Filippo Vetri: ”Preoccupante l’emergenza educativa”

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Filippo Veltri
  27 febbraio 2021 08:23

di FILIPPO VELTRI

La scuola italiana vive tempi difficili tra chiusure, aperture, allarmi, polemiche. Ma la nostra emergenza educativa, che, a differenza di tante altre, è tutt’altro che apparsa all’improvviso – si pensi a un terremoto, a una pandemia, alla caduta di un meteorite – è fra le riflessioni mancate da almeno 40 anni a questa parte nel nostro Paese.

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Il problema educativo, fra i più distrattamente e goffamente sfiorati in Italia, e’ infatti un po come quello della denatalità, delle forti diseguaglianze di genere, del divario fra ricchezza e povertà, dell’abisso crescente fra aree forti e aree deboli del Paese. Sarà perché queste tematiche sono fra loro strettamente interrelate, sarà perché la qualità della classe dirigente è progressivamente scaduta (ne ha scritto in maniera magistrale Ernesto Galli della Loggia recentemente), sarà per altre cause, il risultato è che oggi la società civile non riesce a trovare parole comuni per descrivere correttamente cosa accade nel mondo dell’educazione e, conseguentemente, come trovare chiavi risolutive della crisi. 

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 Una prima riflessione è che, se non stiamo tutti molto attenti, finiremo presto nella disinformazione digitale. Ne sono già ora testimonianza i tanti social network nei quali, per le orecchie dell’ignaro partecipante, le parole sconsiderate di ignoranti dell’argomento trattato hanno la stessa valenza e lo stesso valore di quella degli esperti. L’ho definita in tempi non sospetti l’universita di facebook.

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  Era un pericolo già avvertito molti secoli fa da Socrate, che avversava i sofisti perché con il loro brillante periodare affascinavano i giovani con concetti spesso vuoti.

  Una seconda riflessione è che la velocità con cui l’informatica e tutto il riflesso di approcci ai problemi che da essa deriva ha ormai reso desueto, inutile se nonaddirittura fastidioso il ricorso alla narrazione del passato, al ricorso all’esperienza e ai saperi antichi.

  La terza riflessione ci rimanda alla storia dei modelli formativi, che è passata in un secolo dalla scuola altamente formativa e selettiva del filosofo Gentile (ventennio fascista) alla confusione odierna, passando per l’abolizione degli avviamenti professionali (primi anni ‘60), per l’abolizione (di fatto di questo si è trattato!) degli esami di Stato (ora quest’anno col nuovo Governo Draghi e’ stato deciso che non si fara’ nemmeno la prova scritta), per approdare ai giorni nostri, dove sarebbe necessario quantomeno chiarire se ciò che vogliamo è una scuola formativa, oppure informativa, oppure educativa. E lo accenno soltanto perche lo sanno bene i pedagoghi quanta differenza c’è nei tre distinti termini.

  Ricordo soltanto che la radice di educare è latina e ci rimanda, anche questa, a Socrate, che voleva trarre fuori ciò che i suoi allievi avevano dentro.

 Un’ultima riflessione voglio riservarla all’impatto che la recente pandemia ha avuto sulle modalità di erogazione della didattica e so di entrare in un terreno minato dove opposte fazioni si combattono ormai da un anno. La didattica a distanza (DAD), o da remoto, o con altri termini inglesi, ci ha costretti a doverci inventare forme di comunicazione prima sconosciute o poco adoperate. E’ giusto e utile che a esse si faccia ricorso, anche quando la pandemia cesserà, ma sarebbe criminale – questo il mio pensiero - pensare di sostituire la classe con il freddo schermo o con una altrettanto fredda lavagna digitale. Le antiche scuole erano formate da docenti che vivevano con i loro discepoli, poi la scuola aperta, come noi la intendiamo, risale addirittura a Carlo Magno. Tali sono state fino a pochissimo tempo fa, lasciando alle telematiche compitiancillari. La classe - sara’ che sono figlio di un maestro - resta il luogo insostituibile dell’educazione, il luogo dove l’incontro è innanzitutto fra pari. Ed è fra i pari che si forma il carattere, nascono le amicizie, gli amori, si affinano i sentimenti, maturano i caratteri, si forma insomma la persona. Quindi, è bene che il sapere e l’universo informatico siano lo strumento di formazione e non il fine (tranne, ovviamente, per quelli che a quest’ultimo si sono professionalmente dedicati!).

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