Franco Cimino: "Del 7 ottobre, di Hamas, di Israele, della guerra e del dolore, una diversa narrazione"

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Franco Cimino
  08 ottobre 2024 15:20

di FRANCO CIMINO

Tutto iniziò quella notte. Una notte come questa appena passata. La ricordo bene. Qui, in Italia, nella comoda dimora dove vivo, nella Città dove c’è quasi sempre il sole, per la continua rassicurazione del nostro vento buono che gli libera il cielo, la notte è stata silenziosa e serena. Avevo dormito bene, che il mattino mi rassicurò della sua luce viva, trionfante di sé dai vetri non appena scoperti. Il tempo della colazione, calda e abbondante di immancabili biscotti con il più bollente caffè che li precede, che la Televisione, da sempre quotidianamente puntata sui canali dei notiziari, mostra più le immagini che dirci le parole a commento. Sono quelle di una immane tragedia, improvvisa quanto prevedibile, che ancora mi interroga. E sul perché sia stata consumata e sul perché non sia stata evitata, potendo i servizi segreti più potenti del mondo, che dei segreti del mondo sanno tutto, esserne informati con lago anticipo. La tragedia di Hamas, il considerato esercito palestinese per quel popolo, il braccio armato del terrorismo per altri, che, fuoriuscito dal sottoterra della disperazione e della follia, si porta da terra e dall’alto nel più stretto lembo del territorio d’Israele e massacra 1200 israeliani all’interno delle loro case. Inoltre, sequestra da quelle famiglie e dal rav in un posto libero nei pressi dove centinaia di ragazze e ragazze liberavano la loro gioia di vivere e l’illusione di vivere in pace, 250 persone. Tutta gente comune, nessun soldato in essa. Uomini e donne, vecchi e giovani, intere famiglie. Addirittura, bambini fino all’età più fragile dei loro primi mesi di vita. Dal quel mattino sul Medio Oriente è sceso il buio. Il buio del fumo delle esplosioni ininterrotte. Il fumo dell’odio antico, che non aspettava altro che di poter “ deflagrare”, come una bomba la più devastante. Il buio di un’intrecciata volontà che da quell’odio prorompe. La distruzione, cioè, totale del nemico e la cancellazione della sua storia. La sua cancellazione dalla storia. Ché questo è il dramma nel dramma. La forza inarrestabile che scatena quella intrecciata violenza inaudita. Israele vuole, diciamo con parole nette, la “ morte” dei palestinesi. E questi, la distruzione totale di Israele e del suo giovane Stato. È questa la nuda e cruda verità. Altrimenti, non si comprenderebbe perché dopo le tante risoluzioni internazionali, la super “ concessione” degli Stati Uniti, i documenti Onu, le dichiarazioni compiacenti della maggior parte dei paesi del pianeta e la piena adesione dell’Occidente e, per non finire, il duplice accordo tra le parti in odio e in lotta, non si siano realizzati i due Stati su territori vicini, liberi, autonomi, indipendenti, pacifici e pacificati. Non si comprenderebbe il perché questa unica, obbligata, soluzione non venga ancora costruita. E da più di vent’anni, nonostante essa indiscutibilmente sia l’unica che possa garantire non solo la Pace e la convivenza, che sono ancora concetti fragili e incerti. Ma la vita, la sicurezza, l’esistenza, il futuro di due popoli che hanno eguale diritto di vivere e crescere nel progresso e nella “ gioia”, perché no? di essere ciò che la loro storia ha deciso che fossero. Se quella brutale, inumana, volontà incrociata non ci fosse, non si capirebbe perché le autorità politiche e militari dei due popoli abbiano continuato, e continueranno ancora, a mandare al massacro migliaia e migliaia di loro cittadini. In particolare i giovani, garanzia di continuità della propria genia. Sulla strada di questa aberrante volontà si sta più “ eroicamente” affermando Israele per l’impiego del suo potente arsenale bellico, le incalcolabili risorse economiche e la protezione attiva degli USA e dei suoi alleati occidentali in questa guerra. Ché tale è divenuta ormai, diversamente da quella di quarant’anni fa con i giovani palestinesi che affrontavano i soldati israeliani a viso aperto e con le pietre lanciate loro in cambio di proiettili veri. L’ho scritto all’inizio in quel tragico sette ottobre, e senza alcuna capacità profetica, che l’attacco “ terroristico” di Hamas e le atrocità conseguenti, specialmente sulle donne rapite(lo stupro, e prolungato, l’offesa più oltraggiosa della stessa morte) non poteva che avere lo scopo di scatenare la più brutale e violenta reazione di Israele. Qual era la ragione di un simile assurdo massacro? È possibile che si volesse andare a morire così? Perché sacrificare tante vite umane del proprio popolo? Il desiderio di morte altrui, potrebbe mai conciliarsi con quello della morte dei propri figli? Ammazzare quelli degli altri giustifica il sacrificio dei propri? La follia, se anche