di FRANCO CIMINO
"Poi arriva la morte. Puntuale sempre, dicono. Puntuale rispetto a qualcosa che forse chi ha il tempo di vederla avvicinarsi, comprende. Per i buoni, i generosi, gli onesti, i sensibili, prima ancora, poco o molto tempo prima, arriva la sofferenza. Non quella fisica, ma l’altra più bestiale e crudele, la sofferenza morale. Quella che ti fa male il cuore e non sai in quale sua parte.
Che ti fa sentire di morire e non muori; che ti fa mancare l’aria ma non soffochi; che ti paralizza le gambe ancora sane e le braccia anche quando si portano in alto per la preghiera. Che ti fa smarrire i ricordi belli e perdere l’attesa del giorno nuovo, dietro quelle finestre sempre chiuse. Al sole, che non viene. Alla luna che non ti guarda e hai smesso di cercare. Pure le stelle. La chiamano in diversi modi, questa sofferenza crudele, specialmente gli esperti o i chisatutto”, che a un certo punto della loro incomprensione, a bassa voce ne parlano e ad alta la considerano una malattia di difficile cura. È, invece, il dolore del vivere. È solo il dolore di sentire questa esistenza lontana da un’idea bella del mondo.
Quella in cui le lotte fatte per il bene degli altri abbiano avuto un qualche risultato, il sogno di una giustizia quale frutto della fratellanza fra gli esseri umani si sia almeno in parte realizzato, che la speranza della felicità per tutti non sia vana anche a pensarla, che le ragioni per cui si sia speso la propria vita non siamo state tutte divorate dalle lotte durissime per il potere personale, per il proprio arricchimento, per i quali l’egoismo e il cinismo sono soltanto le armi più convenzionali. Come soldati della perduta guerra, essi si muovono nella solitudine e nel rimpianto, nella rabbia che sfinisce, nell’abbraccio che non arriva. Come quella semplice parola che gli sarebbe dovuta: grazie. Una parola, una carezza, un abbraccio, uno sguardo, e quella telefonata del semplice “ ehi, come stai? Ti ho pensato, sai” , basterebbero per guarirli tutti. Sono gli eroi veri di questo tempo, quelli che hanno dato la vita pur ricevendo nulla in cambio, se non l’ingratitudine di quanti si nascondono per insipienza, cinismo, vergogna, dietro la dimenticanza. Sono i soldati senza divise e senza armi.
E senza gradi o medaglie in petto. I nostri eroi non si difendono mai. E non perché non sappiano farlo, ma solo per protesta silenziosa. Ovvero, soltanto per non far male. Sono i nuovi santi di questo pianeta che non si guarda più allo specchio dei suoi ghiacciai o del suo cielo, sciolti o nebuloso. Sono gli gli uomini grandi che portano sulle spalle solo gli ideali che hanno servito.
E nelle tasche vuote, nulla, se non ciò che hanno riempito quelle larghe e profonde, a sacco, degli eskimo giovanili: qualche tascabile dei grandi pensatori, il quaderno degli appunti per i dibattiti nelle sezioni e nelle piazze, la piccola agenda trasudata e unta zeppa fino all’ultimo sottile rigo della rubrica. E quel foglietto a quadretti tutto stropicciato in cui hanno scritto, mille anni prima, quella poesia per quella ragazza lì, a cui non l’hanno letta mai. Muoiono così i veri nostri eroi, quei ragazzi che non invecchieranno mai. Muoiono di dolore. In silenzio. Per non far rumore".
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