di FRANCO CIMINO
E come possiamo noi gioire con questa punta di spada sul petto e questi pesanti cingolati sopra le gambe stese? Come possiamo più parlare con questa tosse tonante che soffoca il respiro e la saliva asciuga tra le parole arrotolate come carta straccia? E come noi possiamo sperare nel domani se l’oggi infuocato ha incendiato il nostro ieri felice? Come noi possiamo esercitare il pensiero ancora se sotto le macerie delle guerre, pubblicate e dimenticate, è sepolto il nostro intelletto e il nostro sentire l’umanità che rovina?
Come noi possiamo guardare gli occhi dei nostri figli se li abbiamo fatti coprire dagli schermi piccoli e grandi, tascabili o domestici, dai quali passano ogni ora migliaia di notizie e immagini devastanti in cui l’orrore si mescola alla menzogna, e questi, insieme, diventano normalità e verità? Se, cioè, li educhiamo al culto della violenza, che già a dodici-tredici anni li prende. Maschi e femmine li prende, sia come forma aggressiva sia come come cedimento passivo. Li prende come paura. Paura di se stessi, della propria fragilità. Li prende come paura dell’altro, della sua presunta forza. Della sua diversità rispetto alla propria temuta inferiorità. Come possiamo noi dormire se negli orecchi rimbombano colpi di cannone e il crepitio delle armi, a noi molto più vicini di quanto non dica la fluviale informazione globale? “ Ta ta ra ta ta ra ta ta …buuum buuum buuum” .
Sono i rumori che i nostri bambini al risveglio utilizzano per giocare dal vivo alla guerra, dopo ore e ore passate davanti alla play station( si dice così?) a vedere come si fa la guerra micidiale al posto dei cartoon. Anche noi lo facevamo sì, quando i buoni erano i bianchi e i cattivi erano gli indiani. Ma allora l’America era lontana…e i sogni di Pace erano in testa. Fermate la guerra che non posso dormire! Zittite questi assordanti rumori di cannoni e questo continuo sibilo di missili che tagliano l’aria e rompono il cielo, ché non posso più sognare. Asciugate il cielo da questa intensa e maleodorante nuvola nera, che lo copre anche di giorno e che da qui, dal balcone di casa mia, non vedo. Ritirate nei vostri porti nascosti quella lunga muraglia di navi che dalla mia Marina non mi fanno vedere il mare. Cessate immediatamente i bombardamenti sulla nuda terra, ché deve crescere il nuovo grano e i frutti dovranno nascere ancora e sani. Cessate di bombardare le città, che sono costruite per l’uomo, di distruggere i palazzi e le case costruite dall’uomo e per l’uomo, di abbattere le chiese edificate dall’uomo in onore di Dio.
Smettetela subito questa rovina, ché sotto di essa ci sono persone, donne e vecchi e giovani e bambini, ché il monte bugiardo di mattoni e ferro e cemento che li copre non può essere la loro tomba. Risparmiate i cimiteri che vorrebbero, essi stessi pregando, accogliere solo questi morti, anche se sono già decine di migliaia. I cimiteri sono più buoni e più generosi di noi e sanno trovare loro posto. Smettetela di fare la guerra, di inventare l’odio che la alimenta, ché ho insegnato ai miei ragazzi, a scuola, e alle mie figlie, a casa, che l’uomo è buono e non può concepire la morte se non come conclusione naturale della vita, per la cui felicità e sanità dobbiamo impiegare tutte le risorse. Smettetela subito, ché non ho più la forza fisica di scendere nelle piazze e gridare il sogno di pace che muove dall’odio verso tutte le guerre. Anche perché quel montgomery e quel maglione alla dolce vita blu non ce li trovo più. Tra l’altro, temo di trovarmi da solo. E ogni piazza della Politica e dell’Utopia è sempre troppo grande, mentre la solitudine è la condizione più brutta per chi vorrebbe sognare ancora. Essere felice ora.
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