Franco Cimino: "Enrico Letta nominato (da chi?) segretario del Pd e la lunga stagione commissariale della democrazia italiana"

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images Franco Cimino: "Enrico Letta nominato (da chi?) segretario del Pd e la lunga stagione commissariale della democrazia italiana"
Franco Cimino
  11 marzo 2021 21:54

di FRANCO CIMINO

Il governo Conte cade “da vien fatto strumentalmente cadere”, nessuna maggioranza politica si forma, sicché Mattarella di fatto commissaria governo, partiti, Parlamento, chiamando Mario Draghi, a reggere tutte quelle fragili disperate sorti. Un giorno dopo il movimento Cinque Stelle, già privo da tempo di linea di comando, chiama quel Conte, che è stato lasciato venisse fatto strumentalmente fatto cadere, a porsi a capo di un movimento in costante perdita di consensi, di prestigio, di autorevolezza e , talvolta, anche della buona faccia di ragazzo innocente che si era data. Avrà pieni poteri e, se vorrà, anche il suo nome stampato grande sul “vessillo”. Di fatto sarà il commissario, indiscutibile per chiunque.

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Non sono passati neppure cinque giorni che Zingaretti, segretario del PD, con una mossa imprevedibile e clamorosa, si dimette dalla carica ricevuta da un consenso enorme della base due anni fa esatti. Il meccanismo che l’ha eletto con un milione e trentasemila voti degli iscritti, rappresentativo del sessantasei per cento dell’intero corpo elettorale interno, si chiama primarie, termine mutuato dagli USA, dove però significa che successivamente alle” primarie” interviene la consultazione definitiva, che, nella sostanza, nel PD non esiste. Di questo ne parleremo in altro spazio. Andate a vuoto le prime timide( e ipocrite) richieste di ritiro delle dimissioni con una corale( ipocrita e falsa) promessa di unità, si telefona a Parigi e si chiede a quell’Enrico Letta, che non hanno voluto restasse più di dieci mesi alla presidenza del Consiglio, sette anni fa, e per alcun giorno alla segreteria del partito quando egli vi concorse attraverso le primarie che elessero Walter Veltroni in quel congresso di Torino, 14 ottobre 2007, fondativo del PD. Quella nuova forza politica, che non poté o non volle essere il progetto che si era ambiziosamente dato. Sia Conte e sia Letta, si sono presi un po’ di tempo per riflettere ed eventualmente accettare la grande offerta. Enrico addirittura solo quarantott’ore, della serie “datemi il tempo di fare le valigie e di raggiungervi da Parigi.”

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Conte e Letta, due ex presidenti del Consiglio, il primo da sempre avvocato e professore, il secondo da sempre al governo con diversi incarichi, non hanno alcuna esperienza di cose della politica e di vita di partito, ma così è. Una patria, piccola e partitica, li chiama, e loro due, per giunta coetanei, abbandonano il ruolo di” riserva della Repubblica” o di gran signori delle istituzioni, e accettano di scendere nell’agone più acceso, cambiando panni, stili di vita e struttura muscolare. Entrambi, nel mentre “pensosamente” decidono, stanno trattando le condizioni che li possono rendere al sicuro da manovre e trabocchetti che gli impedirebbero di trarre profitto anche personale dalla responsabilità che stanno per assumere. La via obbligata per ambedue è quella, tra l’altro prevista dagli attuali statuti dei rispettivi partiti, della presidenza del Consiglio nel caso di vittoria alle prossime elezioni. Siccome vincere, con questo sistema elettorale o in uno simile o peggiorato, si potrebbe solo in una coalizione che vedrebbe impegnati sia il PD sia il M5S, già la si vede difficile questa partita dell’orgoglio. La situazione, però, è questa, al momento non modificabile. Il prendere o lasciare è d’obbligo e il lasciare sarebbe quasi impossibile. Giuseppe ed Enrico, pertanto, saranno le nuove guide di PD e di Cinque Stelle. L’attesa è forte, la curiosità crescente. Non solo tra gli aderenti, iscritti, elettori e simpatizzanti. Lo sono per gran parte del Paese.

