di FRANCO CIMINO
Qualcuno (c’è sempre un qualcuno nelle democrazie distratte) se ne è ricordato all’ultimo momento e l’altro ieri, in serata, ha potuto proporre, in una commissione del Senato con potere deliberante, che quel giorno in cui, di notte, i camion militari da Bergamo, che non aveva più posti, hanno trasportato centinaia di salme nei cimiteri, alcuni molto lontani, che con pietà aggiuntiva, offrirono la più mesta delle ospitalità, quel giorno dicevo, verrà annualmente celebrato come quello della memoria dei morti di covid 19. Bel gesto. Buona scelta. Da oggi, diciotto marzo, ogni anno, si farà così. La simbologia più richiesta é il rito delle bandiere, italiana ed europea, a mezz’asta in tutti gli edifici pubblici. Specialmente, le case comunali, di cui Bergamo, con il drammatico carico di morti, ne è diventato il faro. Ormai, abbiamo preso pure noi questa abitudine. Ricordare civilmente, come la chiesa cattolica ricorda religiosamente, gli uomini e i fatti pieni di santità laica e di martirio civile, è cosa molto buona. Il nostro calendario, comprensivo delle ricorrenze internazionali decise dalle Nazioni Unite, è ormai pieno di queste ricorrenze. Le abbiamo, credo, messe tutte. Speriamo ci si fermi qui. E non solo perché non ci sarebbe più spazio, anche se per i nuovi santi della Chiesa lo si trova sempre. Ci si fermi, soprattutto, perché saranno finalmente finite tutte quelle “ tragedie” e quelle guerre che hanno sempre più bisogno di eroi per poter essere sopportate.
Noi amiamo queste ricorrenze - perché non dirlo? - in quanto ci piace che siano stati gli altri a farsi eroi al nostro posto. Ci piace che noi ci siamo a celebrare per merito di coloro che ci hanno virtualmente salvati. Ci commuoviamo davvero e piangiamo lacrime vere, più copiose dei familiari che in quegli eroi muti si nasconde il loro grido disperato. Ci piacciono pure gli eroi che restano in vita, anche se non riceveranno un segno della riconoscenza della Nazione. Quelle immagini che le emittenti televisive ci riportano alla memoria, si accostano obbligatoriamente a quelle dei medici e degli infermieri che hanno trascorso mesi interi all’interno degli ospedali senza mai poter tornare a casa. Neppure per una doccia o un saluto ai propri cari, i figli in particolare. Medici e infermieri, ventiquattr’ore su ventiquattro, a lavorare, stretti nelle tute e nelle mascherine, con i pochissimi mezzi a disposizione e assai scarse notizie su come contrastare il virus terribile che ci ha infestato. Medici e infermieri, che consapevolmente hanno rischiato la propria vita per salvare quella degli altri. Accanto a queste figure, altrettanto doverosamente vanno ricordate quelle degli operatori di protezione e ordine sociale, di assistenza, di sostegno, di vigilanza sul territorio. Li cito categorie per categoria: le Forze dell’ordine, tutte, quelle militari, tutte; i Vigili del fuoco, gli addetti alle ambulanze, tutti, i Vigili urbani, tutti; gli uomini della Protezione Civile, tutti; la Caritas, i preti e gli uomini e le donne del volontariato, tutti. E per non finire, degli insegnanti, tutti. I “maestri” totali, che si sono dovuti inventare una cattedra e una di didattica nuova per fare “la Scuola” possibile ai nostri ragazzi. Senza di loro, nessuna componente esclusa, la disperazione sarebbe stata più alta, il dolore incontenibile. La solitudine delle persone sole, degli anziani rimasti più soli nelle loro case e la sofferenza dei senza tetto, senza il l’abnegazione e l’impegno oblativo di tutta questa gente, sarebbe stata insopportabile per una società, la nostra, che improvvisamente si è scoperta fragile e vulnerabile, sotto tutti i punti di vista. Per tutti sarebbe stato davvero impossibile sopportare il peso di una epidemia così devastante.
