di FRANCO CIMINO
Che bello è tornato il Catanzaro! È tornato con lui anche il grande calcio. Quello pulito, tecnico, spettacolare, al quale eravamo abituati e del quale avevamo contagiato per decenni la Calabria intera. Quella Calabria che neppure negli di una certa prevalenza politica catanzarese siamo riusciti a rappresentare interamente. Nel mondo dello sport, invece, ci siamo riusciti attraverso l’arte del pallone, nel tempo romantico in cui il calcio non era ancora business da milionari al pari di qualsiasi altra attività economica. Il Catanzaro di oggi ricorda, dalla presidenza ai giocatori, quel Catanzaro che colorava di giallorosso tutti gli stadi d’Italia.
E folle intere di appassionati chiamava negli stadi quasi fosse un raduno di calabresità interna ed esterna alle nostre città. Emigrati e studenti, insieme alle centinaia che seguivano puntualmente la squadra in trasferta, si incontravano in quello stadio più lontano. Si incontravano e si riconoscevano. Un solo grido: “ giallo-rossi, giallo-rossi”. È una sola bandiera, la nostra storica, con le sciarpe al collo che la richiamavano. Un folla. Di più, un accenno di comunità identificabile per l’identità sentita. Se essere giallorossi significava il Catanzaro, un tantino oltre diceva che eravamo non solo tifosi. Non solo calcio. Non solo anima nel pallone e sogni di gloria sportiva. Eravamo tendenza, certamente spontanea e non razionale ancora, a sentirci calabresi. Che bello, il Catanzaro della prima serie A calabrese che si faceva messaggero di unità dei calabresi.
La cultura, troppo debole e distratta, la politica troppo impicciata nel piccolo cabotaggio di potere, dove prevalevano le gelosie e le divisioni di ogni genere, oltre che le piccole miserie della misera politica, non seppero cogliere questo spirito. E per nulla operarono per trasformare quelle energie vitali, d’altri campi prodotte, in energie sociali. Morali. Culturali. Politiche. La storia di questi ultimi cinquant’anni, ché ormai di storia si tratta anche se mancano gli storici per scriverla, dicono di una Calabria che si è mossa in direzione opposta. Campanilismi riaccesi su conflittualità ancora insuperate, hanno trovato nella Reggio dei primi anni settanta il punto più alto di tensione. E l’hanno trovata, ancor più pericolosamente, in quella sorta di “ guerra civile” i cui effetti morali e psicologici restano sul terreno come intralcio grave a un reale processo di unità vera della nostra regione. In quel tifo grande non trasformato in coscienza sociale, in quella folla grande non divenuta popolo, non c’erano solo i catanzaresi di Catanzaro.
C’erano i catanzaresi dell’antica provincia che tifavano per il Catanzaro. Io me li ricordo bene, perché erano i primi ad arrivare allo stadio muniti di divise colorate, di bandiere, trombe e striscioni. Venivano da Vibo e dal vibonese, in particolare da Pizzo. Venivano da Lamezia Terme, in particolare da Platania e da tutto il Reventino. Venivano da Crotone e dal crotonese. In particolare, da Isola, Cutro, Mesoraca e Petilia Policastro. Una festa. Tutte le domeniche una grande festa. Quei colori ci univano. Quel grido diventava una parola d’ordine. Un canto di guerra buona. Dello sport. Guerra pacifica, di noi uniti, contro le corazzate milionarie del Nord. Nel corso di questi ultimi vent’anni, nel mentre il Catanzaro scendeva a una velocità superiore a quella della sua Città, tanto da non poter stabilire chi delle due accentuasse la crisi dell’altra, le città consorelle hanno compiuto il percorso inverso.
E sul piano complessivo e su quello calcistico. Abbiamo visto la Reggina arrivare in serie A. Il Crotone, addirittura, arrivare alla massima serie dall’ultima in cui per lungo tempo è stata. Abbiamo visto il Cosenza ritornare in B e sfiorare la successiva promozione per un pelo. Abbiamo visto il Lamezia con la sua Vigor e addirittura Vibo con la sua Vibonese fare le loro brave scalate fino a stare lungamente con noi in C. È così riemersa, proprio sul terreno, quello sportivo, in cui avevamo sperato si coltivasse un sentimento di buona calabresità, nuove e più accese rivalità. La politica dormiva nella furbizia e indolenza, le Città male amministrate si contorcevano in ogni forma di sofferenza, i rispettivi cittadini cadevano stanchi e passivi difronte ad esse, e la guerra del tifo cresceva. Una squadra contro l’altra e i tifosi, sempre meno numerosi, a guardare, non potendo sperare nella propria buona sorte calcistica, se la squadra calabrese rivale perdesse o mancasse la promozione. Ovvero, scendesse di categoria, come era ardentemente auspicato. Brutto quel tempo. Brutta quella condizione. Brutto l’uso strumentale che certa politica e i piccoli poteri ad essa collegati, di questa “ guerra della povertà e dell’ignoranza”, facevano, secondo un pensiero antico che mi piace porgere per come essi lo declamano nel segreto delle loro stanze.
È questo:” megghiu ma s’incazzanu p’o’ pallonsca ca pe’ nui.” Adesso che il Catanzaro è tornato, il calcio bello è tornato, anche nelle altre squadre calabresi, possiamo tutti vivere la partita, questa e altre, sul campo del Ceravolo e sugli altri campi, come una festa di tutto il cacio calabrese. Di tutto lo Sport. I due sindaci, Fiorita e Voce, si sono dati la mano e insieme hanno pronunciato quelle belle parole. Altrettanto hanno fatto i presidenti, Noto e Vienna. Sicuramente la stessa cosa, e più intensa, la faremo domani i tifosi giallorossi e rossoblu. In due giorni sono stati venduti tutti i biglietti disponibili. Dodicimila i tagliandi staccati. Almeno altri tremila ne hanno fatto, purtroppo inutilmente, richiesta. E chissà quante migliaia seguiranno la partita, da casa e da bar e ristoranti, in diretta. Sia davvero una festa.
Per precauzione non faccio pronostici sulla partita, ma bellissimo sarebbe che la seconda promossa, con noi i primi, fosse il Crotone. Ma più bello ancora sarebbe se questo tifo accesso e questa forza fisica enorme, ritornati sulle ali delle vittorie giallorosse e rossoblu, si trasformassero subito in forza di cittadinanza attiva. In coscienza politica, in sentimento unitario di popolo che si riconosce all’interno della propria città e per esse nell’intera regione. Sentimenti e idee, che, sguardo finalmente vigile e critico sulla realtà, diventino energia vitale per la Politica. Quella vera, che trasforma le cose, impedisce corruzione e auto corruzione del potere. E costruisce un tempo di pace autentico. Quello che dalla pacificazione degli repressi e oppressi crei il mondo nuovo. La Calabria Nuova. La Città bella. Sana e nuova. In tutte le città della nostra terra, fertile di ogni ricchezza. E di ogni Bellezza.
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