Falsi certificati, nuova bufera sulla sanità a Locri

Share on Facebook
Share on Twitter
Share on whatsapp
images Falsi certificati, nuova bufera sulla sanità a Locri

  05 maggio 2023 18:11

Certificati attestanti “disturbi d’ansia con spunti depressivi”, “ricorrenti parestesie e deficit funzionale da tendinopatia del sovra spinoso”; “sofferenze vestibolari, disturbi della deambulazione, con attestate vertigini”, il tutto senza avere mai visitato il paziente e finalizzato ad ottenere trasferimenti di personale, scansare la Giustizia, qualche voto per le elezioni delle elezioni amministrative nel comune di Bianco, sempre nella Locride. E’ quanto imputa la Procura della Repubblica, diretta da Giuseppe Casciaro, e gli investigatori della Guardia di Finanza del Comando provinciale, al medico psichiatra Filippo Lascala, 61 anni, arrestato, indagato con altre 89 persone, tra le quali la moglie, anche le medico psichiatra a Locri.

Lascala - leggendo l’ordinanza del gip Casciola - appare come il “dominus” dell’ennesima inchiesta sulla gestione dell’Ospedale di Locri. Non è, infatti, la prima volta che la struttura ospedaliera, condizionata dalle cosche di ‘ndrangheta dei Cordì e dei Cataldo, finisce nel mirino della Giustizia, subendo due scioglimenti per infiltrazione mafiosa, nel 1987, e la seconda, nel 2006, dopo l’omicidio dell’ex Vicepresidente del Consiglio regionale della Calabria (16 ottobre 2005), Francesco Fortugno, assassinato al seggio delle primarie dell’Ulivo. Per quell’omicidio, commesso in modo plateale e in presenza di decine di persone, furono condannati all’ergastolo Alessandro Marcianò, impiegato al Pronto soccorso dell’ospedale locrese, e il figlio Giuseppe. Nel Decreto di scioglimento del 1987 del Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, si descrive la pesante situazione dell’U.s.l. di Locri caratterizzata da “un retroscena amministrativo caratterizzato sostanzialmente da ingerenze di tipo mafioso, lottizzazioni ed irregolarità gestionali di ogni genere. La situazione trova così origine nelle numerose azioni di stampo mafioso commesse da componenti dell’Unità sanitaria locale e rivolte ad acquisire profitti illeciti con inevitabili danni per la stessa gestione dell’ente. Il condizionamento mafioso si è estrinsecato – si legge in quel Decreto -  oltre che con atti di violenza intimidatoria nei confronti di persone interessate alla gestione dell’unità sanitaria locale o comunque orientate a denunziare le disfunzioni amministrative, anche nello svolgimento dell’attività amministrativa riguardo alle certificazioni richieste dalla legge antimafia per gli appalti di opere pubbliche, e per le stesse assunzioni nell’ente, condizionate dall’appartenenza ad associazioni di stampo mafioso”. Il contesto che ruota attorno all’Ospedale locrese condiziona persino chi cerca in ogni modo di fare bene il proprio lavoro, rifiutando di essere condizionato dalla ‘ndrangheta. Così muore per mano mafiosa, nel 1988, il primario di Chirurgia, Girolamo Marino, assassinato appena fuori dal nosocomio da due killer con sette colpi di pistola, per non essere riuscito a salvare una bambina di due anni, figlia di noto esponente della ‘ndrangheta di San Luca in Aspromonte. Stessa fine, nel 1993, toccherà al neurochirurgo Domenico Antonio Pandolfo, uno dei migliori allievi del prof. Romeo Del Vivo, allora primario a Reggio Calabria, ucciso “per non avere fatto un miracolo in sala operatoria”, dopo un intervento per rimuovere un tumore alla testa di una bambina di 9 anni imparentata con i Cordì. Nel 2006, dopo l’omicidio Fortugno, il prefetto Paola Basilone, su indicazione del Governo, verga una relazione cristallizzando come “i fenomeni degenerativi presenti nel 1987,  negli anni si siano aggravati, diventando normalità di relazioni interne e metodologia permanente di gestione dell’A.S.L. n. 9 di Locri, che contava 1630 dipendenti e 366 medici esterni convenzionati, con forti condizionamenti provenienti dal tessuto socio-economico e dalle pressioni della ‘ndrangheta.  Sull’amministrazione sanitaria – si legge - si sono concentrati gli interessi della criminalità e perpetrata una diffusa compressione, se non una forte intimidazione, dell’autonomia dell’ente”.  Il sistema perverso, secondo le conclusioni della Relazione Basilone,  “era individuato, in particolare, in alcune pratiche amministrative che mostravano un discutibile approccio alla gestione dei fondi pubblici: per gli accreditamenti delle strutture private, ad esempio,  “si è assistito ad un diffuso e sistematico sforamento dei tetti di spesa, che non solo ha determinato un dilagante fenomeno di indebitamento sommerso (rapporto tra prestazioni pagate e prestazioni realizzate a carico del sistema sanitario) della A.S.L., ma che al contempo ha comportato indebiti vantaggi economici da parte di strutture private i cui soci sono risultati spesso interessati da precedenti penali o di dubbia moralità”.

Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner