di FRANCESCA RIZZARI GREGORACE*
Di Achille Fazzari una fonte dell’epoca riporta: «La sua vita è un romanzo, è un vero conte di Montecristo, ha avuto ricchezze strepitose, milioni e milioni, oggi povero, domani è proprietario di milioni. È audace e di coraggio».
Il dizionario scientifico Melzi lo definisce uomo d’affari e patriota e ancora il Pungolo di Milano nel gennaio 1887 scriveva: «Un insieme di molte spiccate individualità: soldato, uomo d’affari, giornalista, industriale, povero nelle origini, poi ricco e prodigo che fece e disfece parecchie volte fortuna e posizione. Intimo di Garibaldi e amico devoto di Vittorio Emanuele, amico di De Pretis e di Nicotera, ignorante e colto, garibaldino e moderato, uomo di cuore sempre, capace di tutti gli ardimenti fisici e morali, volontà d’acciaio, impegno aperto e pronto».
Rocco Salvatore Achille è una personalità alquanto variegata e complessa con straordinarie idee e voglia di grandezza ed evidenzia intraprendenza e capacità non comuni.
Primo di altri tre fratelli (Salvatore Raffaele Giuseppe – 1840, Carlo Francesco Alessandro – 1843, Angelo Luigi Giuseppe – 1846), nacque a Stalettì (CZ) il 29/03/1839, il padre Annunziato, appaltatore originario di San Giorgio Morgeto, uomo di idee liberali accusato di attentato e cospirazione contro la sicurezza dello Stato nel fine di distruggere e cambiare il governo, veniva condannato all’ergastolo, pena poi commutata in 25 anni di prigione e 100 ducati da pagare, la madre, Mariannina Fulciniti, era una donna del popolo.
Sempre attratto da un modus vivendi dinamico, Achille non seguì corsi regolari di studi, ma emigrò in America ansioso di fare fortuna, tornò, si arruolò caporale nel XII reggimento dell’esercito borbonico, per poi disertare nel 1860 e unirsi ai Mille di Garibaldi al loro arrivo in Calabria. Si distinse nella battaglia del Volturno quando, con il fratello Raffaele e il reggino Rocco de Zerbi, alla testa di quattordici audaci calabresi, si slanciò all’assedio di un fortilizio borbonico che cedette. Il Generale nell’ordine del giorno lo menzionò e così, di battaglia in battaglia, ottenne il grado di colonnello. In quel frangente fece amicizia con Menotti Garibaldi; i due si ritrovarono nel 1867 nel tentativo di riconquistare Roma, giorno 4 ottobre alle 4 del pomeriggio a Monte libretti i garibaldini vennero attaccati dagli zuavi e il calabrese fu ferito al piede sinistro.
Da uomo d’affari Fazzari ebbe fiuto e invenzione e le sue attività furono molteplici. La sua fu una continua ascesa a livello sociale, economico e politico. Con i figli di Garibaldi e, con Ricciotti in particolare (consigliere comunale nella città di Catanzaro), strinse rapporti commerciali e industriali. Nel 1867 rilevò una vasta proprietà agricola e industriale, la Ferdinandea, detta così perché tenuta di caccia dei reali borbonici, per £ 524.667,21. Nel 1874 completò l’acquisto all’asta di terreni, segherie, miniere di ferro e grafite tra Mongiana, Pazzano, Bivongi, Stilo, Pizzo, Serra S. Bruno.
Rifacendosi così alla legge ancora vigente di Garibaldi dittatore, favorevole alla costruzione di una rete ferroviaria che nel sud era stata affidata alla società Adami-Lemmi, formò la società con Menotti Garibaldi & Co. (Bertani, Ricciotti G.), acquistò interi boschi per la produzione di traversine ferroviarie appoggiato dal banchiere Bastogi e dallo stesso presidente del Consiglio Bettino Ricasoli (1866 – 71).