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Evidente, infatti, appare già la ricaduta che la ritrovata vitalità di queste due forze politiche avrebbe sulla vita della democrazia italiana, resa oggi, purtroppo, assai difficile dalla crisi della politica. Questo è per i due partiti alleati nel precedente governo e dichiaratamente nel prossimo futuro. E gli altri? Come stanno le altre forze politiche in quanto a salute interna e a democrazia? A rispetto dello statuto e della dialettica democratica? Ad impegno con i propri iscritti e con le promesse agli elettori? Ecco, come stanno? Fratelli d’Italia, il partito della destra conservatrice nato dalla fine di Alleanza Nazionale, sin dalla sua fondazione ha lo stesso leader, Giorgia Meloni. Or sono più di dodici anni. La nuova Lega vede Salvini porsi a suo comandante da più di sei anni. Forza Italia dalla sua nascita, 18 gennaio 1994, ha nel suo fondatore, che pienamente la impersonifica, Silvio Berlusconi, l’unico capo che tutto decide. È facile dire che ciascun partito al suo interno può fare ciò che vuole( Democrazia non dice questo, tutt’altro). È facile anche per i più accesi avversari o detrattori affermare che tutto ciò è possibile nei partiti-persona, quali sono la maggior parte di quelli partoriti dalla fine della cosiddetta prima Repubblica in poi, il cui “ merito” di creatività andrebbe, tra l’altro, assegnato in esclusiva al Cavaliere di Arcore. Dire è facile e liberamente consentito. Gradire è pure concesso.

Difendere questo scenario potrebbe essere quasi un’obbligata conseguenza. Ignoranza, pigrizia, opportunismo e interesse, ne offrono spazi e possibilità. Ma non riflettere, e dopo più cinque lustri e in presenza di una situazione interna oserei dire drammatica, sulle conseguenze che un tale sistema di partiti ha avuto sulla crescente crisi politica e morale, e quindi democratica, del nostro Paese. è più che delittuoso. È stupido. Il ritardo con cui l’Italia arriva agli appuntamenti con la modernità e con l’Europa, che essa ha contribuito a pensare e a fondare, deriva quasi esclusivamente da questa surrettizia modificazione avvenuta nei gangli vitali della stessa Costituzione e nella essenza della Democrazia, la nostra, che anche sulla spinta partecipativa delle forze sociali e politiche è fondata. La stessa aggravata questione morale deriva da questa anomalia e dalle pesanti contraddizioni in essa insistenti. Il Paese si trova, pertanto, in pieno stato commissariale, che davvero lascia fortemente preoccupati i cultori dei sistemi democratici e gli amanti, ancorché distratti, della democrazia. Le libertà già da tempo ridimensionate nel principio stesso di Libertà che le motiva e attiva, rischiano di diventare un lusso quando il “nuovo sistema a-sistema” vorrà ancora, assai modificate nella sostanza, concederle. Il mondo globalizzato ci sta imponendo un potere tutto incentrato sull’economia.

Questa prevale sulla politica e le istituzioni, sempre più considerate cinghie di trasmissione di decisioni di fatto autoritarie, che hanno bisogno solo di legittimità formale e del consenso passivo dei cittadini. Se non torneremo ai partiti veri, fatti di uomini e donne in carne ed ossa, che si si incontrano nelle sedi più aperte possibili, anche quelle offerte dalla tecnologia avanzata, per discutere, proporre un programma e selezionare una classe dirigente attraverso una votazione “visibile” e certificabile, se non riproporremo un sistema in cui “obbligatoriamente” una maggioranza e una minoranza, si confrontano nella pari dignità, per la formazione della decisione democratica, e se non rinascerà una vera forza di opposizione, sociale prima che partitica, che abbia la capacità di riprendersi la piazza della democrazia, la Politica, con la maiuscola, non rinascerà e con essa quell’antica coscienza civile, che, nutrita del senso critico delle persone, ha dato vita alla vita, purezza agli ideali, respiro vitale alle istituzione, onestà all’agire umano.

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