Franco Cimino: "E c’ha facisti Enzu Colacino! Dalla primavera delle maschere alla primavera della cultura e delle tradizioni popolari"

Share on Facebook
Share on Twitter
Share on whatsapp
images Franco Cimino: "E c’ha facisti Enzu Colacino! Dalla primavera delle maschere alla primavera della cultura e delle tradizioni popolari"
Franco Cimino
  22 aprile 2023 10:58

di FRANCO CIMINO

 “Testardu e capricciosu-come i catanzaresi autentici- su misa ‘ nta capu e tantu ficia ca ci riusciu! È fattu accussì, Enzu Colacinu, quel geniacccio, intreccio di mille qualità. È artista puro. È nato comico, di quelli veri, ma se non se ne fosse accorto e si fosse dato ad altro, che ne so, alla tragedia greca o alla drammaturgia, avrebbe fatto quello. O il cantante, bella o brutta voce a prescindere. O il calciatore, purché del Catanzaro. Ha l’ironia nel sangue. L’ho capisci anche quando ti guarda, ti ascolta. O soltanto ti guarda. L’ironia buona, quella che ti mette in gioco dopo essersi messo lui. “ fissia” dopo essersi preso in giro pure lui. L’ironia buona è quella che ti fa ridere di te stesso, delle tue presunzioni e altezzosità. È quella che ti fa scendere da solo dal piedistallo e ti porta a vedere la realtà per come essa è.

Banner

A volte, adesso sempre più volte, drammatica. Di certo, triste. Uno sguardo, una domanda sottesa: “ ma daveru u dici? Ma sì sicuru, on vidi chi c’è ‘’ntornu?” Oppure:” chi sì seriu, on vidi ma ridi nu pocu!” La sintesi si potrebbe racchiudere in questo passaggio, quello nel quale anch’io ho sempre creduto e rispetto al quale ho mantenuto un atteggiamento sempre coerente e… “inconveniente”. È il potere la chiave di tutto, il suo uso arrogante e personale, la violenza che accompagna le sue decisioni. E da quest’uso del potere, cinico e beffardo, che dipende in buona parte la qualità della vita delle persone. La stessa aspirazione alla felicità, il primo dei diritti umani, è condizionata da esso.

Banner

La socialità all’interno di una comunità, specie se piccola, è, più o meno, disturbata dai meccanismi del potere. L’invidia tra le persone, il pettegolezzo che ne rovina le vite, la conflittualità costante sulla falsa competizione, l’adulazione e il compiacimento forme antiche della sudditanza, come l’estremo bisogno verso il supino consenso, sono determinata dalla logica del potere. Dalla sua forza priva di coscienza umana. Il potere ha un solo scopo, mantenere tutto fermo mentre si rafforza. Immobilità sociale e potere vanno a braccetto. Divisione sociale e mancanza di coscienza individuale e collettiva, camminano di pari passo. Il potere va, però, contrastato, trasformato. Siccome non può essere abbattuto, esso va combattuto. Solo la lotta politica e le ideologie che la muovono si illudono di poterlo abbattere confondendolo con il cambio di regime o di sistemi politici, che alternativamente si impossessano del potere. Infatti, accade sempre che le formule non ne modificano la sostanza e il suo agire, quando esse non sono riempite della Politica e del senso umano della storia. Il potere, quindi, si contrasta con la Politica e la Cultura. O con l’intensa spiritualità degli uomini santi, quasi sempre solitari. E non sempre ci riescono. C’è un altro modo, a volte più efficace per contrastarlo. Un modo che il potere non sopporta ma non teme. Lo lascia spesso fare, ma perché non lo capisce. La gente sì. Il popolo lo capisce, anche quando è grossolanamente ignorante. Si diverte e riflette. Giudica. Quindi si ribella. Quindi ancora si oppone. Infine, lotta, con gli strumenti che ha a disposizione in quel dato periodo, in quella determinata regione. Questo modo è la satira, l’ironia, lo sberleffo, la comicità finalizzata. Uno sfottò, l’irrisione, e la risata conseguente, possono colpire il potere più di qualunque altra cosa. Irriderlo, sfotterlo cioè, canzonarlo, è un’arma micidiale.

Banner

La storia della civiltà, a iniziare dall’antica Graecia, è piena di teatranti che mettono in ginocchio il potere. Quasi sempre essi indossano una maschera e dei vestiti particolari che già da soli rappresentano lo scherno e la distanza. La diversità nella forza di colpire con la mimica e la parola, il sorriso. La burla. La maschera, è un patrimonio della storia e della cultura del nostro Paese. Ogni regione ne possiede una. Alcune sono diventate talmente popolari e forti da oltrepassare i confini della propria regione ed assurgere a maschera quasi nazionale, come Arlecchino e Pulcinella, per esempio. O Brighella e Rugantino. La maschera nasce dal popolo per il popolo. Si batte per lui. Chi la indossa rischia sempre la vita per dire ciò che il popolo non dice ma pensa. E tra una risata pubblica e un pianto nascosto, aiuta il popolo a rialzarsi. Ad alzare la testa e drizzare la schiena, troppo curva per il lavoro sfruttato e l’ubbidienza servile. Enzo Colacino ha dentro, nell’anima sua, questa maschera. Quasi a volerle, non so se da giovanissimo le abbia studiare tutte, rappresentare nella sua originale comicità. Si agita quando pensa di non riuscirci. E pure con quella sua faccia di fortunata natura, il “ volto” della maschera. Intelligenza e sensibilità culturale, lo portano a capire che le maschere italiane sono anche di più di quanto qui affermato. Sono anche il simbolo di una Città. Una sorta di emblema. Un volto “identitario” in cui i cittadini di quella comunità si riconosceranno, dallo storico ieri e dall’inquietudine oggi, per i tempi a venire.

