Franco Cimino: “Ha senso ancora il 25 aprile? E che festa sarà mai?”

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Franco Cimino
  25 aprile 2021 00:34

di FRANCO CIMINO

Per la seconda volta consecutiva il 25 Aprile scende su un’Italia limitata nella libera circolazione delle persone. Chi ne ha ordinato la limitazione è quel nemico invisibile a tutti se non ai polmoni dei più colpiti e agli ospedali che della sua cattiva azione ne vengono invasi. La scienza l’ha chiamato sin dall’inizio del suo avvento Covid diciannove. Noi continueremo a chiamarlo così anche se in tanti, scendendo in piazza o trattenendolo nella mente, hanno cambiato quel nome in governo liberticida e in “scienziati asserviti a un sistema dispotico e affaristico”.

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Questi non utilizzano mai il termine fascista. Fa pertanto specie sentire nelle piazze di queste settimane il grido di “ libertà libertà libertà” lanciato contro il palazzo delle istituzioni per eccellenza, il Parlamento. Comprendo il dolore e anche la rabbia che ha spinto quel grido, anche se il numero dei partecipanti è sempre stato troppo stretto per poterlo assegnare alla maggioranza degli operatori economici, che per colpa della situazione e dei ristori ritardatari e insufficienti vivono un dramma dalle conseguenze incalcolabili.

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Ma quel che la piazza reale non accentua, la piazza virtuale spinge su un crinale che più avanti potrebbe risultare pericoloso. Sono sempre più numerosi i post e i commenti che si levano contro una sorta di nuova dittatura mondiale, di cui il nostro Paese sarebbe una sorta di agente prezzolato. Preoccupa che siano maggiormente i giovani che lo denunciano.

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Sono un docente che ha contatto con ragazzi di molte fasce d’età. Nel loro cuore ho sempre colto un’ansia di liberazione, quasi nervosa, che la scuola in generale e le istituzioni non hanno saputo incanalare lungo una strada che dalla storia dei popoli, e del nostro in particolare, porti ad un futuro in cui la libertà, come spirito che si muove anche dentro le cose strumentali al vivere insieme, sia messa al centro delle dinamiche sociali e delle attività umane. La società è dominata da paure e da dinamiche che mentre frustano l’anelito alla felicità, le più accese paure alimentano. Specialmente quelle del diverso, dello straniero, della povertà. Della cattiveria e della violenza. Anche quella sulle nostre vecchie sicurezze.

L’idea dominante di quest’ultimo ventennio è che l’economia sia il luogo dove tutta la vita scorre. Nel lungo tempo in cui la Politica, per intervenuta debolezza ideale, le ha lasciato il passo, l’economia è diventata l’unico vero centro decisionale. L’unica autorità, cioè, capace di decidere sulla vita delle società e dei singoli suoi componenti, sempre più concepiti come anelli di “ una nuova catena di montaggio” e come consumatori di beni in cui l’essenza umana scompare. Aver introdotto anche nella scuola questa idea, attraverso quelle tre c sempre più manifeste (competenze, competizione... controllo), ha fatto sì che la formazione dei nostri giovani si indirizzasse sempre più a un mercato tanto globale e dematerializzato da disperdere il valore profondo della persona e il suo rapporto con la vita. La propria. E degli altri. Della Natura. E delle cose che dalla creatività umana sono indirizzate verso la Vita.

La competitività accesa, come condizione per prevalere sugli altri è l’energia che viene iniettata a quanti si affacciano nel mondo del lavoro. Non per farlo al meglio ma per ottenerlo in danno di chi non ce la fa ad impiegare non tanto le migliori competenze ma le più accanite ambizioni e il più duro agonismo. È una una gara durissima. Per un lavoro di bassa qualità e di bassissima retribuzione rispetto alle garanzie e al tempo eccessivo richiesto per restare in campo. La chiamano oggi cultura dei meriti ma sulla strada un esercito sempre più grande di disoccupati e un’infinita scia di bisogni.

È in questo contesto che il 25 Aprile ha perso di fascino educativo e di attrattiva verso quegli ideali che non solo hanno dato origine a uno dei più grandi eventi della storia del nostro Paese, la liberazione di popolo del popolo sottomesso, ma alla Democrazia, per quanto incompiuta e perciò contraddittoria, la nostra, la migliore del mondo. La data che per molte generazioni, compresa la mia, suscitava sentimenti e ragionamenti forti e dibattiti fecondi, sempre più ha perso di tensione. E di attenzione. Complice un sistema d’informazione sempre meno libero e un mondo della cultura sempre più impigrito e condizionato dagli interessi, il 25 Aprile, appare sempre più una data in rosso sbiadito sul calendario.

