"A Bruxelles ha vinto l'Europa e... Giuseppe Conte. Adesso vincano gli europei"

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Franco Cimino
  23 luglio 2020 15:16

L’altro ieri mattina all’alba del centro Europa geografico, esattamente alle ore 5,31, è stato raggiunto il famoso e tanto atteso accordo tra i capi di governo dei paesi della Comunità Europea. Sottolineo queste ultime tre parole, perché nei durissimi e lunghi quattro giorni di riunioni a Bruxelles, quei presidenti sembravano essere più i rappresentati di nazioni indipendenti da tutto, libere da ogni legame, distinti e distanti tra loro come altri mai, che non i componenti di una unica realtà politica e istituzionale. Divisi, arrabbiati, diffidenti e sospettosi, stanchi e con il fiato dei loro singoli popoli sul collo, sono entrati in quel palazzo imponente e in queste condizioni psicologiche ci sono rimasti a lungo.

Ciascuno di loro era gravato anche dalla stessa stanchezza e dalla identica paura. La stanchezza di questi cinque faticosissimi mesi di lotta contro il coronavirus e la paura di ritornare sconfitti nei rispettivi paesi con le inevitabili conseguenze sulle loro carriere personali. Tra elezioni imminenti, per alcuni, e ipotesi di sfiducia parlamentare, per altri, la porta della “ cacciata” era quasi aperta. Incollati a quelle finestre, anche dei piani più alti, gli occhi sgranati e i respiri affannosi dei loro avversari politici che, ciascuno con la propria “grazia”, menava iella e invocava la sfortuna. Insomma, si era partiti davvero male. Nei singoli paesi la divisione era ancora più dura, con aggressività quasi da stadio. Essa riguardava le lotte interne tra fazioni politiche e l’avversione feroce di tutti nei confronti del Paese nemico. Ovvero, dall’interno pretestuosamente presentato come tale. La questione del “nemico capitale” è ormai diventata dominante in una società (diciamo occidentale ma in vero planetaria), in cui inventarsi un nemico aiuta i governi a eludere le proprie responsabilità nei confronti dei loro cittadini e le singole persone a scaricare sull’altro le proprie frustrazioni e la propria insensibilità politica. Come è ormai dimostrabile, purtroppo il tempo che viviamo si nutre di odio, di sete di vendetta, di bisogno di veder l’altro morire per aver certezza della propria sopravvivenza. Siamo giunti al tempo primordiale, al “ritorno a un futuro” che sa di inizio, a un oggi che non comprende il cammino dell’uomo verso la Civiltà e il Progresso. La famosa frase “ homo homini lupus” , che il filosofo del seicento Thomas Hobbes ha rubato al più antico Plauto, il commediografo, sembra la didascalia che campeggia sulle porte di ogni comunità, nella quale viene praticata quasi come un allenamento per quando odiare gli altri. Il diverso, di cui tanto sempre abbiamo parlato, in questi ultimi cinquant’anni assai di più, non è più solo il “negro” e l’omosessuale di quasi tutto il novecento, non è il diversamente religioso( l’Islamico per i cattolici fanatici e tradizionalisti, il cristiano per i musulmani estremisti), dei primissimi anni duemila. Non è più solo l’immigrato delle ultime stagioni. Il nemico è il diverso e, questi, l’altro da noi. È il povero che bussa alla nostra porta per il pane che scarseggia. Il nemico è il nostro io riflesso nell’altro, la nostra paura negli occhi dell’altro. Il nostro nemico si chiama povertà. Vederla davanti a noi ci terrorizza. La nostra psiche istintivamente, da una parte, la rimuove come inaccettabile e, dall’altra, la percepisce come un fantasma che si aggira presso di noi per prenderci quel che abbiamo. Il nemico siamo noi, dunque, e l’odio che lanciamo contro gli altri è odio che ci torna indietro, tsunami che travolgerà tutta l’umanità.

