Franco Cimino: "Evitare dispute assurde mentre Fondazione Betania viene fatta morire"

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images Franco Cimino: "Evitare dispute assurde mentre Fondazione Betania viene fatta morire"
Franco Cimino
  17 luglio 2023 22:11

di FRANCO CIMINO

Villa Betania non è un problema. Come non lo era Villa Sant’Anna e come non lo sono stati in precedenza situazioni di egual genere di cui lungo sarebbe l’elenco. È un problema, e serio, dei lavoratori, degli ospiti e degli assistiti. Lo è per le loro famiglie. È un problema per i creditori, che rischiano di non ricevere tutto il dovuto. È un problema, paradossalmente, per chi avrebbe dovuto rafforzarla e invece l’ha indebolita. Per chi doveva valorizzarla e al contrario l’ha svenduta. È un problema per chi avrebbe potuto salvarla in questi lunghi anni e non l’ha fatto. È un problema anche per chi, metodologicamente, sta alla finestra a guardare che l’irresponsabilità, mista a ignoranza, lasci deperire beni importanti per rilevarli a quattro soldi al mercato della speculazione e dell’infedeltà istituzionale. È un problema anche per coloro che, se questo metodo a sistema, essendo antico in Calabria, non avessero inventato, dello stesso si sono serviti per accrescere il proprio spazio di potere e la redditività dei propri interessi. È un problema anche per chi ha attivato e per chi deve gestire il procedimento di liquidazione giudiziale, parola elegante per non dire fallimento. Villa Betania è un problema, e serio, per tutta questa gente. Solo le conseguenze e il dolore sono diversi, essendo quelli di chi vi sta dentro, quasi tutti per una vita intera, e i degenti per tutta la vita che gli resta, davvero drammatici. Non è, però, un problema per la Città. Per Catanzaro è invece la soluzione del problema. Del problema grande che ne contiene tanti apparentemente piccoli. Ne richiamo alcuni. Pochi. Il primo e poi a seguire gli altri. La difesa di un bene, ormai storico, con i suoi ottant’anni di vita. Allora si chiamava Opera Pia In Charitate Christi. E poi alcuni nomi di fondatori e sostenitori.

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Li elenco: don Giovanni Apa, don Giovanni Capellupo, don Nicola Paparo assieme a Maria Macrina, donna consacrata, che lo condussero, quale ente assistenziale e di carità, fino agli anni settanta. E poi, dal 1980 in poi, con l’avvento di quel grande Vescovo, mons Antonio CANTISANI, il rilancio e la modernizzazione, che lo stesso Vescovo ha affidato a don Biagio Amato e al dottor a Raffaele Gentile, medico, elevato agli altari. Denominazione e nomi ricordano l’impegno straordinario che quella Chiesa bella ha profuso per il territorio della Diocese e per la Città. Quel Bene ha fatto tantissimo bene. Ha raccolto gratuitamente, in quel tempo, la sofferenza degli ultimi, dei deboli e la solitudine che li umiliava pure, e ne ha protetto la vita, ridandole dignità e sicurezza. Ha fatto un altro bene. L’ha fatto alla Chiesa, ai suoi pastori, ai suoi fedeli, ricordando loro che una missione sola tutti abbiamo, salvare l’uomo per donarlo, come risorsa, alla comunità degli uomini. Un altro bene hanno fatto, inventare una cultura in cui solidarietà si coniugasse con fattività, amore con impresa. La più grande delle imprese. Quella prettamente umana, l’impresa sociale. Una cultura tanto affascinante da contagiare, nello spirito di solidarietà, tante brave persone che hanno fatto negli anni consistenti donazioni. Gesto dopo gesto, solidarietà dopo solidarietà, lascito dopo lascito, quell’impresa crebbe enormemente in spazi e in funzioni, assolvendo a compiti fondamentali che le istituzioni pubbliche non svolgevano. Crescendo, anche fisicamente nelle strutture, aumentarono, su richiesta delle istituzioni pubbliche, i compiti, le funzioni e le competenze. Con questi cambiamenti, alla struttura cambiarono ragione sociale e denominazione. Divenne azienda socio- sanitaria, in rapporto con il Ministero della Sanità e la Regione. Essendo una realtà privata, essa divenne Fondazione e, per conservare un qualcosa di religioso, le si diede il nome di Villa Betania. Successivamente, sofferenze e crisi continue. E ripetuti rischi di chiusura totale. Quale fu l’errore? Di ignoranza o di superficialità estesa, forse, fu l’errore.

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C’è stato dell’altro? Probabilmente sì. Di certo, la inadeguatezza dirigenziale in una necessitata trasformazione che avrebbe richiesto competenze manageriali. E poi, errori di valutazione e di selezione delle risorse. Forse, anche la chiusura rispetto all’esterno, qualche invidia e gelosia, che da noi non mancano mai. Anche nella Chiesa. E ancora, la strumentalizzazione della politica e le gravi inadempienze della regione, che le fatto mancare i rimborsi e ristretto i finanziamenti promessi. La lontananza delle istituzioni e in particolare quella comunale, che di lei si è sempre dimenticata o ha fatto finta di non vederla quando era in difficoltà. Tutte queste colpe, e altre che non richiamo, sono meno pesanti di quella che non valuteremo mai abbastanza, troppo impegnati, come siamo, in tutt’altre faccende, che chiamiamo politiche. La colpa più grave è avere smarrito la qualità di ente di natura privatistica senza acquisire la capacità di azienda pubblica. Il vero fallimento fu lì, nel momento in cui, cioè, non si è stati capaci, chiesa e politica, persone e istituzioni, di realizzare la più grande delle innovazioni in una Calabria ferma a una politica padrona di tutto e dispensatrice di mance a forma di carità…elettorale. L’innovazione di costruire, qui, nel Capoluogo e per la regione, una nuova cultura d’impresa attraverso una sana alleanza, in una operatività comune, tra pubblico e privato. E nella considerazione inconfutabile che non esiste azione prettamente privatistica quando l’interesse che si tutela è pubblico. La vita umana, quale esempio più calzante, e il suo prendersi cura, pienamente rappresenta questo principio. Le forze e i soggetti politici, le gestioni diverse di diverse istituzioni, non utilizzino il dolore di e per Villa Betania per assurde e stupide lotte politiche.

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Si mettano invece insieme, tutti, guidati dal Sindaco e dal Presidente del Consiglio regionale, per difendere questo Bene, bene nostro. Di Catanzaro e della Calabria. Le vie per farlo e i tempi ci sono tutti. Con intelligenza politica e saldezza morale, lo sappiano difendere dalla speculazione, già in passato impiegata purtroppo, che lo vorrebbe ostaggio nelle mani di chi vorrebbe “ prenderselo” a quattro lire per farne cosa diversa dalla sua antica missione. Missione che va piuttosto pienamente recuperata. E, poi, insieme, con la stessa fermezza riprendano la questione Sant’Anna e facciano in modo di rendere chiaro ciò che è avvolto nei più nebulosi misteri. I catanzaresi devono sapere, se vorranno finalmente interessarsi della vita che li riguarda direttamente come cittadini.

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