Come la squadra di calcio, verrebbe da dire a Enzo, tifoso acceso dei colori giallorossi, che porta sempre con sé. Ma no, di più, assai di più, ché la maschera la seria A l’ha conquistata per sempre. “ Ah, na maschera po’ farà tuttu chissu”, si sarà domandato mille volte vedendo e studiando molte maschere italiane. E siccome “ idru sa canta e idru sa sona” -come dicono i nostri padri- si è detto:” è pecchì no Catanzaru?” la città tanto amata. Io non so quanto abbia cercato e studiato, ma è che all’improvviso compare in Città, solo pochi anni addietro, un omone con un vestito strano, colorato di giallo e di rosso( vidi tu cumbinaziona!) una maschera in volto con un nasone spiccato e in testa un cappello grande, largo, un po’ da contadino e un po’ da cavaliere del seicento. Gira per la Città e si presenta:” sugnu Giangurgulu, a maschera e Catanzaru.”

E ti racconta la sua storia. Ti avverte pure che altre Città, ora non ricordo se siciliane o pugliesi, cercano di appropriarsene per la grandezza che questo personaggio riveste nel mondo della cultura e in quello sociale e politico per quel coraggioso contrasto al potere. “Viditi ca sugnu u vostru. Sugnu Giangurgolo , a maschera e Caranzaru.” Ripete, tra il serio e il faceto. Poi, vorrebbe dire anche:” faciti i furbi, on perditi puru chissu, ca a Catanzaru ci stanno pigghiandu tuttu.” E, ancora, nel suo non detto chiaramente espressivo:” E volitami bena, ca vi servu e non v’abbandunu.”

Dietro quella maschera e sotto quei panni c’è Enzo Colacino, lo scopritore del nostro Giangurgolo. Giangurgolo e Colacino si vogliono bene e molto bene stanno insieme, tanto da non riuscire più non solo a separarsi, ma noi a distinguerli. Siccome i primi tempi, il popolo distratto dai suoi affanni e il potere cittadino incolto e altrove affaccendato, non gli davano retta, Giangurgolo si arma” d’animu e coraggiu” e puntualmente ogni anno si porta nelle Città dove festosamente si radunano le maschere italiane. Ci va con le risorse sue ( nessunu u manda) e per non sentirsi “sulu e afflittu” si fa accompagnare da un altro pazzo come lui, il giovane Andrea Bressi, musicista eclettico e polistrumentista, cultore e ricercatore delle musiche e dei canti della nostra più antica tradizione.

Come sempre accade ai catanzaresi geniali e bravi, carichi tutti di sincerità e simpatia, i due nostri ottengono, specialmente a Verona, un grande successo. Un successo che porta il nostro Enzo, dai numerosi inviti, privati e pubblici, nell’esecutivo dell’Associazione delle maschere italiane, un organismo che soprattutto al Nord ha raggiunto un prestigio e un peso “ politico” notevoli. “ E bravu Enzarè, ma chi ti serva sta cosa?” La mia domanda dopo i rallegramenti di rito. La sua risposta immediata:” Umbe’ a idru! Chi mi serva? Mi serva ma fazzu na cosa e pacci, chi haiu ‘nta capu e na vita. Ahiu e portare tutti i mascheri d’Italia a Catanzaru e ahiu me fazzu girare supra e sutta e sta Città.” Non so a quanti altri l’abbia detto e che risposta, senza ricovero da TSO, abbia ricevuto. Io, lui potrebbe confermarlo, ne ho gioito subito rallegrandomi con lui. E, tornando a casa mia, dal cancello di casa sua distante quattrocento metri soltanto, mi dissi, parlando ad alta voce comu nu pacciu.:”finalmente una grandissima cosa. Nuova, bella, originale. Giangurgolo se si mette con Colacino, sommando testa dura a testa dura, vuoi vedere che ce la fa a portare le maschere italiane qui da noi? Ho visto, abbiamo tutti visto, sono arrivate.

Sono tutte già qui, e tra oggi e domani le vedremo sfilare per le nostre via, dal lungomare fino a Corso Mazzini e poi a salire al Parco ormai famoso. Sarà uno spettacolo bellissimo. Ma di più, l’inizio di una rinascita vera della cultura nel Capoluogo, la quale porterà tanta diversa ricchezza nel territorio se saprà valorizzare e mettere in campo il meglio delle grandi culture e tradizioni, in ogni ordine artistico, di Calabria e non solo, impegnando tanti altri pazzi catanzaresi, artisti veri, che da soli e senza mezzi, hanno tenuto aperti i teatri, le loro scuole, anche di danza, e le sale prove dei nostri cantanti e musicisti, producendo tanto spettacolo e tanta arte in esso da riempire l’intero calendario annuale.

Qualche idea, pure io da vecchio pazzo, che la cura da anni, ce l’ho in testa. Giangurgolo e l’ottima due giorni in maschera catanzarese, me la faranno riproporre. Questa volta ci sarà chi la sosterrà, io credo. Io spero. Ché se la cultura è vita, quella popolare e in essa le culture locali, sono vita della bellezza che la storia bella delle genti umili rinnova. Catanzaro, capoluogo della Calabria, diventi questo enorme palcoscenico su cui si delizieranno le nostre tradizioni e quelle, nelle diverse manifestazioni artistiche, delle diverse realtà e regioni e territori dell’Italia e del mondo. Sì, qui da noi, la Città dei cento festival etnici, la Città che promuove la Pace attraverso l’incontro delle culture popolari. 

Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner