Franco Cimino: "E' giunto il tempo dei profeti e dei poeti. Se lo fossi io scriverei per uccidere la guerra"

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images Franco Cimino: "E' giunto il tempo dei profeti e dei poeti. Se lo fossi io scriverei per uccidere la guerra"
Franco Cimino
  31 ottobre 2023 14:19

di FRANCO CIMINO

"Fino a quando non sarà cessata almeno questa carneficina, non smetterò di scriverne. Tanto, alle immagini dell’orrore che tutte le televisioni con i loro mille canali e l’intera rete ci trasmettono ad horas, non si sfugge. La guerra come teatro. La morte come spettacolo. Da trasmettere in diretta. Lo show televisivo è iniziato, ci sarà pure chi lo ricorda, nel gennaio del 1991, con le immagini delle dirette mondiali in quella che fu denominata “ Guerra del Golfo” , il conflitto “ breve”, che ha impegnato gli Stati Uniti e la Nato nella difesa del piccolo ma ricchissimo Stato del Kuwait, attaccato dall’Irak di Saddam Husayn, che aveva chiamato a sostegno la nascente Lega Araba contro il nemico “ Occidente”. Che sia uno spettacolo, lo dimostra l’improvviso spegnimento delle luci sul palcoscenico dell’Ucraina, e l’immediata sostituzione dei due attori protagonisti nella lotta tra il bene e il male, Volodymyr Zelenskyj, la vittima, è Vladimir Putin, il carnefice.

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Ogni giorno, a tutte le ore, da quattordici mesi in avanti, occhi, i nostri, e obiettivi, le reti, puntati su quella martoriata regione. Ancora una volta, anche qui, le ragioni della guerra. Le solite, le più antiche: la voglia di predominio etnico e, quindi, culturale, e quella, ancora più irresistibile, di prendere più territori, facendo del furto della terra dei padri il diritto di concepirla come propria. Lo spettacolo è lo stesso che in ogni parte del pianeta, città rase al suolo, campi bruciati dalle fiamme, terreni bucati in voragini dalle bombe, altri coperte dalle mine sotterrate. E ancora, cieli anneriti dal fumo, fabbriche distrutte insieme alle scuole e agli ospedali, agli stadi e alle università. E ancora, bambini massacrati, donne violentate, vecchi gettati come ferri arrugginiti, rami d’albero spezzati, foglie d’autunno cadute. E quelle grida disperate di madri che non “ sentono, quegli occhi rigonfi di pianto che non si vedono. E quei padri che corrono impazziti con in braccio il loro figlio morente. Corrono chissà dove, se tutto intorno è macerie e morte.

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L’aria della guerra respira di morte. E del suo olezzo maleodorante rischia anch’essa di morire. Soffocata. La guerra uccide la Vita della Natura. Quella che offre i frutti per nutrire il corpo e rallegrare il gusto e l’ambiente salubre crea. Da questa morte ne viene quella della ricchezza materiale. La chiamano economia, la scienza esatta con le sue leggi infallibili. Ma la morte dell’economia, però, non resta indifferente a sé stessa, non chiude la sua vita con la sua fine. Procura una conseguenza che accentua la sofferenza degli esseri umani e moltiplica i lutti. È la povertà. Una povertà estensibili al di là ogni altro confine. La guerra armata nelle regioni interessate si allarga per quelle “cosacce” che chiamano diplomazia e alleanze strategiche( altre definizioni maledette), che in parole più elementari significano allargamento del conflitto sul terreno non armato. Le economie nazionali, che vengono colpite dalle conseguenze dirette o indirette delle guerre, sono uno scenario di guerra indotta. La povertà regionale prima e poi globale, l’altro più pesante. Il risultato finale è ancora più aberrante. Sarebbe anch’esso storico o addirittura antropologico, ma per questo è ancora più ripugnante. Ed è che, paradossalmente, la guerra fa ricchi i signori della guerra e i pochissimi che con i soldi la riarmano per moltiplicarli all’infinito. Le leggi dell’economia oggi sono addirittura ribaltate. Una volta produttività creava ricchezza in sé, anche se spartita in modo diseguale e ingiusto tra i suoi produttori. La regola era, più ricchezza diffusa più ricchi anche i già ricchi. Nella folle corsa odierna, la regola è che la povertà di tutti accresce la ricchezza di pochissimi.

