di FRANCO CIMINO
E poi ci sono le nostre guerre, le guerre “de noartri”, quelle che facciamo con il silenzio e l’indifferenza, i più. Le guerre che facciamo fare agli altri con lo stesso obiettivo di tutte le guerre, sopraffare i deboli, conquistare più potere e più parti di territorio( le istituzioni, soprattutto). Essere al comando per padroneggiare, con l’istinto a essere padrone. Di cose e di persone. Padrone delle decisioni che riguardano le cose e le persone. È una guerra che non fa morti ma prigionieri. Non fa scorrere sangue ma la povertà. Dei luoghi e delle persone. Delle cose. Della natura. E della nature delle persone e delle cose. Questa guerra ha quasi lo stesso furore di quella cosiddetta non convenzionale, le sanzioni, che feriscono i territori, ammalano quelle economie, affamono i popoli. La guerra per il potere, che usa la forza muscolare al posto della ragione, l’egoismo al posto del cuore, l’ignoranza al posto della cultura, nelle realtà territoriali già povere e in attesa di rinascere, impoverisce la terra, spreca le risorse, indebolisce le istituzioni, umilia i cittadini, annulla la speranza di un riscatto prossimo che li veda protagonisti, espulsi come sono, e da tempo assai lontano, dalla partecipazione politica. È la guerra dei calabresi contro loro stessi( stanchezza, sfiducia e rassegnazione, cedimento al ricatto dei poteri, le armi). La guerra della politica contro la Politica, dei politici tra di loro e verso le istituzioni, dei partiti nei confronti della fiducia della gente, dentro la quale vi è quel sessanta per cento di elettori che alle ultime regionali non sono andati a votare e senza che ciò abbia fatto venire i brividi ad alcuno. In questa quadro “bellico”, distratto dopo i due anni di Covid dalla guerra assurda e atroce in Ucraina, in Calabria, ché di lei sto parlando, c’è un problema più grande di qualsiasi altro problema. E non è la mafia con tutte le sue ramificazioni a tentacoli di piovra( ehi, che sto parlando per provocazione!) e neppure il “trhrafffico” di quel mitico palermitano nel film “ Jonni Stecchino” di Benigni. Il problema dei problemi per la Calabria si chiama Catanzaro, la Città più abbandonata da tutte le istituzioni. Tanto abbandonata da lasciare che essa si muova, nell’imminenza delle elezioni amministrative, nella confusione e incertezza. Nessuno le presta attenzione. A nessuno importa della nostra Città. Nessuno l’aiuta, neppure nei palazzi romani, sempre pronti quando si tratta di sottrarle qualcosa. I giorni passano, i giochi restano, i candidati a sindaco non si vogliono trovare, quelli che sono pronti non arriveranno mai, o non li vogliono, quelli già in campo non li considerano, mentre la parte buona della politica e della società civile, ancora una volta si allontanerà e non solo perché è stata fatta allontanare. Tutto questo mentre quei pochi che pensano di avere i voti in tasca attendono solo di potersi collocare là dove apparirà loro il vincente, sindaco con le liste “ forti” a sostegno. Un vero peccato, un altro nuovo peccato mortale. Il più grave e imperdonabile. Abbiamo davanti un’occasione davvero unica, quella di far valere la forza e l’autorevolezza di un capoluogo rinato. L’occasione di portare Catanzaro al centro delle politiche regionali e, molto avanti, in quelle a favore dell’intero Mezzogiorno. E non mi riferisco all’utilizzo per noi di buona parte dei fondi del PNRR, ma invero alla straordinaria possibilità di essere noi, centro della Calabria, protagonisti di una Nuova Calabria e di un nuovo Mezzogiorno, attraverso la Politica. Un Mezzogiorno, che sappia guardare all’Europa con la stessa forza con la quale, per vocazione e compito della storia, saprà servire i paesi a sud del Mediterraneo in una grande strategia di costruzione della Pace. Quella vera, fondata sul Progresso degli Stati e sulla libertà dei popoli e degli esseri umani, nessuno di loro manchevole del pane e del libro. Di tanti pani e di molti libri. Ripeto qui ciò che mi sono portato a consigliare al presidente Occhiuto, delle cui capacità e della cui persona mi fido: la Regione deve finalmente recuperare il suo più felice rapporto con Catanzaro. Aggiungendo, tra le tante idee avanzate, che senza capoluogo non sarà possibile alcuna politica di crescita economica e civile della Calabria. Una legge per il capoluogo, che pure io sollecito da almeno quindici anni, però, non basta, se nella nostra Città non nasceranno un “nuovo senso del dovere” e una più forte responsabilità, che consentano in un solo momento di mettere gli interessi di Catanzaro al di sopra di qualsiasi altro interesse, che tra l’altro, se fosse legittimo, proprio in quello generale verrebbe esaltato e arricchito. Non perdiamo, allora, questa occasione per voler bene a Catanzaro. Cerchiamo di realizzare la maggiore unità possibile, anche rivitalizzando quel dibattito sulle reali prospettive della Città, che da tempo manca. Facciamo la guerra alle nostre misere guerre. E costruiamo la Pace. Essa, qui, ha un nome, Catanzaro, luogo di tutti i più felici incontri, Catanzaro capoluogo di una Calabria bella. Catanzaro città del progresso e della Vita. Io per questa Città, come la disegno e la sogno, non smetterò mai di lottare. E di offrirle tutto me stesso. Dalle idee al cuore. Anzi, tutte le mie idee del cuore
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