Franco Cimino: "Elezioni americane: Kamala, per salvare la democrazia nel mondo"

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Franco Cimino
  03 novembre 2024 13:10

di FRANCO CIMINO 

È ormai arrivato. Dopo tanti martedì, alcuni stanchi altri accesi, molti inquietanti, altri rassegnati. Parecchi interroganti, dello stesso numero imprecisato“rispondenti”. Alcuni illuminati, altri scuri come il nero. Non pochi spaventevoli e dello stesso numero incoraggianti. Mai , comunque, in questo anno orribile, un martedì senza crepitio delle armi. Mai uno senza guerre, nessuno di questi senza morti e distruzioni. E siccome il mondo ha sempre ricevuto gli atti conseguenti di questo fatidico martedì, forse mai, come questo atteso, ha tenuto il fiato sospeso. Ma adesso è arrivato. Da questo momento, mancano solo due giorni. E l’America degli Stati Uniti, andrà a votare per il suo nuovo presidente. Ancora una volta il suo sistema elettorale vedrà i due partiti storici, il Democratico e il Repubblicano, impegnati ad eleggere un loro candidato. Memorabili sono alcuni di quei martedì della contesa per la suprema carica.

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Memorabili come i tempi dei grandi passaggi storici del mondo, che li hanno contrassegnati. Memorabili, come i grandi presidenti che hanno segnato, positivamente o meno, la storia di quel paese e i destini del pianeta. Il tutto nella più inoppugnabile delle verità. Quella che dichiara l’America, a seconda dei punti di vista, guida o padrone dell’Occidente, madre o figlicida della Democrazia, costruttrice del benessere o negatrice dello stesso, laboratorio delle libertà avanzate e della promozione dei diritti o cattivo sistema di imposizione al mondo di culture e modelli falsamente liberatori di popoli e persone. E, ancora, il paese che difende la libertà dei popoli e dei paesi che la cercano e, al contrario, quello che si ingerisce, condiziona, complotta, disturba e devia il percorso autonomo di piccoli stati per imporre la propria egemonia. Il grande Paese costruttore della Pace e il potente generatore “ bellico”, che fomenta i conflitti, arma i cosiddetti amici per la sua natura di guerrafondaio al servizio di una becera economia che si arricchisce con il mercato delle armi. E, ancora, il Paese dell’accoglienza di uomini e donne in cerca di pane e lavoro, di libertà e diritti, e quello che sfrutta gli ultimi e i bisognosi per arricchirsi sulle loro fatiche malpagate.

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Si potrebbe continuare lungamente nel dire, a seconda del proprio sentire, tutto il meglio e tutto il peggio della Nazione nata dalla(ora incredibilmente controversa), scoperta del nostro(ora assurdamente discusso pure nella sua identità), Cristofaro Colombo, ma una cosa è certa, gli Stati Uniti sono ancora più importanti per il pianeta oggi che non in tempi passati. Lo sono per alcuni motivi, di cui elenco quelli che mi appaiono più evidenti e stringenti. Il primo, gli USA hanno perso molto della forza e del prestigio di un tempo. Il secondo, questa debolezza è alimentata paradossalmente da quella della Russia di Putin e dai risultati sullo scacchiere mondiale prodotti dalla fine della netta divisione del mondo tra la vecchia Unione Sovietica e la vecchia America, i due imperialismi dominatori assoluti uno dell’Occidente, l’altro dell’Oriente. A questo quadro si aggiunga la crescita impetuosa della Cina, sotto tutti gli aspetti, pur se ancora non in quello militare, come sembrerebbe, e l’aggravarsi della situazione in Medio Oriente. Su questo scenario, grava la più preoccupante delle debolezze, quella della politica americana e delle sue leadership. A un presidente uscente debole, non solo malato, succederà un presidente debole. Le speranze suscitate, sia pure in maniera controversa e contraddittoria, dalle presidenze Clinton ed Obama, sono scomparse progressivamente nel corso di questi ultimi dieci anni. La politica ha generato personalità in linea con la crisi del Paese. Le ultime due presidenze, ne hanno pure indebolito il prestigio e l’autorevolezza. E della Casa Bianca e dello stesso fascinoso mitico Air One. Gli americani, sempre fieri e orgogliosi del loro paese, intorno alla bandiera del quale si sono sempre ritrovati uniti, oggi sono divisi, confusi, intimiditi fino alla soggezione. Le elezioni di martedì si svolgeranno in questo contesto. La campagna elettorale più rozza e volgare, che si sta per chiudere, lo conferma. E non solo per lo scambio di insulti tra i due candidati. Ma per la mancanza di grandi idee e di progetti su cui farle caminare. L’America, che disegnava, bene o male, il nuovo mondo con i colori di nuove albe e le linee di luminosi orizzonti, non c’è più.

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L’America di tutti coloro che volessero raggiungerla per farne la realizzazione dei loro sogni, non c’è. Non c’è l’America del sogno americano. L’America protettiva dei paesi in difficoltà. Quella sempre in aiuto ai popoli che hanno bisogno di tutto, l’America della Libertà, non c’è. E non c’è perché i due contendenti non la vanno a cercare. Non la sentono affatto, preoccupati soltanto, come entrambi sono, di ciò che si muove al suo interno, dei propri confini, della propria economia, della sicurezza interna. In modo diverso, i due sfidanti hanno un solo slogan. Quello che ha fatto la fortuna di uno dei due ,“ prima l’America”, sembra essersi trasformato in “ solo l’America”. La sfida pertanto, oggi, non è tra due partiti e le loro diverse ma non opposte culture di governo. È la sfida tra un uomo e una donna privi di una grande e affascinante cultura politica. Un uomo avanzato negli anni, pure stanco e depresso, e una donna non più giovanissima, che si porta sulle spalle spalle la non felice gestione dell’ultima presidenza. Lo scontro è tra due personalità che hanno avuto lungamente a che fare con il potere, un ex presidente e un ex vicepresidente. E, però, martedì si andrà a votare. In quanti si recheranno ai seggi è la domanda che preoccupa, visto l’effetto che la storica scarsa affluenza elettorale sta facendo in tutti i paesi, il nostro compreso.

