Filippo Veltri: "La clausura dei nostri ragazzi"

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Filippo Veltri
  27 gennaio 2021 09:48

di FILIPPO VELTRI

L’altro giorno ho appreso, per puro caso, che una delle mie nipoti che frequenta il liceo classico è in didattica a distanza, cioè non va a scuola, da marzo dell’anno scorso. Tra chiusure nazionali e locali è andata, sta andando, così

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  Una enormità e ha davanti, lei come centinaia e migliaia di suoi compagni, un altro anno di vita in clausura, che in questa fase dello sviluppo è decisivo per gli anni che restano loro da vivere.

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Il nostro continuo rimuginare sulla pandemia – si poteva fare meglio, si doveva fare meglio, poteva andare peggio e soprattutto, in base a quali principi la abbiamo fronteggiata? – diventa cosi’ ogni giorno più doloroso e angosciante. Il Covid-19 mette in pericolo, oltre ai soggetti deboli affetti da più di una patologia grave, gli anziani  e il costo sociale di questa caratteristica del virus è stato naturalmente addebitato sulle già magre riserve delle generazioni più giovani, praticamente immuni dalla forma grave e costrette a smettere di vivere per proteggere le fasce più deboli.

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  Si è così  deciso, temo senza troppe riflessioni, di non valutare il costo sociale e individuale degli anni di sacrificio di una generazione intera. Perché ormai di anni si tratta dato che si va sempre più delineando una endemizzazione della malattia da Covid-19. Il virus rimarrà con noi, sarà contrastato dai vaccini ma non in tempi brevissimi, nonostante il miracolo scientifico di averne realizzati così tanti in tempi incredibilmente veloci. Dunque, ci troviamo ancora in uno stato emergenziale, e le emergenze non si fronteggiano con un piano, ma con una reazione, una sequenza di decisioni tendenti a salvare il salvabile.

La pandemia non si può più trattare come un’emergenza, ma come un gravissimo problema socio-sanitario di medio se non lungo periodo. Possibile che non ci sia un’idea per preservare sia le vite dei vecchi che quelle dei giovani, in pericolo entrambe in forme e per motivi diversi?

Che il tema che riguardante l’impatto della pandemia sui più giovani non sia stato messo in agenda è reso evidente anche da due caratteristiche ancora non chiare dei numerosi vaccini: non si sa con certezza se e quanto un vaccinato è in grado comunque di trasmettere il virus (arrivano dati confortanti da Israele, ma è presto) e non sono stati testati sui minori di 18 anni, nella maggior parte dei casi. Non si è mai pensato insomma di proteggere i vecchi anche attraverso i più giovani, ottenendone in cambio il ritorno alla vita normale di questi ultimi. Perché non è stato fatto?

   Ci si dovrebbe chiedere se non sarebbe sensato pianificare una progressione del piano vaccinale che avanzi in parallelo a partire dai due estremi, a convergere. Una volta messi in sicurezza operatori sanitari e residenti nelle Rsa si potrebbe cioe’  partire contemporaneamente con gli over 80 e con i 12-18enni, magari organizzando, come si faceva ai miei tempi, presidi vaccinali direttamente nelle scuole. Arrivando poi da ultimo alla popolazione d’età media.

Moderna ha annunciato a metà dicembre l’inizio dei trial per i 12-17enni, ma non ci sono aggiornamenti in merito. Quindi, per esempio, si potrebbero includere già adesso i ragazzi dai 16 ai 18 anni, penso a quelli che vivranno in questo modo così assurdo la maturità, per esempio.

E perché, stante il ritardo imperdonabile con cui si sta iniziando a testare il vaccino sui più giovani, non si investono risorse per avere periodici tamponi rapidi all’ingresso delle scuole, cercando così di assicurare almeno 3-4 giorni di presenza a settimana? Perché costa ed è complesso? Si faccia un piano di investimenti (le risorse non mancano) e una attivazione di tale piano, con ogni mezzo.

   È tragico sottovalutare il danno formativo e soprattutto psicologico che questa situazione apporta ai più giovani. Non è più un’emergenza. È un problema socio-sanitario di durata indefinita. Occorre pensare una strategia, con freddezza e lucidità, senza cinismo ma nemmeno moralismi e semplificazioni, per cominciare a vedere l’orizzonte per preservare, oltre che le preziose vite dei nostri vecchi, anche quelle dei nostri ragazzi.

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