Ben venga, allora, la celebrazione di questa giornata, se la su libera però di ogni forma di retorica, dietro la quale spesso si nascondono ipocrisia e strumentalizzazioni volgari. Ben venga, dunque, questo calendarizzato diciotto marzo se al ricordo degli oltre centomila morti di Covid(chissà quanti saranno nel conteggio finale!) noi, i salvati e i fortunati, e i nostri figli per se stessi e per noi, ci ricorderemo di questi anonimi soldati che sono ancora in trincea a difesa di un immenso esercito il cui sacrificio maggiore richiestogli è stato quello di restare a casa. E di proteggere se stessi e i propri cari, nel mentre lo Stato ha, più visibilmente ed eticamente, indossato i panni del Padre premuroso. Un padre che ha tentato di non far mancare nulla ai cittadini divenuti figli, tutti suoi. Ben venga questo giorno, quindi, se oltre ad essere cosa buona, sarà anche giusta nell’imboccare la direzione sopra indicata. Ben venga se oltre ad essere “cosa buona e giusta”, sarà anche utile.
Per i soldati di questa maledetta guerra che, purtroppo, non finirà tanto presto, specialmente se l’esercito dei “ resta a casa” non farà finalmente la sua parte. Quella che non richiede sforzi fisici immani, ma soltanto di rispettare le regole più elementari dell’igiene personale e del distanziamento fisico richiesto dalla situazione. Di rispettare anche una regola. Questa si trova in quel silenzio che separa il rumore del dramma della corsa verso gli ospedali e le camere di terapia intensiva di questi; tra il battito dei cuori in attesa e la morte, tra la speranza e la salvezza. Nel silenzio che intercorre tra il dolore e il pianto. Tra quel diciotto marzo del 2020 e i giorni della rinascita. È una regola non scritta, questa richiesta di rispetto, e che non può essere declamata ad alta voce ché sarebbe strumentalizzata nella incessante lotta tra i partiti. Tuttavia, se metti l’orecchio sulla Costituzione la sentirai respirare ad ogni sua parola. Si chiama fiducia nelle istituzioni e nelle autorità che le rappresentano. In questa fiducia si potrà trovare veramente, e non a chiacchiere, l’unità autentica degli italiani. Quella che una storia lontana ci ripropone come salvifica e “restitutiva” di forza e dignità autentiche. Forza e dignità, e anche onore, che hanno ricostruito il nostro Paese da tutte le macerie della storia. Forza e dignità e onore e intelligenza che lo hanno fatto diventare rispettato e amato nel mondo sulla spinta fi quegli ideali grandi che ogni nazione ci invidia e letteralmente, non sempre riuscendovi, ci copia. Ben venga, quel giorno, pertanto, se ai nostri eroi odierni sapremo dare le migliori medaglie da attaccare sulla divisa. No, non quelle di finto oro. Non ne hanno bisogno. I loro figli non si ciberanno di metallo. La più utile cosa è aumentare sensibilmente i loro stipendi e dare più prestigio alle loro qualifiche professionali. Perché non è possibile, anche sul piano morale, che i salvatori del Paese( come tutti quelli di ogni regione del pianeta) continuino a percepire paghe mensili da fame, mentre altre categorie, che non cito per non buttarla in moralismo o in “ politicismo”, vivono negli agi più ingiustificati.
Da un anno a questa parte, l’Italia ha speso, e vieppiù in questo corrente spenderà, circa duecento miliardi. Soldi propri, tutti a debito. Con il più saggio e produttivo utilizzo degli attesi Ricovery Fund, soldi dell’Europa, in altro ambito si trovino le risorse per questo alto riconoscimento civile. L’economia risorgerà dalla civiltà e dalla Politica in essa. La Politica, strumento essenziale della Civiltà. Le scelte buone della Politica costano. L’economia, quella vera, dei fini umani, è solo la cassa di pagamento del Bene, non il comando assoluto e autoritario sulla vita e tutto ciò che la comprende.
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