Festival d’Autunno, al via la XXI edizione con “Turandot” di Puccini: l’intervista a Chrystelle Di Marco

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images Festival d’Autunno, al via la XXI edizione con “Turandot” di Puccini: l’intervista a Chrystelle Di Marco
Foto di Pier Paolo Papalia
  02 ottobre 2024 10:34

di CARLO MIGNOLLI

La XXI edizione del Festival d’Autunno di Catanzaro, ideato e diretto da Antonietta Santacroce, prende il via con un omaggio al centenario della morte di Giacomo Puccini. Dopo il recente sold out di Taormina, sabato 5 ottobre, alle ore 21:00, il Teatro Politeama ospiterà la grandiosa opera “Turandot”, riportando in scena una delle creazioni più importanti del compositore toscano, assente dal teatro catanzarese dal 2008. L’opera sarà impreziosita da un cast internazionale di alto livello, tra cui spicca il soprano italo-francese Chrystelle Di Marco, nel ruolo della principessa Turandot, la sicurezza vocale di Eduardo Sandoval nell’inno vittorioso di Calaf, mentre la duttilità di Eleonora Illieva interpreterà la dolce Liù. La fiaba in tre atti, riesce a trasmettere un incanto senza precedenti, grazie alla mise en espace di Salvo Dolce e alla sontuosità vocale del Coro Lirico Siciliano e dell’Orchestra Tchaikowsky.

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Acclamata dalla critica europea come una delle voci drammatiche più potenti al mondo, Chrystelle Di Marco si è raccontata in un’intervista parlando della sua carriera, del futuro e delle sfide emotive e vocali che ha affrontato nel dare vita a un personaggio tanto complesso e affascinante.

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Come ti sei avvicinata al mondo della lirica? C’è stato un momento o un’esperienza particolare che ha acceso in te la passione per il canto e ti ha spinto a intraprendere questa carriera?

«Fin da piccola sono sempre stata una grande amante della musica classica. A quattro anni ero già appassionata delle "Quattro Stagioni" di Vivaldi. La lirica, però, è arrivata nella mia vita quando avevo 11 anni, grazie al conservatorio della mia città, Tolone in Francia, dove ho partecipato a una produzione de “La Tosca” di Puccini. Facevo parte del coro e mi trovavo sul palcoscenico. È stato un vero colpo di fulmine, non solo per l’opera ma per tutto l’ambiente: il direttore d’orchestra, le luci, i costumi, il trucco. Era una grande famiglia che lavorava per un unico obiettivo. Già allora sentivo una sorta di sacralità in quell’atto creativo, un po’ come un gesto d’amore, come uno chef che prepara un piatto con tutta la sua passione ed energia. C’era qualcosa di misterioso e meraviglioso che mi ha profondamente colpito. A undici anni, dunque, sono stata “contagiata” da questa passione».   

Nello spettacolo di Catanzaro interpreterai la principessa Turandot in un momento speciale, celebrando i 100 anni dalla morte di Puccini. Cosa significa per te incarnare un personaggio così complesso e potente in un’occasione così importante? Quali sono le sfide, sia emotive che vocali, che hai affrontato?

«È un’emozione immensa, perché, come ho detto prima, la mia vocazione è nata proprio con Puccini. Lui è un compositore che amo tantissimo, con una scrittura musicale molto particolare, che per me è “carnale”, la sento profondamente. La sua musica ha un impatto immediato anche sul pubblico. Interpretare Turandot, un personaggio così intenso, e farlo con la sua ultima opera, che non ha potuto completare, è un’emozione indescrivibile. Quando ho iniziato a studiare il personaggio e l’opera, già nel 2023, quando ho iniziato a cantarla in scena, mi sono commossa, perché l’emozione di avvicinarmi a quest’opera era così grande che non riuscivo a trattenere le lacrime. Mi affascina molto il simbolismo nascosto nelle opere di Puccini: ogni volta che mi approccio a una sua opera, cerco di scavare per trovare significati più profondi e nascosti. Turandot, ad esempio, è legata al simbolo della luna. L’opera è intrisa di elementi alchemici, e per me è triste che Puccini non abbia potuto completare quest’opera di alchimia. C’è un rapporto molto intenso non solo con il personaggio di Turandot, ma anche con Puccini stesso».

Turandot continua a incantare il pubblico con la sua drammaticità e potenza. Secondo te, cosa rende quest'opera ancora così attuale e coinvolgente dopo quasi un secolo dalla sua creazione?

«Per me, le opere liriche saranno sempre eterne, perché portano un messaggio di virtù, spingono l’essere umano verso qualcosa di più bello e luminoso. Turandot parla dell'amore, che è l'essenza stessa della vita. L’amore è un tema eterno, che non invecchierà mai. Inoltre, c’è un livello più profondo, quasi inconscio, che lo spettatore percepisce senza rendersene conto, e questo rende l’opera ancora più affascinante. Pochi sanno, ad esempio, che la parola “opera” deriva non solo dal latino, ma anche dal greco antico, e significa “vedere” o “guardare una preghiera”. Il teatro stesso è costruito come un tempio, un luogo di preghiera viva, ed è per questo che l'opera è ancora attuale».

La lirica deve spesso bilanciare tradizione e innovazione. Come credi sia possibile avvicinare di più i giovani al mondo della musica classica e dell’opera?

«Credo che il primo passo sia dare ai giovani l'opportunità di avvicinarsi al teatro: di incontrare i cantanti lirici, vedere la scenografia, ascoltare un'orchestra dal vivo. Una volta entrati, è difficile uscire, perché la magia del teatro ti cattura. C’è un pregiudizio che associa la lirica a un’arte elitaria, ma in passato era molto più accessibile al pubblico comune, tanto che si poteva persino mangiare nei teatri. Abbiamo perso un po’ di questo spirito, ma se riportiamo i giovani in teatro, la magia si ricreerà e saranno conquistati dalle emozioni. Bisogna creare ponti tra il teatro e le nuove generazioni, magari organizzando incontri con gli artisti, perché anche noi, prima di salire sul palco, siamo stati giovani e abbiamo vissuto la nostra vita normale».

Quali consigli daresti a chi sogna una carriera nel canto lirico?

«È un mondo particolare, serve tanta pazienza e tanto coraggio, ma il consiglio che spesso mi sento di dare è quello di seguire le “tre F”: forza, fede e fiducia. La strada può essere lunga, perché prima che qualcuno ti dia fiducia e ti metta sul palco, possono passare anni. Ma non bisogna mai perdere la speranza, la fede, perché il momento giusto arriverà. Si parla spesso di fortuna, ma io credo più nella determinazione: forza, fede e fiducia sono le qualità che fanno davvero la differenza».

Guardando al futuro, quali sono i tuoi progetti? C’è un ruolo che non hai ancora interpretato e che sogni di portare in scena?

«Sì, un ruolo che adoro è quello di Elisabetta nell’opera teatrale “Don Carlo”. È un personaggio di una profondità immensa e mi piacerebbe interpretarlo il prima possibile, ma vedremo. Inoltre, mi piace molto lavorare con i giovani e organizzare concerti. In Francia, nella mia città, organizzo concerti chiamati “Instant Classic”, che si tengono due volte al mese, dove il pubblico può assistere gratuitamente e donare quanto desidera. È un modo per avvicinare le persone alla musica classica senza barriere economiche. Organizzo anche un festival dedicato a Chopin per celebrare il romanticismo, che è a me molto caro».

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