Una data che per due volte, a scuole chiuse e a lavoro agile, ha perso anche il piacere di “ regalare” ai distratti e agli indifferenti un giorno di vacanza allungabile con i ponti. La domanda che molti si pongono è se questa data sia una festa ormai superata. Una ricorrenza inutile e costosa. Io penso di no. Decisamente. Credo invece che oggi sia ancora più importante. Non si tratta solo di ricordare la liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo( anche questo termine si usa poco), ma di ricordare per riflettere. E non solo sulla Libertà come principio inalienabile, ma sul valore che essa ha. Oggi. Sul significato che la Libertà rappresenta e su come le tecniche surrettizie e le tendenze manifeste che vorrebbero modificarne l’orientamento, agiscano di fatto come violazione della stessa.

Libertà o è se stessa o non è. Se non è, sarà un’altra cosa rispetto al suo significato autentico. Una cosa che già da tempo porta le società a consolidare una trasformazione che ha solo bisogno di una democrazia alterata. Unicamente formale, che affida all’illusione del potere virtuale l’inganno di sentirsi liberi all’interno di una rete illimitata che ti lancia in un universo “sperduto” in cui navighi senza volare, digiti senza creare, conosci senza pensare, ti leghi senza amare. Soprattutto ti rapporti a un’infinità di “webisti” senza volto e senza nome, ché le foto e le sigle non sono che altro che la recitazione di un ruolo che non ci rappresenta e l’immagine di ciò che non siamo.

Libertà oggi è il cammino faticoso di tornare indietro senza fermarsi. Sembra un gioco di parole, ma non lo è affatto. Tornare indietro nel recuperare l’interezza della persona, la propria anima che inquieta cerca la felicità dell’essere forza per se stessi e per gli altri nella costruzione della Pace. Di tutti. E per tutti. La costruzione della Pace nei suoi passaggi fondamentali: la giustizia, l’eguaglianza, la ricchezza equamente distribuita. E la Terra di tutti. E per tutti, senza limiti e confini, steccati e muri. E mari che inghiottono la vita di chi cerca pane e un riparo per i propri figli.

È di oggi la notizia delle morti cui ci siamo assuefatti. Sicuramente anche queste non ci turberanno molto. Sono oltre centrotrenta i povericristi sepolti nelle profondità brevi del Mediterraneo. Si trovavano tutti su due gommoni schifosamente vecchi e malandati. Cercavano di raggiungere le nostre coste. Tanti altri dopo mesi di peregrinazioni drammatiche sostano stipati, pur consapevoli di incorrere nella stessa sorte, nei lager di quel Paese, la Libia, che proprio una settimana fa, attraverso il nostro governo, abbiamo salutato come “un Paese che fa molto per i salvataggi dei migranti” e con il quale dobbiamo rinsaldare i rapporti di cordiale amicizia.

Stasera un altro bollettino, tutto italiano, ci dirà il numero di altre morti. Morti diverse, quelle del Covid, il nemico del mondo intero.Troppo velocemente ci abituiamo alla morte, quella degli altri. Troppo velocemente dimentichiamo le prigioni, quelle degli altri. Quelle che trattengono fino alla morte per tortura giovani che vorrebbero aiutare i loro coetanei a liberarsi dei poteri liberticidi in quei paesi dove l’integralismo religioso è solo la copertura alla corruzione e al dispotismo di uomini stupidi e crudeli. Troppo velocemente dimentichiamo le prigioni di Haiti o del Mianmar, dove a partire dalla grande signora della Pace, Aung Sun Suu Kyi, premio Nobel nel 1991, vengono rinchiusi i leader che si battono, con il consenso popolare, per la Democrazia.

Troppo velocemente passiamo sopra alle sofferenze di quei popoli alla ricerca di una terra per edificarvi la propria antica patria e di quegli altri costretti a fuggire dalle guerre e dalle feroci discriminazioni etniche che li costringono a sopravvivere in quei campi profughi invivibili sempre più lontani dagli occhi umani e dagli obiettivi anche delle televisioni. Troppo distrattamente ci ritroviamo a leggere dei due terzi dell’umanità che muore di fame e di sete e di bambini senza nutrizione del corpo e della mente, senza casa e senza scuole.

E da qui, l’elenco delle nostre dimenticanze ed assuefazioni potrebbe continuare ancora. Tornare indietro, alla ricerca dell’anima perduta, dicevo. E continuare ad andare avanti verso il Progresso, sapendo coniugare sviluppo economico e diritti, economia e libertà, tecnica e morale, ragione e ragioni, spirito di concretezza e sentimenti, collettività e senso dello stare insieme. Idee e passioni.

Per queste motivazioni profonde il 25 Aprile deve restare un giorno da celebrare. Un giorno di riflessione e di impegno civile, nella consapevolezza che, essendo Libertà anche solidarietà, dono di se stessi agli altri, non può essere “ libera” e sana la nostra libertà se uno solo di quei drammi( i drammi degli altri) non sarà rimosso. E se, soprattutto, in noi, singole persone, non rinascerà quel moto di indignazione che ci faccia sentire insopportabile la sofferenza altrui e ingiusta la morte ingiusta degli altri esseri umani.

Se, infine, il dolore che nell’aria si muove come il virus, non avrà demolito quella reiterata dimenticanza e quell’indifferenza insistita che si fa scudo delle nostre fragilità e insicurezze, per darci ancora la sensazione di essere imbattibili.

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