Fase 2/Il commento. Antonio Levato: "Questo è ammutinamento"

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Antonio Levato
  15 maggio 2020 23:51

di ANTONIO LEVATO

Non sembri esagerato, ma a ben guardare lo spettacolo cui assistiamo da alcune settimane è quello di una forma d’insurrezione contro lo Stato. Disarmata, ma insurrezione. O, se preferite, ammutinamento dal momento che la rivolta avviene dall’interno delle istituzioni. Ad alzare la bandiera nera però, non sono la plebe con i forconi imbracciati o i marinai, mozzi e cambusieri d’un qualche vascello fantasma. No. Sono i responsabili della cosa pubblica, un intero ceto politico e dirigente. Che dismessi gli abiti del bon ton istituzionale s’è calato il passamontagna come una banda.

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Disarmata, ma banda. Non parliamo dei pubblici ufficiali che svuotano le patrie galere dei brutti ceffi della criminalità. Non parliamo degli industriali con sede legale nei paradisi fiscali che tentano l’assalto alla diligenza dei finanziamenti per la ripartenza, a fondo perduto per noi e guadagnato per loro. Non parliamo neppure della pletora di piccoli e medi evasori fiscali costretti dal Covid ad abbassare le saracinesche, pronti a rialzarle con prezzi moltiplicati a compensazione dei giorni di chiusura e le cui urla e strepiti contro il protrarsi delle restrizioni e gli obblighi sanitari sono tanto sinceri quanto i redditi dichiarati. No, parliamo dei presidenti delle regioni (con la p minuscola anche se loro preferiscono dirsi Governatori). Tutti ai nastri di partenza pronti a scattare nella folle corsa della riapertura. Un avvilente e preoccupante teatrino di protagonismi in competizione tra essi e col governo cui ha partecipato la presidente calabrese, paga alla fine solo dell’aver fatto parlare di sé.

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La performance politica e amministrativa delle regioni e dei relativi sistemi sanitari in questa emergenza pandemica, tranne qualche eccezione, è stata complessivamente deludente. A riprova della necessità di rivedere un assetto che negli anni ha prolificato venti staterelli con mediocri e inetti ceti politici, altrettante mediocri e demenziali burocrazie, non di rado corrotte, e venti sistemi sanitari variamente inefficienti e in deficit.  Tenuti insieme dal vantaggio del far da sé. Vantaggio tanto maggiore quanto maggiore è l’autonomia che, non a caso, si vuole pure rafforzata. Partire tutti, partire subito. Perché se non moriamo di Covid, dicono, moriamo di fame. Ora, per la verità, fino a questo istante nessun notiziario ci ha informati di morti per fame. Ma di trentamila morti per Covid sì. E tuttavia, il tema che ha appassionato in queste ultime settimane il dibattito pubblico non è stato né i poveri né i morti per Covid.  

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È stato la ripartenza dell’economia con l’ipocrita codicillo “purché siano salvaguardate le norme di sicurezza” , salvo poi protestare perché le norme sarebbero troppo stringenti. Quasi che non si sapesse, ripartenza modulata o meno, che il tutto si gioca su un numero di contagiati e, dio non voglia, di morti socialmente “sopportabili”. Una ripartenza imposta e guidata da forze voraci che rivendicano mani libere che sentono di avere, perché lo Stato, inteso come apparato amministrativo, è una groviera. Un via libera ai forti: che la giungla cresca spontanea e chi può arraffare arraffi, questo l’urlo dell’arrembaggio. Il compito della politica sarà solo quello di evitare che un'altra strage di anziani e meno anziani provochi il generale rigetto del sistema nella coscienza impaurita della collettività. La stessa collettività che col progressivo allentamento delle restrizioni viene colta dall’euforia e dall’ottimismo italico, inferiori solo all’euforia di Wuhan o di Seul. Un’euforia favorita oggi dalla generosa pioggia di miliardi stanziati dal governo per il “rilancio” del Paese che incoraggerà ogni arrembaggio e che rischia di mutare il “tutto tornerà come prima” in un sarà peggio di prima, per molti.

Un provvedimento che avrebbe potuto e dovuto segnare una svolta all’insegna dell’uguaglianza e dell’equità sociale, ma che s’è condensato in un “c’è pila per tutti” tranne che per i poveri, vecchi e nuovi, siano essi gli ultimi, penultimi o terzultimi, riservando a questi solo le briciole. Una ulteriore conferma che il liberismo non è morto e che anzi si alimenta pure di pandemia. L’idea che la concentrazione delle risorse finanziarie nei punti forti del sistema aiuti “per gocciolamento” le parti deboli della società s’è fin qui rivelata una illusione e il dibattito di questo periodo mostra e sottolinea ancora una volta la impudicizia di un ragionare e di un operare che non fa differenza tra un acquedotto e una fognatura.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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