di SEBASTIAN CIANCIO*
Tra il 6 e il 9 Giugno i cittadini europei si sono recati alle urne per rinnovare i membri del Parlamento Europeo con risultati che lasciano intravedere la continuazione di un governo di coalizione centrista ma che potrebbe aprirsi alle istanze dell’estrema destra. Tre i nomi che circolano con insistenza: la conferma dell’esponente del partito popolare Ursula von der Leyen per la Presidenza della Commissione europea, l’ex premier socialista portoghese António Costa per la Presidenza del Consiglio europeo e l’attuale Premier liberale estone Kaja Kallas per la carica di Alto Rappresentante per la Politica estera e di Sicurezza, seppure non stia convincendo troppo il tentativo di popolari, socialisti e liberali di mettere la mani avanti e confermare ex ante la maggioranza della legislatura precedente. A margine del primo vertice di ieri, il premier ungherese Viktor Orbán ha contestato duramente l’accordo che si profila perché a suo avviso non terrebbe conto della volontà popolare che ha premiato le forze politiche fuori da questa ipotetica ripartizione, ricordando come esclusivamente i partiti di destra si siano rafforzati mentre la sinistra e i liberali abbiano perso terreno.
Sul piano istituzionale, dopo le dovute ed indifferibili decisioni in tema di sicurezza e difesa comune poiché le guerre in Ucraina e in Medioriente, le tensioni nel mar Rosso con gli attacchi degli Houthi, il possibile disimpegno statunitense (soprattutto in caso di un nuovo insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca) e la minaccia cinese non lasciano tempo alle riflessioni, il nuovo Parlamento Europeo dovrà occuparsi necessariamente di situazioni quali la partecipazione elettorale, il Green Deal, la politica tecnologica, la politica commerciale, ecc.
L’alto tasso di astensionismo dimostra che una delle grandi sfide dell'Unione europea deve essere la “comunicazione”. Resiste un divario significativo tra le questioni calendarizzate ed in discussione nel Consiglio europeo come il Green Deal, la digitalizzazione o la trasformazione dell'industria, e le questioni che preoccupano i cittadini come le prestazioni sociali, l'accesso al mercato del lavoro, all'alloggio… come arrivare a fine mese, insomma! Sebbene il Parlamento Europeo utilizzi tutti i tipi di strumenti pubblici e privati ??per sensibilizzare a certe tematiche, preoccupandosi di raggiungere il pubblico più giovane, i partiti e i social restano i mezzi di propaganda dal maggiore impatto mediatico, dal momento che la maggioranza degli elettori oramai ha più di 50 anni e si informano attraverso i canali informativi tradizionali.
Riguardo il Green Deal, l’attuazione del pacchetto è prevista nei prossimi 5 anni (legge sugli imballaggi, ecodesign, efficienza energetica, rinnovabili...) ma se la nuova Commissione includesse la compagine di estrema destra, lo scenario potrebbe mutare. Abbiamo già assistito a cambiamenti forzati dalle propagande, alcuni molto rapidi e recenti (nella politica agricola, ad esempio). Sappiamo che il Green Deal si prefigga di promuovere un modello economico sostenibile e competitivo ma la vera sfida resta quella di unire sostenibilità e competitività dentro l’Europa e - contestualmente - in un mondo in cui Paesi come la Cina o gli Stati Uniti mettono tutte le risorse possibili ed inimmaginabili per promuovere le proprie industrie. E nel campo del commercio internazionale, pare che finalmente l'UE si sia resa conto di dipendere troppo da queste potenze economiche e che sia necessario elaborare una nuova strategia per ridurre i rischi di dipendenza, prestando attenzione alla possibile rielezione di Trump, perché altre strutture internazionali rischierebbero il fallimento e la tensione tra Stati Uniti d'America e Cina potrebbe esplodere definitivamente.
Per quanto concerne la competitività tecnologica, siamo reduci da visioni liberali tese a proteggere gli interessi tecnologici dell'Europa. In questo senso bisognerà capire l’orientamento dell’Unione Europea. Se rimarrà ancorato all’innovazione (migliorare e aumentare la produzione tecnologica in Europa nel suo complesso) o se sposterà il baricentro verso destra, con politiche protezionistiche a favore dei produttori nazionali.
Un ultimo ma fondamentale interrogativo interessa le prospettive economiche e se si debba proseguire sulla strada del debito comune. Le regole fiscali recentemente riviste mirano a ridurre il debito accumulato durante la pandemia. È previsto il ritorno alle vecchie soglie - 3% per il deficit e 60% per il debito pubblico - ma agli Stati membri è stata concessa una maggiore flessibilità sulle modalità di riduzione del debito. Considerando che i finanziamenti post-pandemia termineranno nel 2026, bisognerà capire, a questo punto, se basterà il denaro a disposizione per finanziare progetti onerosi come la “transizione verde”.
In conclusione, la sfida di un’Europa forte e ambiziosa passa necessariamente da una programmazione forte e ambiziosa (e condivisa da tutte le forze politiche) di completamento della conversione ecologica e della transizione digitale ed energetica, di convergenza delle economie nazionali a favore di una migliore competitività comunitaria, di autonomia strategica europea con particolare riferimento alla politica estera e alla dimensione della difesa.
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