di FRANCO CIMINO
La Danza Nuova al Politeama, Innovazione artistica, tecniche nuove e tecnologie avanzate ad essa applicate. Coraggio e fantasia, spettacolo e nuova grammatica del linguaggio del corpo , danza e acrobazia, ballo e rappresentazione onirica di tanto di noi che non ricordiamo e di una realtà che va reinventata, presenza scenica e forza fisica, bellezza del ritmo e bellezza dei corpi, armonia e distonia,
luci e colori su costante sfondo nero. E quelle immagini di corpi e di forme che si trasformano al gioco delle luci, con quel suo comporsi e scomporsi tra forme di coriandoli e fiocchi di neve variopinta per poi alla fine risolversi, con un tocco magico, in una palla, la cui rotondità, lasciata alla libera interpretazione dello spettatore, risvegliatosi dell’incanto attraverso il rumore assordante del lungo applauso finale del pubblico, può significare tante cose. Tra le più incisive, la perfezione ricomposta attraverso l’armonia della geometrica forma “ perfetta”, ovvero il mondo che leggero si può tenere sul palmo della mano, diversamente da quella famosa immagine di Chaplin nel “ Grande dittatore”. Oppure, tenero e leggero, perché, svuotato dal male, si possa muovere, elegante come nella danza, nel Cielo visibile all’occhio umano. Straordinari e bellissimi i ballerini, spettacolo straordinario e bellissimo, tutto ciò che ha danzato sul palcoscenico del nostro
Teatro. Spettacolo tra i più belli in assoluto visti finora al Politeama. Bisogna vederlo per capire perché questo corpo di danza e questa messa in scena, come un racconto di una favola, abbia girato il mondo e conseguito successi enormi. Tutto questo ho visto ieri sera al Politeama, nella serata successiva al concerto, strapieno di fans, di Claudio Baglioni, per il quale i convenuti da ogni parte della Calabria non ha badato all’assurdo costo del biglietto. L’ho visto con gli occhi miei di sognatore e osservato attentamente pur con la mia scarsa competenza in materia. Ma “ sentito” , molto
sentito, con il mio animo semplice di fanciullo, quello al quale il Teatro per sua precipua funzione ti rimanda, nel contempo lasciandoti vecchio di mille anni. Fanciullo, per ascoltare le voci silenziate da una sordità imposta e per sbarrare gli occhi dinanzi al sogno che si materializza. E vecchio, molto vecchio, per aggiungere al sogno
la saggezza sulle cose che nella vita si sono mosse all’incontrario di essi. E questo senza crogiolarsi nella nostalgia o logorarsi nel rimpianto, ché la vita è più bella di come ci viene. Assai più bella se invecchi restando bambino. Assai più interessante se non smetterai di immaginare che possa essere diversa per come te la vogliono far vedere. Assai più utile se fai del sogno l’inarrestabile forza con cui tu stesso, da solo anche, potrai cambiarlo. Anche se il Teatro, come luogo e come ambiente, compie un’altra grande magia, sognare e pensare da solo e applaudire in pubblico. Come dovremmo fare ogni giorno fuori da quel monumento alla civiltà. Pensare da soli, sentire con altri, lottare insieme per trasformare questo mondo vecchio ma ancora fanciullo. Il Teatro fa anche questo. E ieri c’è riuscito pienamente. Complimenti al Festival d”Autunno. E Brava Tonia Santacroce, davvero brava e coraggiosa. Di donne di questa qualità ne abbiamo, qui da noi, almeno tre, di cui altrove ho detto. Offrono spettacolo e cultura insieme, anche se insieme dovrebbero operare per contrastare il trinariciuto potere maschile, che, complice una certa politica che ancora tarda ad estinguersi, vorrebbe continuare a governare la Cultura e i suoi spazi alla stregua di qualsiasi spazio di potere. Ieri sera il pubblico, questa volta accorso più numeroso, per fortuna, si è divertito molto. E ha pensato pure molto. Divertimento pensoso, è stato, diciamo. Quello che ci serve per crescere come persona e come comunità.
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