Festival Cantastorie, Cimino: “Sei artisti cantano il più grande, Otello Profazio”

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images Festival Cantastorie, Cimino: “Sei artisti cantano il più grande, Otello Profazio”
Franco Cimino
  15 giugno 2025 21:51

di FRANCO CIMINO

“L’avivanu e fara a la chiazza randa. Ma no,megghiu a la terrazza e San Giovanni, c’a genta on vena” . E così tra incertezze e prudenze, accantonate le paure, la scelta é caduta sul complesso monumentale del San Giovanni. Nel cortile interno, però. Quello spazio rettangolare armonioso.

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Quasi chiuso, a formare un elegante teatro naturale, delimitato da quattro mura antiche. E coperto da quel tetto di cielo sempre limpido. Limpido di quel nero trapunto di stelle, garantito dal vento buono di Catanzaro, che allontana le nuvole, dopo avercele fatte godere. Anche nei bei disegni, che esse formano per la fantasia del cuore di chi voglia farle proprie. “ A genta vinna, ma i seggi eranu pochicedri. Chiamati d’e chitarri e tamburi ‘ndavinna atra. E stissa allimpiedi ihnchiendu u teatru d’arretu e longh’i muri. Faciva na bella ‘mpressiona.” La musica chiama. Specialmente, quella che viene da lontano. Dall’orecchio dell’infanzia e dal canticchiare dei genitori anziani. La musica chiama. Specialmente, quando ha motivi antichi e parole conosciute. Quelle della nostra lingua. “A lingua e patrimma e de mammama. E chidra chi mi ficia vidira tanti voti ballara. “ All’interno delle case povere o nei cortili e spiazzi aperti, dove si tarantellava tra parole buone, tante. Una buona mangiata che non finiva mai. E tanto vino a innaffiare il senso di appartenenza, il sentimento identitario. Che faceva sentire tutti parte di un tutto. Tutto unico e indivisibile, la Catanzaresità. E, all’interno di essa, le due specificità. Quelle dei quartieri e di rioni. E la Calabresità, che tutte, se non superava, le conteneva. E le rappresentava, facendoci sentire tutti uguali. Tutti belli. Tutti veri. Tutti vivi. Tutti fieri e combattivi. Mai rassegnati. Mai abbandonati a un destino freddo, indifferente, falso. E bugiardo. Più che la filosofia, che pure non è stata, eredi della Magna Graecia, quali siamo, debole, più che la cultura, felicemente “pluricontaminata”, la nostra, più che la religione, troppo insistita sulle manifestazioni simboliche e ritualistiche, per l’unità di questa Calabria del dolore e della fatica, dei lutti e della gioia, dell’attesa passiva e della speranza attiva, poté la musica e la poesia. Le nostre, pensate e scritte, con il suono dei motivi antichi e con le parole dei nostri padri. Poté di più, la nostra lingua, che, come sostennero i nostri poeti, mutuandola dal più grande tra i siciliani, Ignazio Butitta, e tra i più grandi dei calabresi, Achille Curcio, nessuno é riuscito a strapparci dalla bocca! Tutto questo abbiamo, i presenti, potuto godere, ascoltando e vedendo ciò che si muoveva sul palco, ieri sera in quella splendida cornice. Si chiudeva la due giorni del Festival nazionale dei cantastorie, ideato e organizzato dall’associazione culturale per il recupero delle tradizioni e dei canti popolari. Associazione presieduta e diretta da Francesca Prestia, la nota ed affermata cantastorie calabrese. Quest’anno il Festival è stato interamente dedicato alla figura straordinaria di Otello Profazio. Non avrebbe potuto trovarsi dedica migliore di questa. Puntuale, tra l’altro alla celebrazione del primo anniversario della morte di uno dei più grandi artisti che la musica italiana e la cultura italiana nel loro complesso, possono annoverare. E ieri, nel vortice di mille emozioni, Otello è ritornato. Quasi con forza attraverso le sue canzoni, tratte con attenta selezione, dall’immenso repertorio del grande “ folk singer”. Sei grandi cantastorie si sono alternati con tre canzoni ciascuno, nella riproposizione, con tocco personale e originale, di brani noti e meno noti del grande cantautore. Non era affatto un gioco facile mettere sullo stesso palcoscenico e nella stessa serata sei artisti diversi tra loro in tutto. Voce, strumento, poetica, tratti culturali, età, e diretta conoscenza e frequentazione artistica di Otello. Sei personalità di grandissimo spessore e culturale e artistico e musicale e di cultura specifica della nostra terra, della sua storia, della sua antica tradizione musicale. Bello e simpatico il loro presentare e presentarsi a vicenda con, io credo, personali pensieri, anche poetici, tutti in dialetto, di stima nei confronti del collega che si sarebbe succeduto. Non so quanto tempo di preparazione ci sia voluto per metterli insieme, ma la sintonia, anche nei tempi e nei ritmi, è stata perfetta. Due ore di concerto-spettacolo teatrale, davvero straordinario. Forse unico. Almeno a mio conoscenza. Unico, forse qui da noi. Talmente bello, che andrebbe riproposto in questa stagione estiva, in tutti quei posti dove cultura e turismo possono creare nuova attenzione e più attenta partecipazione alla vita intima della nostra regione. La Calabria bella come diceva Otello, e come elegantemente hanno ripetuto i sei artisti. Bella, non solo perché c’è il mare e questi monti piccoli così vicini al mare, l’aria così salubre e il cielo sempre chiaro, di un celeste stupendo nel suo modificarsi fino al blu della notte. La Calabria è bella anche per la cultura. Per la storia, per il pensiero, per la letteratura e la poesia, prodotte. Tutto un patrimonio di grandezze che Otello Profazio ha saputo raccontare in una maniera incredibilmente efficace, potente, fine, profonda. Credibile per la coerenza stretta tra lui, artista, e lui persona. Tra l’uomo e lo studioso. Tra il cantante e il poeta. Tra il reggino “regginazzu” e il calabrese “ tutto d’un pezzu”. Coerenza stretta tra il politico e l’intellettuale. Tra il conservatore e il rivoluzionario.

