di FRANCO CIMINO
Confesso che mi era antipatico. Poco o molto non saprei dire, ma mi era antipatico. Addirittura, prima di incontrarlo di persona, mi appariva così. Naturalmente, per come mi possa essere antipatica una persona, considerato che io, per natura, non porto sentimenti, diciamo, negativi neppure nei confronti di quanti, e sono però pochissimi, mi hanno voluto anche male. Ovvero, nei confronti degli odiatori di professione, specialmente se vittime essi stessi, poverini, della propria invidia verso il semplice respirare altrui. Antipatia o no, lui mi incuriosiva. Per gli stessi motivi di quel sentimento, richiamava in me un certo interesse verso quella personalità evidentemente piena. Accesa. Poliedrica. Vitalissima e dinamica. Un vulcano. Un tiramolla che, nonostante il suo volume fisico, andava di qua e di là con una velocità da centometrista . E, poi, quel sorriso stampato sulla faccia da bambino e quegli occhi luminosi sotto le lenti spesse, che ti apparivano da ogni parte, giornali, rete, televisioni, eh un po’ ti lasciavano pensare. Una cosa, soprattutto, alla catanzarisa: “ma chissu chi vò! Duva vó ma và.” E subito la risposta del primo, con cui parlavi per domandare di lui:” ma duv’ava e hira, prima o poi ‘n troppica e si stroppia!” Ma lui, non se ne cura e accelera ritmo e ambizioni. Non ci sarebbe stato bisogno di indovinare per capire che il suo pallino era la politica quando ha fatto il boom con l’elezione a presidente dell’Ordine degli Avvocati. E così, mi fu facile vincere la scommessa con amici che lo conoscevano bene conoscendolo di fatto poco. Il suo obiettivo sarebbe stato fare il sindaco di Catanzaro,e sempre come una prima tappa. Vennero prima le regionali, e si candidò lì. Lo fece con l’unica lista che non temeva di candidarlo, come le altre che glielo impedirono, immaginando che gli avrebbe “ rubacchiato” un bel cesto di voti che altro…” duva a de hira chissu cá” con una circoscrizione elettorale grande quanto le tre province. Invece, eccolo lì che, sorprendendo tutti, arriva al terzo posto, pochissimi voti sotto l’elezione certa. Voti chiari. Cercati da lui e a lui dati. È rimasto fuori, “ mo’ è cuntentu? Fatto il giro della giostra si metterà l’anima in pace? “ On vidi a idru” direbbe il nostro Enzo Colacino. Idru, lui, il nostro, il mio antipatico, che fa? Aguzza l’ingegno, legge le carte, quelle nascoste innanzitutto, e scopre qualche irregolarità nella dichiarazione di candidature dei due eletti che lo precedono in lista. Animo duro e mente fredda, ricorre avverso quelle elezioni. E vince la prima battuta, per uno dei due ricorsi. Potrebbe aspettare, lavorandoci sopra in modo esclusivo, l’iter dei due procedimenti, ma lui no. Potrebbe annoiarsi, forse. Arrivano le elezioni amministrative e, uno contro tutti, sì tutti, si candida a sindaco. Con la sua vivacità e “ faccia tosta” raggiunge il centro del proscenio e si gioca la partita. Per vincere. Non la carica di primo cittadino, ma la postazione più importante, quella di uomo determinante a far vincere il nuovo sindaco. E, siccome non gli piacciono le piccole vittorie, lui che fa? Una cosa sola, una di quelle da corrergli dietro con un matterello, di quelli che abbiamo visto nei fumetti della nostra fanciullezza. Specialmente, quello contro Superbone, ( i ragazzi della mia generazione lo ricorderanno di certo)figura alla quale il nostro mi sembrava si potesse accostare. Vincere, non potendo fare il sindaco, per lui significare far perdere anche i suoi nemici, cioè tutto quel centrodestra, e Forza Italia, che lo rinnegò, offendendolo in qualche modo più volte. Sceglie Fiorita al ballottaggio. E lo sceglie con una motivazione aggiuntiva( stima e affetto per la persona, a parte, ove mai facessero parte del suo registro di politica o di potere se non di potere politico). Questa, Fiorita vincendo non avrebbe una sua maggioranza in Consiglio, per cui non solo i suoi voti ma i consiglieri eletti con lui, sarebbero risultati molto determinanti ogni giorno e ogni minuto dell’attività amministrativa. E così via dicendo, perché potrei proseguire ancora rendendo addirittura assai simpatica questa figura di politico apparentemente vecchio e nuovo nello stesso tempo. Invece, io voglio continuare a dirvi della mia antipatia che su questo terreno cresceva. “ Ma altro che “ chi vò chissu cà “ della prima domanda. “ Questo vuole proprio tutto!” Mi sono detto. E per me, che concepisco da sempre la Politica in modo totalmente opposto e che anche alle elezioni ho timidezza a chiedere il voto in maniera, diciamo, incisiva, era davvero troppo. Sullo sfondo, poi, c’era