Si andrà a votare, ché è d’obbligo che gli USA abbiano il loro “ comandante”. È necessario che il mondo lo veda all’opera anche sugli affari del mondo, che l’Europa ritrovi un suo prezioso alleato, che le regioni in guerra lo scoprano pompiere e le guerre spenga, che l’Umanità senza, cibo e senza acqua, lo ritrovi quale concreto aiuto al superamento di quella povertà insopportabile. E per l’altra crescente, che deriva dalla crisi dell’economia globale, sulla quale i pochi ricchi accrescono vergognosamente la propria ricchezza. Tutti abbiamo bisogno del nuovo presidente degli Stati Uniti. E in lui o lei, la speranza che possa, durante il mandato, sentire questa pesante situazione e rivelarsi un grande leader mondiale. Un nuovo salvatore dell’Umanità, costruttore del Progresso e della Pace. Sostenitore della libertà dei popoli e del loro diritto a vivere con dignità in un paese che sia il loro, dentro un territorio, che sia di quel paese. L’America deve scegliere, con il voto. E noi pure dobbiamo, pur se non potremo votare. Io la scelta l’ho fatta da subito, pur se da essa mi sarei aspetto molto di più in queste infiammate settimane. Tra Donald Trump e Kamala Harris, senza alcun dubbio scelgo lei, Kamala. E non perché sia la meno peggio, che sarebbe offensivo il solo pensarlo. Non perché sia di quel partito, il democratico, molto affine al mio, la Democrazia Cristiana del tempo che fu. La scelgo non perché sia donna, valore già alto in sé. O perché di colore e di origini addirittura afro-asiatiche, elemento non trascurabile sul piano della sensibilità culturale. La scelgo, non per il suo grado elevato di istruzione, la sua formazione giuridica, il suo precedente lungo lavoro nella Giurisdizione, ovvero per la sua vivacità caratteriale e la sua freschezza fisica, che le farebbero ben sopportare il peso delle fatiche della presidenza.

La scelgo, soprattutto, perché di un’altra presidenza Trump non se ne potrebbe affatto. Di un uomo come quel personaggio, che, inquieto e inquietante, si aggira per ogni via, in compagnia di un altro più inquieto e inquietante di lui, il più ricco e potente del pianeta, con l’ambizione di conquistare altri pianeti, davvero non se ne ha bisogno. Di un “ politico”, che, istigando quattro anni fa, i suoi folli sostenitori ad assalire il Campidoglio, ha mostrato l’assoluta mancanza di senso delle istituzione, di sensibilità umana e democratica, non si avverte alcuna utilità. Di una persona totalmente arrogante, presuntuosa, narcisista, ignorante, che ha in testa solo il business, per dirla all’americana, e quella brutta concezione della donna, che, inoltre, della sua volontà di respingimento di uomini e donne e bambini, ne ha fatto sempre lo strumento della sua sua visione egoistica della vita e della realtà umana intorno ad essa, ma proprio non se ne sente alcuna esigenza. Trump sarebbe dannoso per gli Stati Uniti e pericoloso per il mondo. Per l’Europa sarebbe una vera iattura. Per l’Italia sarebbe utile solo a qualcuno, piccolo piccolo, che gli vorrebbe somigliare scimmiottandone le forme espressive e il modo di pensare. L’Umanità nelle mani di un uomo così instabile e confuso e ignorante, così aggressivo e irascibile, tanto volgare quanto incolto, sarebbe in pericolo. E potrei continuare sul giudizio verso l’individuo che lo sovrasta. Ma c’è di più, che in quanto democratico nel sangue, mi preoccupa. È un elemento finora sottovalutato. In Europa e nel mondo stanno avanzando le forze della destra più arretrata e autoritaria. Il punto centrale della loro azione è il sovranismo e il nazionalismo, la loro parola d’ordine che li richiama nello stesso spazio. Un pensiero negativo, che per darsi forza si serve del populismo e degli umori negativi della gente sfinita dai bisogni più essenziali. Questa destra non è ancora pericolosa. Non è molto contagiosa ancora. Non lo è poiché ancora è divisa. È divisa perché le manca un “ federatore”, un leader forte e carimastico , che la unisca e la rappresenti unitaria. Questo “ capo” è già pronto in Trump. Se diventasse presidente degli Stati Uniti, il potere autoritario e diversamente “ illiberale” si estenderebbe su molte regioni. E quella nuova “ democrazia”, che ha già preso altrove diverse forme e altrettanti nomi, sarebbe dominante. Anche a sostegno di un’economia dei forti e degli ingordi e di una nuova dicotomica divisione del mondo. Che vedrà nuovamente nella guerra il suo strumento non per la soluzione dei conflitti, ma per l’egemonia totale e indisturbata di quei poteri su tutti i popoli della terra. Votare, noi col cuore e con la mente, Kamala, è un dovere umano, un atto di coraggio politico. Un segno di speranza per la Democrazia, affinché non muoia. E riprenda invece a vivere sulle nuoce speranze degli uomini e delle donne.

 

 

 

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