Franco Cimino: "Giorgia, la ragazza militante, la fede politica e la lunga corsa verso il Palazzo"

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Franco Cimino
  21 ottobre 2022 22:45

di FRANCO CIMINO

Oggi inizia ufficialmente il breve percorso che porterà Giorgia Meloni dalla Camera dei Deputati, dove vi lavora da vent’anni circa, a Palazzo Chigi. Pochi passi, non più di centocinquanta. Ma quanta è stata lunga la strada fangosa, sterrata, accidentata, polverosa, assolata, tra ripide salite e discese rompicollo, che lei ha compiuto! È stata dura, ma ce l’ha fatta. E per merito, diciamolo onestamente, quasi tutto suo. Di una ragazza semplice, con pochi soldi in tasca e altrettanto pochi libri in testa, ma con una fede incandescente verso un’ideologia che ci voleva davvero coraggio a sostenere, anche se con i suoi anni giovanissimi, quel carattere peperoncino, quella parlantina rapida, veloce e tagliente, si sarebbe potuta consentire tutto. Anche il più assurdo dei sogni. Anche il più folle proponimento. Il sogno di guidare un giorno il Paese, lei, la ragazza di “ borgata, la nostalgica di un fascismo e di un capo che tanti danni provocarono proprio alla Patria di cui il suo non esteso pensiero politico mena vento. Certamente, questo sogno, l’ha coltivato sempre, nascondendolo in quello stretto palmo di una mano piccola. Il proponimento non era mica più facile della realizzazione del sogno. Ma lei non l’ha mollato mai. Neppure quando l’uscita definitiva di scena di quel leader che sembrava emergente, Gianfranco Fini, aveva di fatto sancito la fine della Destra italiana. Una fine decretata anche dal fallimento del progetto finiano di costruire una destra liberale dichiaratamente distante dalla storia che aveva partorito il Movimento Sociale di Giorgio Almirante, mito assoluto di tutti i nuovi ragazzi “figli della Nazione”. E dall’errore precedente di fondere Alleanza Nazionale in un unico soggetto politico “La Casa delle Libertà”, “ comandato” in modo assai personalistico dal cavaliere di Arcore. Con pochi reduci di Alleanza Nazionale, tra cui Guido Crosetto e Ignazio La Russa, Giorgia inventa, invece, nel duemiladodici, un nuovo partito. Lo farà denominare Fratelli d’Italia. I caratteri politici sono marcatamente quelli delle nuove destre ideologiche presenti in Europa, specialmente quella spagnola di Vox prima ancora di quella ungherese di Orban.

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I principali sono ancora più chiari: no alle democrazie liberali, critica accentuata all’Occidente a guida statunitense, opposizione a un’idea d’Europa fondata sul primato della sua unità rispetto alle distaccate autonomie nazionali, nazionalismo accesso con un tocco di colore del patriottismo radicale. Il tutto rivestito dalla retorica populista che, giocando sullo slogan “ prima gli italiani” , fortemente si oppone alle politiche sulla immigrazione portate avanti in Europa e fortemente sostenute dal nostro Paese. Poi i temi della famiglia. E tutti gli altri che ruotano attorno a un’idea di ordine sociale che va da un più stretto controllo del territorio, per contrastare la criminalità, alle altre forme di sicurezza sociale, dall’aborto all’omofobia e al transgender. Di questo partito Giorgia ne diventa ufficialmente il “ segretario” nel duemilaquattordici. Si parte da zero, quindi, e con sondaggi che scoraggerebbero anche i più velleitari a proseguire nell’assurdo impresa. I soliti scommettitori di professione con accanto i porta iella professionali, puntavano su una sopravvivenza brevissima per una dotazione elettorale non superiore al due per cento. Giorgia, la ragazza che un insofferente capo decaduto del Centrodestra da lui inventato, Silvio Berlusconi, chiamerà “ la signora Meloni” , non si è data mai per vinta. Applicando un’intelligenza e un senso tattico inaspettati perché straordinari davvero, piano piano compie la grande scalata. Anzi, si mette in “marcia” per realizzare almeno il proposito politico: cambiare gli equilibri del vecchio Centrodestra a trazione Berlusconi, a favore di un altro schieramento a trazione Meloni.

