“Se ne discute, se ne parla, ma penso che forse noi come Italia siamo stati poco chiari. Parliamo poco con l'Europa, spieghiamo poco alla Corte europea cosa sono le mafie, qual è la pericolosità delle mafie, qual è la filosofia criminale delle mafie. Poi forse anche per questo leggiamo certe decisioni, leggiamo certe sentenze. Andrebbe spiegata meglio, con fatti concreti e in modo strutturale”. Così il procuratore della Repubblica d Catanzaro, Nicola Gratteri, parlando con i giornalisti a Catanzaro, con riferimento al tema dell'ergastolo ostativo.
“L'Europa – ha proseguito Gratteri - dovrebbe capire intanto la differenza tra criminalità comune, criminalità organizzata, gangsterismo e mafia: la criminalità organizzata spesso si confonde per mafia, la mafia per criminalità organizzata, e quindi non penso ci debba essere lo stesso trattamento o lo stesso approccio anche per un condannato all'ergastolo, nel senso che anche per due soggetti condannati all'ergastolo ci può essere una pericolosità diversa se si tratta di soggetto appartenente a un'organizzazione mafiosa o di soggetto appartenente alla criminalità organizzata”.
“Il tema dell'abolizione dell'ergastolo ostativo inteso davvero come fine pena mai è un tema che è stato sempre a cuore alle mafie, ai vertici di Cosa Nostra e non solo di Cosa Nostra, fin dai tempi in cui una riforma in tale senso costituiva uno degli obiettivi della campagna stragista tra il 1992 e il 1994. Oggi il paradosso è che proprio alcuni di quelli che sono stati condannati per aver organizzato ed eseguito quegli attentati potrebbero accedere ai benefici e uscire dal carcere, a distanza di 30 anni da quelle stragi potrebbero essere liberati proprio coloro che sono stati condannati per quelle stragi”. Lo ha detto Nino di Matteo, componente del Consiglio superiore della magistratura, parlando con i giornalisti a Catanzaro a margine di un dibattito sul tema dell'ergastolo ostativo.“Da questo punto di vista – ha aggiunto Di Matteo - credo che il decreto legge sia un segnale di attenzione importante nella lotta complessiva al sistema mafioso, è sicuramente un decreto che potrà essere migliorato ed emendato in fase di conversione in legge".
Sono tanti i problemi che si pongono. E' comunque – ha osservato il componente Del Csm - un tema molto delicato, nel senso che le aspettative delle mafie su questa vicenda sono tante, e certamente lo Stato in tutte le sue componenti dovrà dimostrare di non sottostare a eventuali ricatti mafiosi che possono essere ancora in atto proprio, tra gli altri temi, sul tema dell'ergastolo. La mafia ancora si aspetta dalla politica il raggiungimento di obiettivi precisi: uno di questi è l'abolizione dell'ergastolo, l'attenuazione del regime del 41 bis, ma si aspetta anche che la politica in qualche modo ridimensioni i poteri di indagini del pubblico ministero, renda più difficili le inchieste, le intercettazioni e tutto quello che può mettere in luce eventuali contatti e rapporti tra le mafie e altri poteri”.
Secondo Di Matteo, inoltre, “oggi stiamo assistendo al paradosso per cui collaborare con la giustizia non conviene più o comunque non è così conveniente dal punto di vista delle conseguenze processuali e penitenziarie rispetto a quanto lo fosse prima. La proposta del senatore Scarpinato può essere una ulteriore base per una modifica, per miglioramento del decreto legge in sede di conversione anche perché – ha concluso il componente del Csm - non credo che possa passare l'idea che lo Stato non è in gradi di proteggere un collaboratore di giustizia”.
“Nella salvaguardia dei principi costituzionali, anche per chi ha dichiarato guerra allo Stato, il governo ha indicato con estrema chiarezza da quale parte vuole stare: quella del contrasto alle mafie, della tutela delle vittime, del rispetto del lavoro di magistrati e delle forze dell’ordine che con grandi sacrifici e rischi personali combattono le organizzazioni criminali che soffocano e affamano i nostri territori”. È quando ha affermato il sottosegretario all’Interno Wanda Ferro intervenendo all’Università Magna Graecia di Catanzaro ad un convegno sull’ergastolo ostativo al quale hanno preso parte tra gli altri i magistrati antimafia Nicola Gratteri e Nino Di Matteo.
