di CARLO MIGNOLLI
La magia della chitarra battente torna a risuonare a Soverato. Il 21 agosto alle ore 22:00, l’Arena del Teatro Comunale accoglierà il Francesco Loccisano Trio con il concerto-evento “Cotrà”, ultimo appuntamento della Summer Edition del Festival d’Autunno, giunto alla 22ª edizione. Sarà l’occasione per presentare al pubblico calabrese “Onde d’urto”, il sesto album del musicista di Marina di Gioiosa Ionica Francesco Loccisano, già anticipato dal singolo omonimo.
Un lavoro intenso, nato dal desiderio di scuotere l’indifferenza e il torpore dei tempi moderni, ma anche di valorizzare la forza creativa della Calabria. Otto tracce che intrecciano tradizione e sperimentazione: dal brano-denuncia “Graffi” ai ricordi di tour con Eugenio Bennato in “Variazioni sulla tarantella napoletana”, fino a un delicato invito ai sentimenti con “Gocce d’amore” e alla rivisitazione del classico “La partida” di Carlos Bonnet.
Accanto a Loccisano, sul palco, ci saranno Tonino Palamara (cajon e percussioni) e Antonio Cusato Quel (basso acustico). Insieme danno vita al progetto “Cotrà”, un termine che nel dialetto calabrese richiama il calore e la complicità tra amici.
Dopo le collaborazioni con Eugenio Bennato, Mimmo Cavallaro, Gianna Nannini e Vinicio Capossela, ha portato il suono della sua terra in festival internazionali e nel cinema di Carlos Saura. È inoltre il primo docente in Italia di chitarra battente al Conservatorio “Tchaikovsky” di Nocera Terinese, a conferma del suo impegno nella trasmissione e nella valorizzazione di uno strumento che è identità e radice del Sud.
Francesco Loccisano ha raccontato ai nostri microfoni la genesi dello spettacolo, il ruolo della chitarra battente in Italia e tanto altro.
L’INTERVISTA
Il Festival d’Autunno è giunto quest’anno alla sua ventiduesima edizione. Cosa significa per te esibirti in un contesto così radicato e riconosciuto nel nostro territorio?
«È un contesto molto importante che ho seguito per tanti anni. Ho assistito a tanti concerti organizzati da Antonietta Santacroce e dal Festival d’Autunno e ho sempre sognato di farne parte. Nonostante oggi io sia un musicista internazionale e suoni un po’ dappertutto, la sensibilità di Antonietta mi ha emozionato molto. L’anno scorso sono stato presente non come solista, ma come chitarrista accompagnatore di un altro progetto: proprio lì è nata l’idea di presentare il mio lavoro. Lei mi chiese se ci fosse un disco in uscita e tutto è coinciso come per magia, perché avevo appena concluso il nuovo album. Ho aspettato ad organizzare altri concerti proprio per avere questa occasione, e quindi presentare “Onde d’urto” al Festival d’Autunno. Sono davvero fiero di far parte di un cartellone di rilevanza internazionale».
“Onde d’urto” è sia il titolo del singolo che dell’album. Qual è il significato profondo di questa espressione per te? E come si intrecciano, nel disco, tradizione e sperimentazione elettronica?
«Onde d’urto per me è innanzitutto una scossa emotiva. È la necessità di tornare a raccontare emozioni e sentimenti, che oggi sembrano un po’ messi da parte. Ad esempio, parlare d’amore è diventato quasi impossibile: nel disco c’è un brano, “Gocce d’amore”, che è proprio un invito a riscoprire il romanticismo. In Calabria la tradizione ci ha sempre insegnato a raccontare i sentimenti: l’amore, la gelosia, la “spartènza” (cioè l’emigrazione), lo sdegno. Tutti sentimenti che in realtà hanno l’amore come radice. Questo disco vuole essere quindi uno scossone: un modo per tornare a parlare d’amore, perché se smettiamo di farlo, questo sentimento rischia di perdere importanza. Non voglio più essere soltanto “il chitarrista battente”: voglio essere un poeta che racconta storie con uno strumento fatto d’amore, la chitarra battente. “Onde d’urto” è proprio questo: una scossa che scuote gli animi e ci riporta alla realtà».
Tu sei il primo docente in Italia con una cattedra di chitarra battente al Conservatorio “Tchaikovsky”. Come sta cambiando oggi la percezione di questo strumento, anche tra i giovani musicisti?
«La percezione è completamente cambiata. Un tempo la chitarra battente era vista solo come strumento di accompagnamento al canto, oggi invece è riconosciuta come strumento solista. Questo grazie a vent’anni di lavoro e ricerca. Al Conservatorio abbiamo attirato studenti da tutta Italia: Puglia, Molise, Sicilia, Basilicata, Calabria, Lazio… un segnale che lo strumento sta conquistando nuove generazioni. Lì insegniamo ai ragazzi a partire dalle radici: la chitarra battente si suona come si parla, con l’identità della propria terra. Da questo percorso stanno nascendo talenti molto interessanti, che potranno dare allo strumento nuove strade. Io dico sempre: al benessere non c’è mai limite».
Hai collaborato con artisti come Vinicio Capossela e Gianna Nannini. Cosa porti oggi di queste esperienze nella tua musica?
«Mi hanno insegnato a non pormi limiti. A volte, venendo da un contesto culturalmente non altissimo, rischiamo di metterci da soli dei freni. Ho imparato invece che bisogna osare, anche a costo di sbagliare. Da qualche anno suono la chitarra battente senza più barriere: per me una tarantella calabrese può dialogare con la musica gnawa del Marocco. Con Vinicio ho imparato molto: lui ascoltava la nostra musica con entusiasmo e rispetto. Questo lo abbiamo visto anche all’estero, in Germania, Spagna, Francia, dove c’è grande considerazione per le nostre tradizioni popolari. Tutto questo mi ha spinto ad osare sempre di più, anche a costo di sembrare “scomodo”».
Sei profondamente legato alla Calabria. Quanto continua a influenzare il tuo modo di comporre e di suonare?
«Tantissimo. Ogni cosa che scrivo porta con sé una parte viva della mia terra: le feste di San Rocco, le feste patronali, le sagre… Amo tutto ciò che è popolare, perché è del popolo. Nonostante i miei viaggi in giro per il mondo, la Calabria resta sempre parte fondamentale della mia vita. Anzi, quando penso a un nuovo brano, lo immagino in dialetto calabrese, nella mia testa».
E per chiudere: come descriveresti il concerto del 21 agosto a Soverato? Cosa deve aspettarsi il pubblico?
«Il pubblico deve aspettarsi un sound completamente rinnovato. Con me ci saranno musicisti provenienti da altri mondi musicali: Tonino Palamara, batterista jazz, che in questo progetto suona cajón e percussioni, e Antonio Cusato Quel, chitarrista jazz con lunga esperienza in Germania, qui al basso acustico. Il risultato è un suono originale, aperto, senza limiti di genere. È da qui che nasce anche il nome del progetto, Cotrà: una parola calabrese che evoca confidenza e complicità, proprio quella che cerchiamo sul palco. Sarà un concerto pieno di sperimentazioni: si passerà dal jazz al rock, dal blues alla world music, a conferma che la chitarra battente non ha confini».
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