vi fosse, potrebbe tradursi in stupidità? Evidentemente no, nell’atto terroristico militarizzato di Hamas non c’era nulla di tutto questo. E cosa vi sarebbe potuto essere di ragioni, comprensibili almeno? A mio parere, e non credo sia il solo, lo stato “ canaglia”, l’impero del “ male”, come da più parti viene definito l’Iran degli ayatollah, aveva garantito che sulla reazione di Tel Aviv si sarebbe scatenata una guerra panaraba-palestinese con il pieno militare coinvolgimento, in una nuova santa alleanza, di molti ricchi paesi arabi e quello dell’incalcolabile popolo musulmano. Promessa, questa sì stupida e più stupida ancora l’illusione di vederla attuata. Il mondo arabo è diviso tra tante etnie e mille interessi dove scorrono miliardi a fiume giornaliero. Lo stesso mondo musulmano è diviso in tante sottolineature religiose, che, unite alle culture da esse espresse, generano diffidenze e sete di potere non di poco conto. Lo stesso mondo arabo e musulmano, messi insieme, diffidano pesantemente dell’Iran, di cui temono la voglia espansionistica e la volontà di dominio, anche religioso, su gran parte del Medio Oriente. E veniamo a Israele, lo stato che da vittima nella e della storia, si è mostrato “ carnefice aggressore”, da buono a cattivo, da aggredito ad aggressore, da odiato a odiatore, perché non si è difeso da un attacco prevedibile? Perché in quello stesso sette ottobre non ha organizzato con il suo potente esercito una risposta immediata, che limitasse i danni e subito intercettasse gli spostamenti dei sequestratori per liberare molti ostaggi, se non tutti? Perché non ha circoscritto la sua reazione nei giorni brevi che aveva dichiarato di utilizzare per “ punire” Hamas e poi riprendere, o aiutare chi si impegnasse nella diplomazia internazionale, i negoziati sospesi tra le due parti da lungo tempo interrotti? Perché ha utilizzato la motivazione della liberazione dei suoi duecentocinquantadue cittadini, tenuti prigionieri negli irraggiungibili tunnel, per radere al suolo la Striscia di Gaza, ben sapendo che proprio questa sua azione avrebbe reso impossibile la loro salvezza? E qual è il calcolo matematico più giusto che possa giustificare la vendetta o la rappresaglia nel rapporto “ aritmetico” la vita di un israeliano vale quattro di quella dei palestinesi? E perché per colpire gli Hazbollah, il gruppo militare-terrostico, criminale e folle, come giustamente considerato, inventato e sostenuto dall’Iran, ha invaso il Libano, mettendolo a soqquadro e procurando distruzioni, morti e migliaia di sfollati e profughi in cammino verso improbabili mete di salvezza e ricoveri umanitari? E perché completata l’opera di pulizia in quella terra bellissima, molto cara, sia pure per i vecchi interessi capitalistici, all’Europa e in particolare all’Italia, la forza armata di Israele si è spostata in Cisgiordania, la terra più delicata sul piano degli assetti di pace già individuati, con un sospetto intento di annessione e, di certo, di occupazione? E perché, ancora, sfida e si fa sfidare dal regime degli ayatollah, che vorrebbero far crescere la loro potenza in quell’aerea, intanto indebolendo, per poi cancellare, Israele? Infine, quante altre morti e quante altre rovine materiali, serviranno per raggiungere una quiete che non sia quella dei cimiteri? Da qui il mio dubbio scioltosi ormai in certezza, che quel che sta accadendo lo si voleva fare accadere. Da quelle parti e dalla volontà di tutte le parti in causa. E dagli interessi di tutti gli altri paesi, con le superpotenze in testa, che dal fuoco in Medio Oriente, dalla divisione del mondo arabo, dalla fine della “ Persia”, dalla incolpazione dell’Islam in quanto religione con il potenziale più largo seguito, pensano di trarne vantaggio, come finora è stato. Stare a guardare, aiutare e armare, finanziare e indebitare, farsi promettere e giurare, è l’interesse prevalente di questo mondo, che di fatto si muove come sostegno alle guerre e a quei fuochi sempre accesi. E, si badi, non solo per continuare ad arricchire i fabbricanti d’armi e rafforzare il capitalismo tradizionale a rischio di crisi irreversibile. Lo fa, soprattuto, per mantenere i vecchi equilibri mondiali che neppure la fine dell’Unione Sovietica è riuscita a modificare. È su questi equilibri instabili ma immobili che si regge il vecchio mondo e i vecchi poteri che lo derubano delle risorse e del desiderio della pace. La guerra come arma di pressione, di ossessione, di oppressione dei popoli, di obnubilamento delle coscienze, come mezzo di mantenimento dei conflitti e di rafforzamento dell’odio che li muove, come risorsa del capitalismo, come forza insuperabile del potere senza politica, e della politica senza ideali e senza etica, come strumento di limitazione o cancellazione delle libertà e riduzione degli spazi della democrazia, non sarà combattuta