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Un discorso difficile da comprendere? Ma no, basta che ciascuno dia un’occhiata a quanto si è già verificato nel proprio Paese, nazione o luogo di residenza che sia. Più poveri noi, più ricchi loro. È, questa, l’altra faccia della guerra. Ogni conflitto regionale ormai è guerra mondiale. E, tuttavia, noi restiamo a guardare. La guerra come spettacolo cattura. L’attesa di nuove immagini sempre più sensazionali rafforza il nostro bisogno di superare l’assuefazione a quelle presenti. La morte non ci scandalizza più e l’odio che la muove non ci allarma. Lo scandalo sarà vedere ciò che di orribile i nostri occhi ancora non hanno visto. Per poi assuefarci ancora, in quella corsa continua verso l’orrore che non avrà mai fine. Ché se esso avesse un confine invalicabile si sarebbe arrestato al genocidio degli ebrei consumatosi a metà degli anni quaranta del secolo scorso. Il secolo, cioè, che si pensava breve, l’ultimo dell’odio tra i popoli, l’ultimo delle guerre e delle macerie, umane e morali. Il rischio cui siamo ormai prossimi, è che l’assuefazione alla morte si sostituisca nel vivere comune la perdita del senso della vita. Non avremo più sentore della morte perché di essa non avremo paura. Non sentiremo la morte perché non sentiremo la vita. Uccideremo tutto intorno ad essa, perché la vita sarà diventata un fatto, un caso, un meccanismo magari governabile dall’intelligenza artificiale che già sta sostituendo quella umana. Per questo l’odio, prima ancora che qualsiasi altro interesse etnico-razziale e geopolitico, muove la guerra come concetto che le crea al plurale. E da globale le fa locali.

Dalla guerra, le guerre. Ma l’odio esiste perché manca l’Amore. L’Amore, però, si è ritirato, soltanto ritirato. E, purtroppo, da sé stesso, per noia o per stanchezza. Per rabbia o delusione. Ché l’Amore non è l’antitesi dell’odio, come la bruttezza non è l’opposto della Bellezza. Odio e bruttezza, come la cattiveria rispetto alla Bontà, non esistono se non per la mancanza di Amore, Bellezza e Bontà. Sono questi i principali motivi per cui non smetterò, nel mio piccolo, dalla cattedra umana che ancora occupo, a fare la guerra alla guerra. E a gridarne l’orrore. Perché è affar nostro, la guerra. Un problema che ci riguarda tutti. Da vicino. E non solo perché per noi europei, in particolare noi italiani, la maggior parte delle ultime guerre si svolge alle porte delle nostre case, al confine del nostro territorio, sulle coste dei nostri mari, ma perché tratta della vita. La guerra è la fabbrica degli arnesi che agiscono sulla Vita(con la maiuscola). Lo ripeto qui e lo ripeterò fino allo sfinimento mio. La vita delle persone, soprattutto di donne e vecchi e bambini, gli esseri umani innocenti per definizione. La vita dei luoghi, paesi, città, campagne. Degli spazi, chiusi e aperti, scuole, palestre, discoteche, cortili e campetti dei giochi. Le “ chiese”, di tutte le religioni. La vita degli animali e delle piante, degli alberi da frutto e del grano. È affar nostro la guerra, perché tutti i bambini sono figli nostri. Mentre questo pianeta non lo è. È dei bambini, che lo prenderanno in cura per consegnarlo a quelli che verranno. E più bello di come l’hanno trovato. Un mondo pieno d’Amore. Quello che sconfigge l’odio e distrugge le armi, riapre i granai e i forni per il pane. Lascia crescere i fiori perché la terra si riempia di colori, mentre tutti i vecchi che verranno, felici, possano ascoltare soltanto le urla di tutti i piccoli nel cuore che giocheranno festosi nei campi liberati".

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