di TERESA ALOI
Sostanzialmente, l’applicazione sfrutta la geolocalizzazione per tracciare i movimenti di una persona – iscritta alla piattaforma – risultata positiva al Covid-19. Gli utilizzatori del sevizio vengono così avvisati se hanno incrociato un positivo o se hanno frequentato dei luoghi a rischio contagio. L’utente o un paziente infetto verrà avvistato tramite una notifica che lo inviterà a recarsi presso le autorità sanitarie per un controllo.
L'App per monitorare la diffusione del coronavirus fa discutere appassionando politici, tecnici, giuristi e semplici cittadini.
Si teme per la privacy e non solo. L'Unione europea è stata chiara: "tracciare i movimenti di un individuo violerebbe il principio per minimizzare la raccolta dei dati e creerebbe rilevanti problemi di sicurezza e privacy". E allora anonimato e niente geolocalizzazione, preferibili app basate sulla volontaria adesione del singolo e su sistemi di prossimità, come il bluetooth, maggiormente selettivi e, dunque, di minore impatto sulla privacy .
Nel frattempo in Israele, la Corte Suprema ha imposto al Governo di adottare una legislazione ad hoc per il tracciamento dei cittadini tramite app in quanto -con decisione resa pubblica domenica 26 aprile 2020 e su sollecitazione di una commissione parlamentare di controllo- ha ritenuto la sussistenza di gravi problemi di privacy in relazione all’uso delle tecniche di monitoraggio per imporre le quarantene.
Ed è su questo che il Commercialista di Catanzaro Lido, revisore legale, membro del Comitato scientifico nazionale Fondazione University School, docente dell'Università federiciana,Monica Peta è intervenuta su Diritto 24, portale del diritto, a cura de Il Sole 24 Ore.
"La scelta di utilizzare un APP per il tracciamento dei contagi, come misura di contenimento della pandemia - spiega Monica Peta - è un tema delicato perché tocca la sfera del diritto di privacy e la libertà costituzionale. La Corte Suprema di Israele si è espressa a riguardo, dichiarando la necessità che il governo adotti una legislazione ad hoc per il tracciamento dei cittadini tramite APP. La decisione è stata resa pubblica domenica 26 aprile 2020, a seguito dell'intervento da parte di una commissione parlamentare di controllo che ha interrotto l'uso delle tecniche di monitoraggio per imporre le quarantene, evidenziando problemi di privacy. La Corte Suprema ha dichiarato che, "il controllo prolungato dei cittadini pone evidenti problemi di privacy, soprattutto per quanto concerne la gestione dei dati e la loro conservazione con evidenti problemi di costituzionalità, oltre che di etica". In sostanza, è ravvisabile un ‘pericolo evidente' nell'utilizzo di un'arma "straordinaria" che potrebbe avere anche dei "risvolti dannosi".Una fonte istituzionale di Asia News, ha sottolineato che, il tracciamento "straordinario", in quanto tale non può proseguire oltre tempi ristretti, e i controlli da parte del governo "non possono" oltrepassare i limiti della legge e della Costituzione. I dubbi in materia si moltiplicano dopo che, anche negli Stati Uniti alcuni Parlamentari, facendo seguito alle istanze espresse dall'ACLU, un'organizzazione non governativa che si occupa di difendere i diritti civili e le libertà individuali negli Stati Uniti, che ha sollevato preoccupazioni sullo strumento di tracciamento dei contatti basato su Bluetooth".
"L'ACLU afferma che, "le soluzioni di tracciamento dei contatti con coronavirus di Google e Apple rappresenterebbero un rischio significativo per la privacy e le libertà civili". Anche in Francia, il Garante Privacy ha pubblicato il 26 aprile il suo parere e ha deciso di riconsiderare nuovamente l'APP dopo il necessario dibattito in Parlamento, allo scopo di esaminare le disposizioni finali per l'attuazione del sistema di utilizzo. Germania e Regno Unito, hanno assunto una posizione molto decisa nei confronti di Apple e Google, con l'intento di realizzare un sistema di trattamento dei dati improntato al principio della sovranità. Le preoccupazioni comuni che -aggiunge Monica Peta - hanno investito i diversi paesi, sono: il diritto di privacy, la libertà' costituzionale, e la rivendicazione di una legge ad hoc. Anche in Italia, proprio in questi ultimi giorni, sull'APP Immuni si è aperto un acceso dibattito, e la rivendicazione di una legge votata in Parlamento che ne legittimi l'utilizzo. Immuni (scaricabile su base volontaria), nella Fase 2 dovrebbe essere uno strumento con cui contenere il diffondersi dei contagi. Con l'utilizzo della tecnologia Bluetooth dello smartphone, l'APP dovrebbe permettere di ripercorrere a ritroso tutti gli incontri di una persona risultata positiva al Covid-19 così da poter rintracciare e isolare i potenziali contagiati, e sarà anche una sorta di diario clinico contenente tutte le informazioni più rilevanti del singolo utente (sesso, età, malattie pregresse, assunzione di farmaci), con un evidente "invasione" nella sfera della privacy di chi la usa. Di conseguenza, molte le parti che sollevano la pretesa secondo cui l'utilizzo dell'app non può essere affrontato esclusivamente con lo strumento dell'ordinanza commissariale, ma va votato in Parlamento, affinché vengano rispettati i limiti di legittimità costituzionale e della privacy individuale. Il Copasir (la Commissione parlamentare per la sicurezza della Repubblica) ha aperto una questione di "sicurezza nazionale" sia per gli aspetti di architettura societaria, sia per quanto riguarda le forme scelte per l'affidamento e la conseguente gestione dell'applicazione".
E allora le criticità da superare sono "una legge del Parlamento ad hoc; la tutela della proprietà e della gestione pubblica dei dati; l'assenza di discriminazioni fra cittadini nel pieno rispetto della privacy; l'individuazione di chi gestisce i dati raccolti e li conserva; la proprietà dei dati. Al momento - conclude Monica Peta - tali criticità sono oggetto di dibattiti e valutazioni nel tentativo di trovare un giusto equilibrio a tutela della privacy e della libertà individuale nel rispetto della Costituzione".
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