Sempre con Menotti si associò al catanzarese Luigi Caruso per la formazione di un’impresa di costruzione per la galleria ferroviaria di Stalettì e la strada provinciale di Catanzaro marina. A Stalettì quindi edificò la grandiosa casa di Copanello, affacciata su una stupenda visuale della costa ionica.
Nel frattempo alimentava l’amicizia con il Generale e fu proprio lui a scegliergli una balia per il nipotino Lincoln, figlio di Teresita, non bella come aveva chiesto l’eroe. La donna scelta fu la piemontese Francesca Armosino, poi madre di Manlio e Clelia Garibaldi.
Il 10 agosto 1870 Fazzari sposò Marianna detta Manny, unica figlia dell’avvocato Giuseppe Rossi e di Camilla Manfredi. Dalla felice unione nacquero Gemma, Moltke (tenuto a battesimo dal maresciallo prussiano), Maria, Corrado, Spartaco, Elsa. Nel frattempo, veniva realizzato il bel palazzo su corso Vittorio Emanuele in stile neorinascimentale, progettato da uno dei più apprezzati architetti del tempo: il fiorentino Andreotti.
Fazzari aveva conosciuto il suocero nel 1847 quando, all’età di otto anni, con la madre aveva fatto visita al proprio padre, detenuto politico nelle carceri del San Giovanni, e là era stato attratto da altri uomini che subivano la stessa sorte.
Fu sempre Giuseppe Rossi a dargli sostegno giuridico e, al bisogno, anche economico. Da come si legge negli scritti della corrispondenza epistolare dell’Archivio del Risorgimento di Roma, Fazzari navigava in un mare di amici e conoscenti attraverso richieste, raccomandazioni, favori.
«Desidererei vedere nominato commendatore motu proprio il deputato Ludovico Fusco presidente del Consiglio Agrario».
Al senatore Urbanino Rattazzi, ministro della real casa, scriveva di essere stato in visita dai sovrani e ancora la moglie in un’altra missiva chiedeva al politico mille lire in prestito, e la stessa il 20 luglio 1894 lo ringraziava per essere stato vicino alla sua famiglia «in un angoscioso periodo di tempo creatoci con arte infernale dalla malvagità di alcuni tristi», alludeva al coinvolgimento del marito nello scandalo della Banca Romana del 1893 dalla quale aveva ricevuto un grosso prestito. Nel processo era stato strenuamente difeso dal suocero, senatore di sinistra. La sua assoluzione però non aveva risparmiato deplorevoli ammonimenti agli uomini politici che lo avevano favorito nell’operazione, quali i suoi conterranei Chimirri e Nicotera.
Interessante è quanto riporta la lettera del 1907 quando evoca di essere stato in casa di Urbano Rattazzi senior, zio dell’amico il quale, alla presenza di Guerzoni e di Menotti Garibaldi, aveva letto uno scritto inviatogli da Camillo Benso con questa frase: «Oggi ho visto Daniele Manin, in fondo è un bravo uomo ma egli mi parla dell’unità d’Italia e di altre corbellerie…».
Intanto Fazzari si dava all’esportazione dell’olio che produceva nei frantoi di Catanzaro marina con la società Brothers Garibaldi Society e lo stesso Eroe, in qualità di garante dei figli, impegnava l’isola di Caprera.
Il contratto con l’industriale Pochin proponeva un prestito coperto dall’olio del Fazzari e dal granito di Caprera che non fu mai spedito. Il debito di 5000 lire non venne onorato e il vecchio condottiero, per poter riscattare l’isola, accettò quasi con umiliazione il dono dello Stato.
Nel 1879, quando Ricciotti si era trasferito in Australia alla ricerca di una stabilità economica, Fazzari prospettò con l’assenso del Papa e del Re uno sbocco nella Nuova Guinea per l’emigrazione italiana. Quindi sarebbero partiti dall’Italia da 2000 a 2500 persone provviste di armi e di attrezzi utili, si sarebbero istituiti tutti i mestieri, le arti e le professioni; si sarebbe fatto però a meno degli avvocati. La proposta non fu condivisa dallo stesso Garibaldi padre e dall’ambasciatore a Londra: una tale situazione avrebbe creato difficoltà internazionali.
