effetti potrebbe essere il set di un film di Scorsese. Il meccanico ha ormai quasi abbassato la serranda con la macchina smontata dentro e la famiglia di amici miei fuori, terrorizzati. Riesco a entrare nell’officina e la trovo tappezzata di procaci bellezze da calendario anni 80 e foto di macchine sportive e vecchi articoli sulla corsa rally di Torrazzo (ora sparita). Impossibile comunicare col meccanico, allora ci provo così: “Sono amico di Elio Canino, lo conosce?”. Il volto di pietra si apre in una smorfia di ammirazione e vergogna, balbetta sì certo: “Chiamamillu c’u voggliu salutara!”.
Ci provo, è ferragosto, mi va bene, il figlio Sasà mi risponde al volo, Elio è lì con lui seppellito dai nipoti, me lo passa: “Checco! Come ci sei arrivato lì? Quello è un macellaio di macchine sta attento passamillu subito!”. Eseguo senza esitare, il meccanico prima duro come la roccia sorride come un bambino cui hanno appena passato il suo supereroe preferito. Chiude il telefono, rialza la serranda, si mette al lavoro, chiama l’aiutante, la macchina è pronta in un’ora a un prezzo irrisorio. Riusciamo a raggiungere gli amici in Sila per il pranzo al Semaforo. Beh questo era Elio, ho scoperto poi che quel meccanico gli aveva rovinato chissà quale gioiello di macchina, sbagliando pezzi di ricambio, ma lui ugualmente lo aveva pagato e ringraziato da gran signore, da allora aveva smesso di portargli i suoi gioielli. La felicità del meccanico non la dimenticherò mai, nell’aver avuto la possibilità di farsi perdonare. Il mio amico regista voleva farne un episodio del suo prossimo film, magari lo farà. Elio mancherà tanto perché si è portato via la parte migliore della sua città.
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