una sua uscita iniziale, apparsami tra l’altro strumentale e opportunistica. È quella di dichiararsi democristiano, assumendo, per delega di un illustro sconosciuto nella storia vera della DC, la carica di segretario regionale con la quale assegnava, lui, cariche a livello territoriale. Per me che alla Democrazia Cristiana avevo dedicato tutta la mia vita e ai suoi ideali il tempo di quella rimanente, mi sembrava davvero troppo. Eh, questa proprio non gliela perdono, mi sono detto. E così, sulla soglia di un sentimento che disturbava più me che lui, che di questo si era certamente accorto, siamo andati avanti e indietro per quel breve tratto di Corso, tra il Comunale e casa mia, a salutarci appena. Io per primo lui, quando lo incontravo con la sua bella ed elegante signora. E così fino a quella sera in cui ci trovammo seduti davanti a un tavolo di ristorante. Non so come fu, da chi fosse partito l’invito, so, però, che io volevo capire più direttamente chi fosse Antonello Talerico, cosa pensasse veramente di tanto di quel vissuto cittadino e di tutto ciò che era la Politica. E, ancor di più, del molto altro ancora che non era della Politica, ma del normale sentire della gente comune. Volevo “sentire” io se ci fosse stato il suo sentire. La mia intuizione delle persone mi portava a pensare che dietro quel treno veloce ci fosse altro. Che dentro quel treno, che si fermava alle stazioni prescelte, ci fosse una persona. Con le sue fragilità e paure. I suoi sentimenti e i suoi sogni nascosti per timore di apparire bambino o che glieli potessero strappare dalle mani. La prima cosa che gli dissi fu proprio dell’antipatia. La prima cosa che mi disse, rispondendomi, fu questa, quasi testuale: “io, invece di te, ho sempre conservato una sicura stima. Stima verso quella persona che pur giovane, a me ragazzo, appariva alta e… “ ora non ricordo l’esatta parola. Prendemmo a parlare a lungo, pittegulandu puru nu pocu, di tanti temi via via lontani dalla politica e dalle sue dinamiche. All’uomo intelligente e volenteroso, all’avvocato determinato e sicuro, al politico un po’ oscillante e ambizioso, ho potuto accostare quel ragazzo, emergente dall’uomo, generoso e affettuoso, sensibile verso le questioni più dolorose di questa società e con un sentimento verso Catanzaro, la città che l’ha ospitato, offrendogli grandi opportunità e la sua nuova famiglia che ama infinitamente, davvero autentico. Un sentimento d’amore rafforzato da alcune idee forti e innovative sulla crescita e lo sviluppo tanto atteso della Città. Un ragazzo affatto arrogante e presuntuoso, ma tenero e anche umile, aperto all’ascolto e alle idee degli altri, di cui tenta voracemente di carpirne il senso più profondo per poterle riutilizzare senza la pretesa di appropriarsene, come ha fatto con talune delle mie. È dotato di senso politico autentico e di una notevole capacità d’intuizione degli eventi e anche delle segrete ansie delle persone. Appare furbo di tre cotte, ma in realtà è ingenuo, di una ingenuità che lo porta a volte, anche se ciò non sembra, disarmato dinnanzi ai furbi veri, che in Città non mancano. Si commuove, trincerandosi dentro un sorriso protettivo, quando parla dei genitori, della madre in particolare. Crede nell’amicizia e nel dovere di servirla, e mi sono riservato di dirgli del dispiacere di una carissima persona, professionista elevato, da tanti stimata, che di amicizia gliene porta ancora tanta nonostante non l’abbia sentita ricambiata. Ma ci sarà tempo per questo. Oggi, che è arrivata la notizia tanto attesa dal mondo dell’ avvocatura e non solo, della sua elezione a componente del Consiglio Nazionale Forense, carica di grande prestigio, mi sento di dirgli, insieme agli auguri più sinceri, due cose. La prima, che resti umile e scelga una strada nella quale, continuando a studiare a fondo, possa impiegare al meglio i suoi certi e straordinari talenti. La seconda, che la via della Politica, sua autentica passione, ha bisogno anch’essa di una scelta di campo decisa e di una preparazione culturale sempre più robusta, affinché l’onestà e l’intelligenza di cui egli è dotato siano messe al sicuro dal pericolo di trasformismi e degli eccessi di pragmatismo, molto attivi in Calabria, che alla Politica toglierebbero la vocazione al servizio oblativo e quella forza di carità cristiana, che rappresenta il punto iniziale di quella autentica rivoluzione dei sogni e delle speranze di cui il mondo, e ogni nostro piccolo mondo, ha bisogno. Come le istituzioni di autentiche leadership e di buona e nuova classe dirigente.
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