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Sotto sotto, il vero obiettivo, portare la Destra alla guida del governo attraverso un’alleanza nuova che sarebbe stata di destracentro, potendo utilizzare e la destra di tipo leghista e le ingenuità da superbone di Matteo Salvini, di cui lei più di altri ne aveva intuito, prima ancora dello “ storico” Papete, le notevoli fragilità, diciamo, psico-politiche. Dieci anni, anzi otto, in politica sono un’ora. Forse meno. Ecco, in così breve tempo la ragazzina proveniente da una famiglia e da una realtà povera, è salita laddove solo lei vi aveva scommesso a dispetto di chi pensava che già essere diventata ministro a trent’anni era stato un eccessivo colpo di fortuna. In un’ora di questo velocissimo tempo politico Giorgia realizza sia il sogno impossibile sia il proponimento velleitario. Lei presidente del Consiglio, il suo partito al ventisei per cento, la sua destra alla guida di una nuova fase della politica. Certamente ha avuto molti elementi esterni che l’hanno favorita. E io li voglio elencare: una buona dose di fortuna, necessaria sempre per le grandi imprese, la stupidità di tanti, alleati e nemici compresi, la divisione delle forze non dichiaratamente di centrodestra, la rottura sul fronte degli antagonisti che hanno fatto cadere il governo Draghi. E, non per finire, le elezioni anticipate portatele su un piatto d’argento insieme alle divisioni assurde delle forze di centro e di sinistra che, incuranti dei sondaggi tutti favorevoli alla Meloni, si sono presentati al voto di settembre in ordine sparso e con una legge elettorale premiale solo per le più grandi aggregazioni. Tutto vero. Ma nulla di questi regali può sminuire l’intelligenza e la determinazione, la capacità di intuizione e la forza strategica, con cui lei, da sola, si è portata alla vittoria. Non si dimentichi che sua è stata la scelta di restare all’opposizione e di farla con determinazione e coerenza rispetto alle posizioni assunte. Stare all’opposizione del “ gigante” Draghi, avrebbe messo paura a chiunque. Lei non ne ha avuta alcuna. Man mano che si avvicinava il sogno “ la signora Meloni” modificava temi, toni, linguaggio, concetti. Più si avvicinava il sogno e il proponimento, più lei modificava posizioni politiche senza dare l’impressione di una rottura con le precedenti. Passato con successo il venticinque settembre, ha pure abbassato l’euforia della vittoria e indossato l’abito della responsabilità senza dare l’impressione che stesse cambiando la sua natura o tradendo le promesse elettorali verso le fasce sociali diversamente stratifiche che le hanno dato incondizionata fiducia. C’erano davanti a sé ben trenta giorni prima di salire al Quirinale. Lei li ha contati tutti. Li ha utilizzato tutti. Per imparare, per quanto le riuscisse. Per entrare in empatia con il Capo dello Stato al fine di ricevere preziosi e necessari consigli, che avrà sicuramente ricevuto. Un giorno dopo l’altro, di questi trenta, per contattare le cancellerie europee per persuaderle che l’azione del prossimo governo italiano sarebbe rimasta quella di sempre, con la famosa agenda Draghi che ne avrebbe garantito sia il metodo sia la sostanza. Giorno dopo giorno per ricevere dallo stesso Draghi i suggerimenti fondamentali per continuare quel lavoro bruscamente interrotto a luglio. Trenta giorni per farsi “americana” più americana di tutti. Più ucraina di tutti. E più anti-Putin di chiunque. Bisogna riconoscere che finora vi è riuscita, adottando pure uno stile sobrio su un atteggiamento misurato che è stato molto apprezzato dagli italiani attenti alle vicende politiche. Quel Golia in mezzo ai giganti, quella giovane donna forzuta e minuta, dallo sguardo ammaliziato e dal sorriso rassicurante, sta piacendo a molti. È cresciuta anche la simpatia verso di lei, donna affatto simpatica in questi lunghi anni. C’è qualche guru dietro a questa profonda metamorfosi, magari giunto in segreto dagli States? E chi può dirlo? Di certo, qualche esperto di estetica personale, visto il cambio del taglio dei capelli e dell’abbigliamento, questo c’è stato. E ha fatto di Giorgia non è più il pulcino nero su cui una scorretta propaganda di certi mediocri avversari lanciava insulti insopportabili, ma una giovane donna affascinante anche nella persona. E lo dico senza incorrere nella psicologia del potere, in quella parte che costruisce sempre il fascino irresistibile dei detentori del potere. Lo dico perché lo penso davvero. Meloni, quindi, vince e tranne i sopra menzionati non deve ringraziare nessuno. Uscendo dalla retorica intorno alla prima donna che si afferma ai vertici dello Stato e anche a quella sulla Destra che finalmente ritorna in un Paese fondamentalmente conservatore, probabilmente reazionario e certamente nostalgico, il fatto che va sottolineato è che si afferma un soggetto politico della vecchia cultura politica. Quella che impone la militanza e il sacrificio di un’appartenenza, insieme alla fatica di sostenere il partito e gli ideali che lo ispirano. Tutti i giorni. Per tutti gli anni. In ogni parte del territorio. Senza mai stancarsi, facendo prevalere sulle legittime ambizioni personali l’interesse del proprio partito e con esso quello verso le comunità amministrate. E per esse il valore assoluto delle istituzioni. È questo il vero fattore di cambiamento destinato a lasciare un segno più forte ancora di quello della prima donna presidente del Consiglio e della conseguente piena legittimazione delle donne al potere in quanto donne. In un momento in cui la sfiducia verso la politica ha raggiunto il massimo nell’astensione elettorale e il rancore verso gli uomini che governano è cresciuto a dismisura, questo fattore non affatto da sottovalutare. È un piccolo segno, che però può avviare il percorso verso la ricostituzione degli spazi della Politica in cui partiti veri, autenticamente democratici, potranno ridiventare palestra di formazione di classe dirigente e strumento di collegamento tra la società nelle sue diverse articolazioni e le istituzioni. Poco o molto e tutto qui. E la nomina del nuovo governo appena annunciata dalla viva voce del suo nuovo presidente, ne è la conferma.

