Festival d’autunno, a tu per tu con Gonzalo Rubalcaba: "Mi sono innamorato del jazz a 12 anni"

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images Festival d’autunno, a tu per tu con Gonzalo Rubalcaba: "Mi sono innamorato del jazz a 12 anni"
Gonzalo Rubalcaba
  07 settembre 2023 12:23

di CARLO MIGNOLLI

Il Festival d’autunno torna a Catanzaro l’8 settembre presso il Chiostro dell’Osservanza con la prima nazionale del tour promozionale dell’ultimo album realizzato da Gonzalo Rubalcaba e Pierrick Pédron intitolato proprio “Pédron/Rubalcaba”, da poco riconosciuto come miglior album del 2023 in Francia. Il pianista cubano è considerato una vera e propria leggenda della musica jazz, vincitore di quattro Grammy Awards e di 18 Latin Grammy, ha collaborato con i monumenti del Jazz come Dizzy Gillespie, Chick Corea, Al Di Meola e Herbie Hancock. Attraverso una breve intervista, Rubalcaba ha risposto così ad alcune domande:

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Com’è nata la sua passione per il pianoforte e per la musica in generale?

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“Ho iniziato come batterista, poi sono passato al pianoforte, per fare un piacere a mia madre. Beh, le mamme hanno sempre ragione. Sono cresciuto in una famiglia completamente coinvolta nel campo della musica: non c’erano solo musicisti, ma anche ballerini, pittori. Fin da quando ho memoria, a tre o quattro anni, ricordo che mio padre era in un rehearsal di un’orchestra, e quindi a casa c’erano musicisti che andavano e venivano, non solo per il rehearsal, ma anche per venire a fare visita a mio padre, ai miei fratelli che erano musicisti. Mio nonno, il padre di mio padre, era un musicista molto famoso a Cuba, quindi questo è ciò che ho ascoltato fin da quando ero un bambino molto piccolo. Il Jazz è arrivato qualche tempo dopo: mio padre aveva qualche registrazione jazz, a casa, qualcosa di molto vecchio come “The Vineyard Records”, ma ricordo che la prima volta che la mia attenzione fu catturata da questo genere di musica è stato quando ero un adolescente, intorno ai 12 anni: ho ascoltato alcuni studenti alla scuola di musica mentre improvvisavano, che provavano il linguaggio dell’improvvisazione. Erano più grandi di me, mi hanno colpito e mi sono innamorato di ciò che ho sentito”.

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Come ci si sente ad essere considerato una leggenda della musica jazz?

“È difficile rispondere ad una domanda simile. Prima di tutto perché non mi considero tale. Apprezzo molto il fatto di essere benvoluto in tutto il mondo, dai musicisti, ma anche dalla stampa. Ma davvero non credo di esserlo. Non voglio essere ipocrita: lo sappiamo, quando si fa musica ad un certo livello, ci sono delle colpe che sono la conseguenza di altri aspetti, è la conseguenza di un lavoraccio. E’ una questione di devozione, amore, dell’essere pronto a fare ogni giorno esercizio, a scrivere musica ogni singolo giorno, per cui non importa molto ciò che dice o pensa la gente. Intendiamoci, lo apprezzo molto, perché serve da stimolo, quando senti che la gente si connette a ciò che fai, che la gente, per il modo in cui offri il tuo messaggio, è un dono quando tutto è allineato e conforme al modo in cui tu vuoi comunicare la tua musica. È lo stesso motivo per cui grandi musicisti del passato, oggi sono dei riferimenti per tutti, compreso me: so che è parte della comunità di cui facciamo parte e che viviamo oggi, attraverso la musica noi cerchiamo di cambiare il mondo, o meglio, cerchiamo di fare in modo che la gente pensi alla realtà che la circonda. Lo ripeto, apprezzo il fatto che si dica questo di me, ma credo che anche quando hai un immenso talento, la chiave è sempre il lavoro, la dedizione. E non vale solo per la musica”.

