di FILIPPO VELTRI
Sono bastate alcune difficoltà nel cammino del governo di tregua (ultimo il caso della frizione con la Lega di Salvini sull’orario del coprifuoco) per far riemergere il rimosso nel centrosinistra. La partecipazione alla maggioranza senza “formula politica” è stata vissuta come un trauma. E, per reagire d’istinto dinanzi a un evento subìto, riaffiorano letture cospiratorie sulla defenestrazione di Conte.
La figura stessa di Draghi viene raffigurata dai giornali d’area come un “cigno nero”, un bonapartista, un tecno-populista, un banchiere. Rimane ancora forte la nostalgia di Conte e del suo governo. Draghi non sfonda nel gradimento dei partiti del centrosinistra che prediligono Conte. La motivazione di questa connessione sentimentale è che Draghi appartiene all’élite mentre Conte è al di fuori dei giri dei poteri influenti. Lo schema populista, che si scaglia contro l’élite assunta come una entità omogenea, ha ormai contagiato il Pd che cosi’ gioca a rivendicare la propria estraneità rispetto alle odiate élite.
L’analisi realistica cede il passo alla recriminazione moralistica. Se il complotto è invocato come causa della rottura del governo di svolta si dimenticano, però, le fragilità di gestione palesate dai ministri quando teorizzavano che negli autobus in un metro quadro potevano tranquillamente starci almeno 5 passeggeri o che la temperatura dei bambini doveva essere misurata a casa prima di essere affidati alle immuni e felici oasi dei banchi a rotelle.
Ciò detto il tentativo di banalizzare l’esperimento di Goffredo Bettini di dare vita ad un’area di discussione sulle sorti della sinistra è altrettanto goffo e miserevole. L’unica cosa sensata, stando per necessità in un governo che nella maggioranza vede la presenza di sicuro compromettente della Lega, non è quella di lavorare adesso ad una alternativa a Draghi ma di individuare punti qualificanti rispetto ai quali si rende percepibile dinanzi al paese la funzione del Pd in una esperienza di governo che rischia di logorarlo.
Il centrosinistra non mostra di aver compreso che se Mario Draghi fallisce per le provocazioni della destra capitanata da Salvini, il capitano leghista e Meloni acciuffano lo scettro. Non certo Letta o Conte.
La verità è che in questa situazione solo il successo del governo può sterilizzare il sovranismo e le forze post-fasciste. La complessità della crisi italiana (economia, pandemia, dissoluzione della politica e della forma di Stato) sconsiglia pertanto di non partecipare al gioco della delegittimazione di Draghi anche se non ne è convinto pienamente (e chi scrive è tra questi) ma di approfittare della tregua per ricostruire il soggetto politico e la rappresentanza sociale del lavoro.
L’autonomia politica della sinistra è l’investimento necessario ma da nessuno tentato seriamente in questa confusa fase che pure ridisegna il modello economico-sociale, la fisionomia del capitalismo italiano e la funzione del lavoro, della conoscenza, dell’amministrazione. Pensare che questi problemi si affrontino con la nostalgia dell’avvocato del popolo (Conte) , con l’immagine del cacciavite e con il questionario on line ai circoli sopravvissuti (Letta) e con il rimpianto del Mattarellum (entrambi i succitati) è il segnale di un centrosinistra attento alle piccole pratiche quotidiane e quindi del tutto fuori fase rispetto alla comprensione del senso reale del passaggio politico-sociale in corso.
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