Filippo Veltri: "Il calcio, mio nipote e la Superlega"

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Filippo Veltri
  21 aprile 2021 07:31

di FILIPPO VELTRI

Da alcune settimane, complice la pandemia, per vedere un po’ di più mio nipote di 11 anni vado a giocare (si fa per dire ovviamente)  a pallone con lui. Con due suoi amici lui gioca sotto casa, in un cortile che non si può nemmeno definire così: in realtà una strettoia in asfalto o basole che sono pure saltate e che mettono a serio rischio le gambe, tra auto parcheggiate, in discesa, in mezzo a palazzi, con gente che passa e spassa. Insomma tutto tranne che un luogo ideale. Di più  non c'è ci si accontenta.

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   A volte faccio l’arbitro, a volte il portiere, a volte l’allenatore. Giocano per due tre ore come dannati. Sudano, si litigano, copiano Ronaldo o Lukaku o Ibra, i loro idoli che vedono in tv. Non si stancano mai difronte a gente che li sgrida, a palloni che si perdono nei cortili vicini o persino sui lampioni. Per porta hanno la serranda di un  garage (con i proprietari che gli urlano ad ogni botta) e le estremità  di due auto parcheggiate con i  guidatori che li minacciano di chiedere i danni.

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  E’ il calcio bellezza!

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   Ieri in una pausa, io piegato dalla fatica e loro che mi incitavano a continuare, ho parlato con i tre per un attimo di questa vergogna della superlega. Non ne sapevano in verità granché ma non erano molto interessati. Per loro il calcio è quel minuscolo spazio che si sono ritagliati per le partite uno contro uno o per quello che loro chiamano il mundialito, cioè ad eliminazione con chi segna di meno che esce subito e uno dei tre che fa il portiere buttando la palla girato di spalle.

  Forse sarebbe il caso che i grandi magnati di Real Madrid o Juve o Inter facessero una capatina dalle parti del cortiletto di mio nipote per capire cos’è ancora il calcio. Nonostante loro.

   E’ – ancora e ripeto nonostante loro – il gusto e la passione di rincorrere un supersantos tra le auto parcheggiate, di lottare e sudare per battere l’amico avversario, di sognare un giorno di andare allo stadio e vedere da vicino il loro idolo. Di alzare le dita al cielo dopo un goal, proprio come fa Cristiano Ronaldo. E’ il calcio non dei sogni o di un magnifico tempo che fu ma è ancora il calcio che resiste oggi, che appassiona e fa soffrire e che è nella testa e nei cuori di tanti bambini e ragazzi. Che hanno i loro idoli e che rischiano di perderli per un pugno di dollari.

   Arturo, Davide e Riccardo mi raccomando! Continuate a giocare in quel vostro vicoletto, non pensate alla superlega. Pensate a non perdere molti palloni e sognate, correte, sudate. Il futuro è vostro e non di Florentino Perez o di Andrea Agnelli.

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