La devozione di Fazzari nei confronti del Generale è data dall’interessamento dello scioglimento del II matrimonio dell’Eroe con Giuseppina Mantica Odescalchi, ripudiata al termine della cerimonia nuziale avvenuta il 16 gennaio 1860, in quanto informato che lei aspettasse un figlio da Luigi Caroli, garibaldino di Bergamo. Le pratiche dell’annullamento, che si prolungarono per un ventennio, furono affidate all’avvocato avellinese Pasquale Stanislao Mancini, professore di diritto penale. L’iter fu lungo e ostacolato in parlamento da qualche politico di idee avverse. E finalmente da La Maddalena l’interessato scriveva: «A Mancini, a Voi, a Menotti, gratitudine eterna e a quanti contribuirono all’ultimo dovere della mia vita».
Nel frattempo Fazzari era più ricco che mai, comprava terreni e caseggiati, nella Ferdinandea, dove conservava reperti della Calabria dai tempi di Ruggero il Normanno ai suoi giorni (vasi, monete, statue, quadri, libri, sarcofagi), ospitava i suoi amici, da Matilde Serao, incantata dalla bellezza dei luoghi e dall’eleganza della casa, ad Avanzin, Acton, Brin, Giolitti, Gian Turco, de Zerbi e in loro onore, all’arrivo faceva cadere sotto i colpi di scure un abete dalla circonferenza di tre metri. Un giorno ospitò un reggimento di passaggio e “nel bosco fece trovare una canalizzazione di acqua limpida e freschissima con 80 catenelle, 80 asciugamani, saponi e spazzole e 1 litro di vino a testa per i 400 soldati e blocchi di neve bianca perché il vino non subisse il calore del giorno”.
Nella sua casa dimorò per anni il francese Ignazio Krome, lo zuavo che a Montelibretti aveva deviato il colpo mortale intenerito dal suo giovane viso.
E fu anche uomo di cuore. Si dimostrò controcorrente quando nel 1865, dalle pagine dell’Avanguardia di Torino, denunciò l’operato del generale Pallavicini di Priola (poi futuro zio acquisito perché coniuge di Ottavia Manfredi, sorella della suocera) per gli incivili maltrattamenti nella lotta al brigantaggio della Calabria Ultra II e Citra. Fu sfidato da 200 soldati, compreso il Marchese, per cui si giunse all’arresto. I duelli non si svolsero e Garibaldi stesso lo sostenne: aveva difeso la sua gente.
Aiutò i terremotati di Ischia del 1893 e di Reggio nel 1908. Fornì il granito per la ricostruzione della Certosa di Serra San Bruno molto danneggiata e i monaci con gratitudine lo insignirono di pergamena. La pergamena rappresenta a destra il prospetto del sontuoso palazzo della Ferdinandea tra i faggi, a sinistra la chiesa di S. Maria del Bosco tra gli abeti e in basso la certosa distrutta dal terremoto.
Alla celebrazione commemorativa di Mentana un giornalista del Fracassa, poi onorevole Foille, venne aggredito perché la sua spilla, ridotta in frantumi, raffigurava la testa di un sacerdote e quindi il sostegno ai clericali. Fazzari vistolo malconcio, gli fece avere in dono una spilla d’oro con tre facce, una con l’effigie del viso di Garibaldi, l’altra di Pio X e l’altra ancora di Vittorio Emanuele. Se ne sarebbe servito in ogni occasione.