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La narrazione biblica ci tramanda l’immagine dei due odi più feroci, impensabili con cuore umano: il tradimento della fiducia di Dio da parte di Adamo ed Eva e la morte violenta di Abele per mano omicida del fratello Caino. Due morti che avrebbero dovuto combattere la morte, due tradimenti che avrebbero dovuto educare alla fedeltà, il tanto sangue versato per costruire la fratellanza, sostituire l’egoismo con la generosità, la carità personale e la solidarietà sociale. A distanza di un doppio millennio e più, nelle mani di questo pianeta sembra essere rimasta solo la tecnica più evoluta e più arrogante. La forza, cioè, apparentemente progressiva, inarrestabile e invincibile, che quegli odi e quell’egoismo alimenta e diffonde. Una forza incontrollabile che, addirittura, dopo aver indebolito la coscienza individuale, sembra voler fare a meno anche dell’intelligenza umana che l’ha creata. Un qualcosa di questi sentimenti ha preceduto e ha accompagnato gran parte del vertice europeo. Abbiamo tutti ascoltato frasi del tipo “ quel paese pur devastato dal virus( un male cioè che in forme diverse ha colpito tutto il mondo), se la sbrighi da solo”. Oppure, “ neppure un centesimo deve esser dato all’Italia”. E ancora:” i soldi, pochi, solo in prestito, da restituire con alti tassi di interesse”. E per non finire, ma solo per sintetizzare:” sottomettere al pieno controllo delle autorità oltre confine( banche, Troika di qualsiasi natura e commissioni varie) l’attività dei governi nazionali indebitati”. Insomma, la pretesa di fare del Continente dell’emergenza sanitaria e dei paesi sofferenti, un’altra specie di Grecia da commissariare e sottomettere, spremere come un limone e umiliare, voleva farsi politica europea e strumento per la costruzione di nuovi equilibri geo-politici. Gli ignoranti della politica, i furbi dei sottopoteri, i populisti d’occasione, i demagoghi dell’autocelebrazione di se stessi, i cultori del rancore, i vendicatori della notte, i procacciatori di voti al mercato del nulla-pensiero, i cacciatori di taglie, i respingenti in mare chiunque cerchi pane e sicurezza, sparsi numerosamente in tutto il vecchio Continente, hanno spinto a pensare che la posta in gioco di queste ultime settimane fosse la quantità di soldi che ciascun capo di governo avrebbe, a suo piacimento, potuto portare a casa per impiegarli secondo le libere scelte degli interessi nazionalisti. Hanno spinto a pensare che le dispute interne ai singoli paesi, fossero la ragione più importante da mostrare e Bruxelles, concepita come una sorta di ring speculare in cui far valere all’esterno il vincitore con cui “ quelli lì” avrebbero dovuto fare i conti il giorno dopo. Invece, pochi, anche tra i più avveduti e politicamente attrezzati di cultura europeista e di senso democratico, hanno capito che la partita da giocare era un’altra, la posta in gioca un’altra, la vittoria da conseguire un’altra. Era l’Europa. Chi avrebbe vinto sarebbe stata l’Europa. Sarebbe stata solo lei a sconfiggere i suoi veri nemici. Che, si badi bene, non sono soltanto i nazionalisti e i sovranisti. Sono anche, direi soprattutto, i populisti di ogni genere e provenienza, dentro i quali si annidano gli egoismi della peggiore disumanità. Quelli che fanno male davvero, armati, come sono, di banche rapaci e di intrecci perversi tra gruppi invisibili. E di quel capitalismo finanziario, che sta avvelenando il mondo, sulla povertà si arricchisce e suoi poveri specula, alimentando il debito, dei privati e del pubblico, vendendo denaro di carta velina e rubando l’oro vero. Quello dei forzieri del Tesoro e delle case dei cittadini. Con il documento sottoscritto ieri, ha vinto l’Europa politica, lo Stato tendenzialmente unitario che guarda agli interessi dei popoli dentro un solo popolo. Dei settecentocinquanta miliardi di euro erogati, nella doppia formula del fondo perduto e del prestito agevolato, si è detto in sole ventiquattr’ore di tutto e di più. Essi sono una cifra talmente alta e inaspettata che chiunque può dire la sua interpretandoli a modo proprio. Anche secondo la più grande delle originalità( l’abbiamo più volte ascoltata anche in Parlamento) che essi non servono o perché arriverebbero in ritardo o semplicemente perché no, non valgono. Tuttavia, ciò che ha reso storici questi finanziamenti non è la quantità, ma la qualità. È in essa che si ritrova l’Europa che stavamo smarrendo. Non tutta l’Europa, evidentemente, ma qualcosa che le somigli sì. Questa montagna, di certo non l’Everest, di soldi viene dalla Politica e dai suoi organi rappresentativi e di governo, non dalle banche e neppure dalla Banca Centrale Europea( in termini politici e ideali parlando non in quelli strettamente tecnici e monetari). Per la prima volta insieme, accanto ai capi di governo, si sono trovati il presidente del Consiglio Europeo, la presidente della Commissione Europea, il presidente del Parlamento Europeo. Questo è il fatto storico da cui può rinascere una nuova stagione per l’Europa e un progetto reale per la sua definitiva consacrazione quale Autorità democratica per il governo dei popoli europei uniti e per la crescita della Democrazia. La più alta istituzione sovranazionale, cioè, che operi per la pace dentro i suoi confini e per la pace nel mondo. E siccome non v’è Pace senza libertà e giustizia sociale, l’Europa che sta rinascendo questo impegno, vero giuramento costituzionale, l’ha, embrionalmente, inserito in quell’ora del mattino del ventuno luglio nei cieli di Bruxelles. L’alba ancora non spunta, ma l’aurora si è vista bene.

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Tutti gli occhi sani l’hanno vista. Gli occhi sani dei ciechi l’hanno vista pure. Il cuore e l’onestà della mente hanno dato a tutti la giusta luce. In conclusione di questo scritto, che riprenderò per trattare singoli aspetti della giornata storicamente assai importante, vorrei fare un solo nome, il suo, quello di Giuseppe Conte. Egli ha vinto davvero, consacrandosi ieri definitivamente quale leader vero e di spessore, il leader inaspettato e sorprendente di suo, non perché abbia vinto una dura trattativa nella quale è entrato con poche chance di successo. E neppure perché ha portato a Roma duecento e otto miliardi(il ventotto per cento dell’intero ammontare) e alle condizioni vantaggiose ben note. Giuseppi( non lo si insultava così?) Conte ha vinto perché ha vinto l’Europa. Lui più di tutti gli altri, con Davide Sassoli, il presidente del Parlamento, e Paolo Gentiloni, il Commissario europeo, che lo hanno affiancato, ha contribuito enormemente a far vincere l’Europa. Il miglior regalo che ha fatto all’Italia di Spinelli e De Gasperi, è stato questo. Il resto, del come meglio impiegare i fondi sulle tracce già disegnare dall’accordo, è atto politico di governo, che deciderà, come da lui stesso annunciato, in Parlamento e con la possibile unità delle forze politiche senza alcuna distinzione. L’Europa sta per rinascere, facciamoci europei.
                                                                  Franco Cimino

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