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La lotta per gli equilibri fra i partiti che lo compongono, la divisione con il manuale Cencelli dei posti di ministro, i giochi e i giochetti secondo le classiche brutte sceneggiate dei giorni scorsi, e la compagine governativa ben al dissolto delle aspettative e delle promesse della lunga vigilia, sembrano contraddire questo inizio, ma le condizioni per sperare ci sono quasi tutti. Non si parli, pertanto, di nuova era, ché di questo non si tratta. E non si dica di rivoluzione, che rivoluzione non è. Non si dica neppure che nasce un governo di destra, perché questo, nonostante i suoi componenti fortemente caratterizzati ideologicamente, non è, non sarà, non potrebbe essere, pur se persistono ancora le molte paure di larga parte del popolo italiano sulla tenuta di molti diritti “ delicati” acquisiti. I temi e gli strumenti sono purtroppo imposti dalla situazione internazionale e dalla ferma collocazione dell’Italia nel panorama europeo e nel Paese non c’è tanta disponibilità a sostenere la politica della scontro sociale più acceso a fronde della più grave crisi economica che si sta abbattendo sull’intero Continente e su paesi divenuti deboli, come il nostro. Tuttavia, qualcosa di nuovo c’è. E non di poco conto. C’è una ragazza di borgata, intelligente e onesta, attivista politica da sempre, che è diventata, con le sue sole forze, la guida del governo del nostro Paese. Il resto dipenderà da ciò che le riuscirà, anche per le sue personali capacità, di fare. In questo momento talmente drammatico per le sorti del Paese non ci resta che fare il tifo anche per lei. Intanto, chi può ricostruire forze autenticamente antagoniste, di sinistra o di centro o progressiste, necessarie a preparare l’alternativa e, di più, alla dialettica democratica, si metta a lavorare sul serio. E ricostruisca gli spazi della Politica, in cui cultura e morale rappresentino le fondamenta per la costruzione di una nuova classe dirigente.

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