Francesco Passafaro é bravo. Ma bravo assai. Fa teatro sempre. Quando parla non recita, fa teatro. Quando insegna. Quando crea. Quando scrive ciò che crea. Fa teatro. Ieri sera ha fatto teatro inventandome uno nuovo. “Quanto dura” gli domando incontrandolo in una delle “piazzette”del suo e nostro Comunale, che una dopo l’altra conducono nell’ampia sala e sopra, davanti all’ampio ingresso salotto dell’accoglienza, nei palchetti. “Devo andare via prima…” Gli sottolineo per i motivi personali che lui conosce. Lui, cortese, mi risponde:” Franco, due ore, un poco più poco meno, ma questo è il tempo. Sono cento tra bambini e ragazzi e adulti della nostra scuola, la Lab, che si esibiranno, tu capirai bene…Ma non ti preoccupare, vai non appena ti sarà necessario. Essere venuto è per noi, per me, già un piacere.” Mi siedo, tra l’altro, in ultima fila, con questo mio scopo di necessità. La musica parte e arrivano i bambini, mamma mia quanti sono! Poi, cambio rapido di scena, quelli più grandi. Ancora cambio di scena, e spuntano quelli più grandi. E via via uomini e donne, fino a quell’età che le donne non vogliono ancora che si dica. La meraviglia mi prende. La curiosità la accompagna. E così mi sono incollato alla poltroncina e non mi sono mosso un attimo.
Francesco Passafaro ha fatto teatro nuovo. Dovreste vederlo tutti nelle cento repliche, che dovrebbero essere fatte dopo queste due serate consecutive. Francesco ieri ha fatto teatro con le simpatiche “audizioni”, trasmesse in video, dei bambini piccoli piccoli. Così piccoli che non arrivavano al tavolo. Una domanda del maestro, la loro risposta, ed è stato teatro. Teatro vero. Poi, inizia, come detto sopra, lo spettacolo. Egli dice essere un saggio di fine anno della scuola Lab. Invece, è stato teatro. Teatro nuovo. Divertente. All’inizio, tanti bambini in circolo che sembrava una ricreazione della scuola dell’infanzia. E, invece, era teatro. Prima di questa, prima dell’inizio dello “spettacolo “, arriva lui, microfono in mano, e presenta . Dice tante cose, parole felici, espressioni divertenti, mimiche comiche, corpo in movimento. Ed è teatro. Spiega cos’è il lavoro, cos’è la scuola, chi sono i bambini, ironizza sul richiamo del teatro, che “ al contrario della spontaneità, come alcuni pensano, è studio continuo. Perché sul palco non si è “ spontanei”, ma preparati.” Ed è teatro. “ Amore e/é la cura”. Francesco, gioca col titolo dello spettacolo, unendo con un un filo sottile di continuità la e congiunzione e la é verbo. L’Amore si accosta alla cura o è la cura? Ed è teatro. L’Amore cura e chi e quanti e quando e dove? Ma l’Amore cos’è? Salva davvero o dona la felicità? Ed è teatro.
Lui non offre risposte. Ad alcuna delle domande, che lascia camminare silenziose e urlante sulle quattro tavole, non dà risposte. Ed è teatro. Le domande sono la sceneggiatura dell’opera teatrale complessa, che attende gli attori per farsi spiegare da loro. Ed è teatro. Il maestro, davvero in questo caso, di scuola, parla di questo, in modo accattivante, con tono sornione, e quel pizzico di filosofia tutta napoletana e calabrese insieme. Ed è teatro. Inizia il lavoro teatrale vero e proprio. Sul palco si susseguono i cento, (sono davvero cento di numero)“ attori” , la cui qualità espressiva varia solo per l’età. Dalla più piccola attrice di quattro anni al più grande, adulto e “anziano, meglio dire un po’ più adulte, essendo tutte donne, queste ultime. Loro si esibiscono pur se brevemente e la gioventù diversa esplode in parole e canto.
Ché il teatro lascia tutti giovani. Non invecchia lui, non invecchiano attori e neppure gli spettatori. Il teatro è vita, che in ciascuna vita si rinnova. Ieri sera lo spettacolo, per tutte queste originali intensità tra i migliori visti in Città, è stato teatro. Da molti anni, non ne ricordo di più belli. Ma non è della rappresentazione che ho voluto dire. Sarebbe stato, tra l’altro, troppo lungo lo scrivere e le parole non mi sarebbero bastate per dire di ciascuno attore e ciascuna attrice. O delle singole scene che sono più di cento. Anche queste. Dico solo di Lui, Francesco Passafaro, il maestro di scuola e maestro d’arte, regista e autore di commedie. Dico di Francesco il mattattore, inteso anche come matto direttore, essendo lui il più matto dei quattro matti che l’hanno seguito nella bella grande imprese di rinascita del Comunale, il teatro al Centro del Centro Storico. Parlo di lui, perché lui è Teatro. Il Teatro. L’anima dello stesso. Perché il Teatro ha un’anima. Sempre. L’anima di chi lo fa. Di chi lo vive e vive per esso. Come lui. Che, teatro fa. Teatro è.
E per esso vive. Vederlo in scena, per qualsiasi atto, gesto o dialogo o discorso, anche da solo, per un minuto o per cento, ti procura le stesse emozioni proprie del Teatro. Diverte, ti fa ridere a crepapelle. Commuove, ti fa piangere pure di lacrime trattenute. Ti fa riflettere già mentre torni a casa. Ed è teatro. Vero. Bello. Buono come il vento di Catanzaro. Francesco è bello e buono, come il cielo di questa città, che tanto ama. E, inoltre, posso dirlo senza danneggiarlo essendo lui invulnerabile, è mio amico. Amico anche del Teatro. E del Comunale. Come lo sono anch’io,. Amico, lui, leale e generoso della mia Città. Della nostra Catanzaro, che andrebbe amata meglio da tutti. Amata nel modo a lei più necessario. Essere difesa, protetta, sostenuta in tutta la sua straordinaria Bellezza.
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