L’Italia dovrà ripartire. Dopo mesi di lockdown e di clausura forzata è arrivato il momento, sarebbe stato meglio farlo un po’ prima, di capire in quale direzione dovrà andare il Paese. Quali gli strumenti, quali e quanti le risorse e, sopratutto, con quale visione si cercherà di interrogare il futuro. Da prima del Covid già ci si poneva l’interrogativo di come frenare l’inesorabile declino economico e sociale che i dati ci consegnavano. Su quali modelli indirizzare una nuova stagione di riforme e di crescita economica. Quali gli attori da coinvolgere e in che misura cambiare approccio al benessere e al disagio sempre più marcato.
Ora che la pandemia ci costringe a fare i conti con una realtà difficile e dalla lettura enigmatica, sono poche le certezze a cui si può guardare. Ora che l’Europa aiuterà il Paese con uno sforzo finanziario imponente e con i vari strumenti messi in campo dalle istituzioni europee che consegneranno all’Italia massicce dosi di risorse, è necessario che la politica faccia uno sforzo di ricerca di nuovi interpreti e che riesca a rendere protagonista una concezione di trasformazione economica, civile e sociale che volga lo sguardo verso le 350.000 realtà del Terzo Settore Italiano che, insieme a quel mondo dell’impresa maggiormente reattivo alle trasformazioni, rappresentano l’approdo ai Piani d’Azione che caratterizzeranno i futuri programmi della Commissione Europea.
In questo mondo, appena sfiorato dai provvedimenti governativi, che pure ci sono stati, che bisognerà focalizzare l’attenzione e io coinvolgimento attivo. Nell’economia dell’assistenza e della cura, nei percorsi di rigenerazione ambientalmente sostenibile, del turismo, della cultura e nell’innovazione sociale e civile coniugata verso la produzione nei settori vitali, e sostenibili, della nostra economia, dall’agricoltura alla logistica e alla manifattura. Nuovi protagonisti, con il coinvolgimento dei lavoratori nelle dinamiche aziendali, e nuovi paradigmi. Insomma, se non sarà questa l’occasione per intraprendere percorsi di valorizzazione e potenziamento dell’economia sociale smettendo di lasciarla ai margini dei programmi di sviluppo del Paese, vorrà dire che avremmo perso non l’ennesima occasione, ma avremmo perso l’occasione per un nuovo rinascimento italiano.
Ora che l’Europa, finalmente, traccia la strada, si guardi decisamente all’innovazione sociale e al mondo vasto del terzo settore come approdo e non già come zattera di salvataggio da utilizzare esclusivamente nei casi di sola emergenza.