L’8 settembre si esibirà insieme a Pierrick Pédron per la vostra prima nazionale nel contesto della XX edizione del Festival d’autunno. Com’è stato preparare questo concerto e cosa porterete sul palco? Com’è nata la simbiosi con Pédron?

“Pierrick Pédron è un musicista straordinario: è un compositore, un sassofonista, in Francia è molto noto negli ambienti jazz. Ha una carriera bellissima alle spalle, si è ben integrato nella tradizione jazz, con una modalità moderna e contemporanea. Un anno e mezzo fa mi hanno invitato a fare un album con Pierrick. Non ne sapevo molto all’epoca, ma mi spiegarono che l’album sarebbe stato un duo con una selezione di standard americani con nuovi arrangiamenti. L’ho trovata una cosa interessante: anche se non stavo benissimo. Da anni avevo problemi di sinusite, e in quel periodo decisi di affrontare il problema e il medico riscontrò dalle analisi, un’infezione batterica diffusa a tutto l’apparato respiratorio. L’unica cosa che poteva darmi un aiuto era un intervento chirurgico: l’intervento andò benissimo, ma a New York non mi sentivo bene, avevo dolore dappertutto, facevo fatica a respirare, era molto doloroso per me ed ero lì lì per mandare tutto all’aria. Mi resi conto che sarebbe stato un bel problema per la produzione, perché stavano tutti aspettando me, a New York, erano appena arrivati dalla Francia. Abbiamo registrato in una sola volta, sassofono e pianoforte: è stato un lavoro fatto praticamente da drogato, per me, perché ero sotto analgesici molto forti, per poter suonare. Sono molto contento del risultato, il potere della musica, il potere del suono, il potere della connessione, è uscito fuori fin dal rimo momento in cui ci siamo incontrati nello studio, a New York. Non ci eravamo mai incontrati prima, di persona. Ci eravamo sentiti solo tramite telefono o email, e fin dalle primissime note, quando abbiamo cominciato a mettere insieme la musica, la chimica è stata tale che non poteva esserci pillola migliore da prendere, per me. L’album ha riscosso notevole successo in Francia, sono molto felice, orgoglioso ma allo stesso tempo riconoscente del fatto che abbiano chiamato me a farlo, e per questo spero di poter fare più concerti possibili. Abbiamo anche vinto the Victories of Jazz, una sorta di Grammy francese della musica jazz per quest’album. Mi ha piacevolmente sorpreso, questa vittoria”.

Quali consigli darebbe a giovani aspiranti pianisti che si affacciano a questo mondo? Quali sono i suoi progetti per il futuro?

“Io faccio sempre qualcosa. Penso che se non c’è nulla che arriva naturalmente, devi uscire, andare a cercare qualcosa di diverso, devi essere attivo, questa è la chiave per lavorare sempre: cercare di mettere insieme nuovi progetti, forzarti anche a uscire dalla tua comfortable zone, ho fatto molte collaborazioni. Ad esempio, dovrebbe uscire a giorni il nuovo disco di Hamilton de Holanda, il chitarrista brasiliano, in cui ho collaborato a un brano: è un album di duetti, e ne ho fatto anche io uno. Il 15 di Settembre uscirà un solo album record, Borrowed roses, il mio nuovo album, con l’etichetta nuova, il proprietario è Gregory Elias: mi ha chiamato lui per fare un album di canzoni americane, una selezione di standard americani molto conosciuti, non specificatamente provenienti da ambienti jazz, ma anche pop, nei secoli, dagli anni ’20, passando per i ’30 e così via, ne abbiamo scelti dodici che ho reso in piano solo, che è sempre una bella sfida per me. È il primo album solo che faccio da venti anni a questa parte, e va da Sting a Gershwin, Cole Porter,  Duke Ellington, Chick Corea, Bill Evans. Tutta buona musica, di grande livello, realizzata da musicisti pazzeschi. Li abbiamo proposti non in maniera nuova, ma attraverso una visione personale, con nuovi arrangiamenti, in cui cerco di riorganizzare ogni tono ma è la mia visione, ed è sempre secondaria rispetto a come la gente percepisce l’album”.

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