Spinto d’amor patrio, Fazzari s’interessò di politica: nel 1874 fu deputato con l’estrema destra ma si dimise. Per risolvere la questione italiana aveva proposto un accordo anglo-russo-germanico per la spartizione delle terre, per l’Italia auspicava Trento, Trieste, Nizza, Corsica, Savoia e Malta. Nel 1886 si ricandidò alle elezioni politiche e il suo programma fu distribuito in tutta la Calabria, e 400 sindaci su 485 lo appoggiarono, riuscendo a battere il massone Giosuè Carducci. Auspicava la conciliazione tra Stato e Chiesa ma i tempi non erano maturi e così si procurò ostilità in parlamento. Rassegnò le dimissioni il 12 giugno 1887. Durante il suo mandato aveva proposto per la sua terra una linea ferroviaria Catanzaro-Curinga e Spezzano-Potenza e ancora la costruzione di un porto a Squillace di iniziativa privata.
Nel 1900 pubblicò la Costituente, un testo di quindici pagine nel quale poneva soluzione ai problemi amministrativi con la limitazione dei parlamentari, l’abolizione degli uffici inutili e quindi l’agevolazione della burocrazia.
La sua voce si divulgò attraverso pagine di giornali quali Fanfulla, che aveva tra i suoi collaboratori Capuana, Carducci, Verga e D’Annunzio, Riforma quotidiana, il Corriere di Roma, il Piccolo e altri. A Vamba, pseudonimo di Luigi Bertelli, autore del Giornalino di Gian Burrasca, scriveva: «Plaudo quanto tu ti proponi di fare per i ragazzi». Per affetto verso Nicotera diresse per qualche tempo Il Bersagliere e più tardi Il Torneo da lui fondato.
La sua devozione all’ormai vecchio Garibaldi si protrasse, il legame fu sempre vivo. Fu lui ad accompagnarlo nell’ultimo viaggio a Palermo in occasione del VI centenario dei Vespri Siciliani. Provvide a tutto. Alla stazione di Catanzaro salì il suocero, Giuseppe Rossi e, poiché il Dittatore aveva espresso di salutare i familiari dell’amico, vi fu una permanenza di 24 ore nella casa di Copanello nella quale il nizzardo, ammirando il panorama, definì quella dimora preferibile alle altre. Il forte sentimento di amicizia si sugellò con una forma di parentela acquisita. Elsa Fazzari sposò uno dei quattordici figli di Teresita, Foscolo Canzio e, morto questi, l’anno successivo un altro figlio, Cairoli detto Cino.
Sempre preso dalla sua dinamicità di pensiero, Fazzari redasse uno statuto per l’istituzione di una colonia di pescatori e agricoltori nel golfo di Squillace detta Cassiodoro. Voleva emulare i Comunalia del ministro di Teodorico fondati sulla ratio. In 21 punti, nei quali si rifaceva ad una proprietà comune dove i componenti erano divisi in famiglie e perseverava l’ignoranza assoluta, proponeva una società di lavoratori che vivesse di sussistenza in un ambiente sereno: «Il lavoro dovrà cominciare la mattina per tempo e l’ora di coricarsi è stabilita al crepuscolo essendo proibito fare uso di luci».
Morì nella casa di Copanello il 19 novembre 1910, fu seppellito tra gli scogli del suo mare come scrive il figlio Moltke all’allora sindaco di Roma: «Ora che la salma di mio padre è scesa nel granitico scoglio di Copanello…». La famiglia ricevette un’infinità di dimostrazioni di condoglianze dai sovrani al Papa, ai certosini, ai politici, ai giornalisti, alla gente comune.
Al Gianicolo gli è stato dedicato un busto marmoreo, opera di Mario Rutelli, la cui copia è stata sistemata nel suo paese natale.
In seguito all’Udienza del Tribunale Civile di Gerace del 16 maggio ore 11, stabilita con Ordine Presidenziale del 24 febbraio 1917, venivano messi all’asta a danno degli eredi del Fazzari i molti averi tra i quali:
L’allora ministro Martini della Pubblica Istruzione disse che Fazzari se fosse stato in possesso di un titolo di studio, avrebbe sconvolto il mondo.
*Componente della commissione toponomastica cittadina
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