“Il tema dell’ergastolo ostativo - ha detto l’on. Wanda Ferro - mette in gioco in un delicato equilibrio da un lato il principio della funzione rieducativa della pena, dall’altro l’esigenza di contrastare l’attività delle organizzazioni criminali. E’ una questione rispetto alla quale sono intervenuta più volte durante il mio incarico di segretario della Commissione parlamentare antimafia nella precedente legislatura, e sulla quale il governo guidato da Giorgia Meloni ha espresso una posizione chiara fin dai suoi primi provvedimenti. Ho sempre ritenuto che abolire l’ergastolo ostativo significasse smantellare il sistema di contrasto alla mafia ispirato da Giovanni Falcone, consentendo ai boss di uscire dal carcere e riprendere il controllo del territorio. Sarebbe come realizzare i desideri delle organizzazioni criminali, facendo molti passi indietro rispetto ad una legislazione avanzatissima nel contrasto alle organizzazioni mafiose. E’ di tutta evidenza che l’abolizione dell’ergastolo ostativo smantellerebbe il sistema delle collaborazioni, perché nessun mafioso avrebbe più la convenienza a collaborare con la giustizia. Se consideriamo ancora attuale e prioritaria la necessità di contrastare le organizzazioni mafiose, dobbiamo ammettere che le riflessioni sulla natura rieducativa della pena non possono prescindere dal fare i conti con la natura stessa della mafia, con la filosofia di vita che sottende l’appartenenza all’organizzazione. Non un intimo ravvedimento, non motivazioni morali o religiose, salvo rarissime eccezioni, ma il carcere duro, l’ergastolo ostativo hanno indotto molti mafiosi a collaborare, per la volontà di tornare dalla famiglia, per le condizioni di isolamento. Tolto l’ergastolo ostativo nessun mafioso avrebbe più la convenienza a collaborare. Si toglierebbe ai magistrati uno strumento decisivo nella lotta alle organizzazioni mafiose. Con la prospettiva della liberazione, si consentirà ai boss di aumentare la propria influenza e la propria autorevolezza nei confronti dell’organizzazione. Il nostro obiettivo è quello di salvaguardare il percorso di durezza carceraria nei confronti dei boss mafiosi, che sì non possono essere esclusi a priori dai benefìci, ma evitando che la mera buona condotta del boss mafioso in carcere, la sua solo formale dissociazione e la partecipazione al lavoro possano diventare gli unici presupposti per concedere la liberazione condizionale. Riteniamo che la concessione dei benefici debba essere ben soppesata, soprattutto in assenza di collaborazione, e che l’onere probatorio, in ogni caso, debba essere posto in capo al detenuto. Bisogna circoscrivere con precisione il perimetro all’interno del quale si possa ritenere maturato un serio, genuino, sincero, metabolizzato e convinto percorso di reinserimento nella società, inscindibile dall’abbandono della mentalità e delle frequentazioni criminali e associative. La funzione della pena non si risolve nella sola funzione rieducativa, che ne è sì tratto essenziale, ma non totalitario. Va piuttosto valorizzata la funzione social-preventiva, retributiva e punitiva della pena, in particolare modo nei confronti di coloro che sono stati condannati per delitti di natura mafiosa,
Per uscire dal carcere non basterà la sola buona condotta carceraria o la partecipazione al trattamento. Saranno esclusi gli automatismi, come chiede la Consulta, ma il mafioso dovrà provare l’assoluta rottura dei collegamenti con la criminalità organizzata. Prima di valutare la connessione dei benefici si deve avere la certezza che il mafioso non ripristinerà i contatti con l’ambiente malavitoso di appartenenza e che abbia risarcito le proprie vittime”.
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