Tra il laico e il religioso. Tra il meridionalista e l’Eropeista italiano. Coerenza, ancora più stretta, tra il filosofo e il sociologo. Tra il non credente e l’uomo di fede. Segreta, forse, quella in Dio. Aperta verso l’uomo

. E l’uomo e la donna calabresi. Questo Otello Profazio abbiamo rivisto ieri sera. E da quei sei grandi artisti, che elenco per nome . Fulvio Cama, Rocco Ienco, Nino Racco, Nando Brusco, Biagio Accardi. Non era facile metterli insieme. Non era facile far raccontare dalla loro voce la bellezza di Otello. Non era facile. Francesca Prestia, tra l’altro una dei sei artisti, vi è riuscita con la sua capacità creativa e con quella di saper utilizzare tutte le risorse, anche umane, che si trova a disposizione. Ieri sera è stata una magnifica serata. Una serata magica che ha consentito anche a chi, come me conosceva, e bene, per averlo studiato attentamente anche nell’età giovanile, forse il più grande dei cantastorie, di conoscerlo meglio. Anche per la sua grande capacità d’autore e di ricercatore e studioso di tradizioni e culture musicali di altre realtà, in particolare di quella siciliana. Mi sono “scialato”, ballando e cantando su quella sedia al centro della prima fila. Mi fanno ancora male le mani per gli applausi. Mi sono commosso per tutto il tempo del concerto. Ma a strapparmi il cuore dal petto fu quella nell’ultima esibizione. L’esibizione dell’unico artista che non conoscevo affatto. Dalla voce possente di Fulvio Cama e dalla sua bollente frenetica chitarra( ha cantato tre canzoni, una credo tutta sua) con Otello si appalesavano due giganti della musica e della cultura siciliana, la mitica Rosa Balistreri, cantastorie, e Ignazio Buttitta, Poeta dialettale immenso. Otello Profazio, Rosa Balostreri tre personalità immense, che io ho studiato e profondamente amato. Tutt’e tre, in quella splendida voce di Fulvio, presenti su quel palco. Una serata così, con una conclusione come questa, e che vuoi di più oltre i sogni e le speranze coltivate, e l’amore di chi ami. 

 

 

 

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