mai. Non sarà sconfitta mai. Questa guerra, intorno a Gerusalemme e alle terre delle tre religioni monoteiste, di cui l’intero mondo parla tutti i giorni, e quella scomparsa dalle televisioni e dai giornali, in terra Ucraina, e le altre cinquanta, piccole e grandi, non viste e non dette, non finiranno mai. La guerra genera guerra, mai la Pace. Altrimenti, non si comprenderebbe perché nel cammino dell’umanità verso il Progresso, le guerre antiche non si sono mai fermate invece moltiplicandosi. Queste ultime, le più note per gli interessi esterni in campo, non finiranno. Cesseranno i fuochi, e temporaneamente, solo quando non ci sarà più nulla da distruggere, più anima viva da assassinare. Ci sarà, quindi, e tra poco, la cosiddetta tregua umanitaria, il fermo momentaneo delle armi, il riposo rassicurante dei siti nucleari, che nessuno tra l’altro dei potenti vorrà mai attivare pur minacciando di usarli, ma non la Pace. Anzi, questo periodo breve di riposo servirà per ricostruire l’armamentario bellico, trovare alleanze, nuovi finanziamenti, rinnovare l’odio trasferendolo ben acceso alle nuove generazioni. Ma la Pace, no. Quella sola risorsa di cui ha bisogno il mondo non ci sarà. Almeno, non ora. Non in questo tempo. Non sotto questo cielo nero di fumo. Per costruire la Pace ci vuole la coscienza individuale e quella sociale rispetto al valore della vita. Ci vuole una riscoperta del senso della vita. Una società che educhi, con le principali agenzie educative, ai sentimenti, alla cultura della vita, al valore delle persone, alla ricchezza della diversità. Al riconoscimento dei diritti. Quelli degli altri eguali ai propri. In particolare, il diritto a essere liberi, come persone e come popoli. Alla indipendenza, come comunità e come stati. All’autonomia del proprio paese come degli altri. Il diritto per tutti a vivere nella propria terra, quella dei padri, nello stato che la comprenda, dentro confini che non siano di filo spinato o di muri alti e “aguzzi cocci di bottiglia”, ma aperti ai confini uguali di altri stati e terre e popoli e persone liberi. Per edificare la Pace occorre la Politica, quale strumento per costruire la ricchezza in contemporanea con la garanzia che possa essere redistribuita attraverso quei criteri che valorizzino le capacità individuali e riconoscano i bisogni di chi non ce la fa. Ché non esiste Pace senza il valore della Persona. Pace è persona. È giustizia. Pace è Libertà. La Pace non viene ancora perché la Politica non c’è. Da decenni manca completamente. La Pace non verrà perché non ci sono leader mondiali che la portino, piena, vera, sana. L’unico leader è Francesco il Papa, guida autorevole dell’Umanità smarrita. Ma Francesco, che ha pure molto da fare per sedare le lotte interne alla sua Chiesa, è un uomo ormai troppo vecchio, malato e stanco. Da solo con ce la fa a reggere la fatica che ha intrapreso dal primo giorno sulla cattedra di Pietro. Ma sei pessimista, mi si potrebbe obiettare, magari dagli stessi indifferenti che restano a guardare la guerra degli altri pensando sia troppo lontana dalle proprie case. No, non lo sono affatto. Se sono ancora, e testardamente, a denunciare quei mali e l’assenza di valori e gesti e persone che potrebbero evitarli, è perché credo che la Pace sia un obiettivo possibile. Una verità raggiungibile. Un bene a corredo della Libertà di cui gli esseri umani sono fatti. E fatti per realizzarla per e con gli altri. Ma occorre coraggio per costruirla. Generosità di cuore e di pensiero. Donazione piena di sé. Da parte di tutti nel mondo. Una nuova coscienza individuale per una nuova coscienza sociale. Che metta al centro la Persona. La vita. Ché questa è la Politica, la forza che promuove il Bene, scaccia il male e la bruttezza che attenta alla Bellezza, isoli i violenti e i prepotenti e condanni a pene severe i gendarmi della cattiveria, i cultori dell’odio, i signori della guerra. Ma oggi( ieri ndr) è il sette ottobre, anniversario della strage di Hamas. È il giorno del dolore per i morti di quella notte assassina e per la sorte degli ostaggi se, ancora e quanti, in vita. Piena solidarietà, pertanto, al popolo di Israele. Solidarietà da dolore vero, che ci faccia non solo dire ma essere israeliani. Non solo oggi. Ma affinché questo dolore non sia un’altra prova dell’ipocrisia più cinica e bara cui siamo abituati ormai, è necessario questo dolore sentirlo uguale per i morti di Gaza e del Libano e degli altri territori in guerra, che siano cinquantamila o soltanto cinque e uno, non fa differenza. Conta solo la vita, e la morte che la fa in tutti uguale. Li fa tutti uguali, esseri umani che hanno diritto a vivere. E degnamente. E pienamente. Liberamente. Nella terra che sceglieranno. Nella terra che è la loro. Ché ogni uomo ha diritto a vivere, dove vita è.

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