di FRANCO CIMINO
Graecalis A stare a mare d’estate, è bello, no? É bello! Lo è dappertutto al mare. L’estate d’agosto è più bella ancora. É piena, viva, festosa. Sembra ancora giovane e, invece, sta per finire. Altri nove giorni, e bum, l’ombrellone è chiuso già. In estate c’è sempre tanta gente. Al mare. E di sera fino a notte fonda sugli spazi affollati lungo il mare. Fa caldo. Assai. Non tutte le case hanno terrazza e balconi o l’aria condizionata. E, allora, tutti fuori, a passeggiare. L’aria “ calorifica” dello scirocco é più fresca di quella umida delle stanze.
Aria ferma. Muta, di vento e di sospiri. In estate davanti al mare, si organizza di tutto per un richiamo popolare. Come l’antico “tam tam” degli indiani, i ravvicinati suoni di sax e batterie, richiamano le persone. Tutte vi occorrono e gli eventi sono affollati. Chi li organizza e chi li fa, ci guadagna una volta. E sulla propria fatica. Chi vi partecipa, riempiendo le vie e le piazze, da noi soprattutto la zona porto, ci guadagna, poco o molto. Chi vi apposta la firma su un cartellone già fatto, ci guadagna due volte. E così, da una propaganda gratuita si ricava l’impressione più larga che tutta quella gente venga per loro. Dove non c’è il mare, o è lontano anche di soli dieci minuti, non c’è la gente. E chi potrebbe portarla se ne sta al mare. A vedere la gente arrivare a fiumana. Catanzaro, la città bella comunque, che è ancora divisa tra tante e spezzate periferie, che hanno cambiato volto anche agli stessi storici quartieri, ha un Centro storico molto bello.
Affascinante, però non attrattivo. Non ha il mare, che, contraddittoriamente, ha la Città che lo comprende, ma anche no. Lo comprende, nel senso che se lo trova all’interno del suo territorio. Non comprende il mare, nel senso che non ha ancora capito di essere soprattutto Città di mare. Catanzaro alta, tutta quella che da Bellavista si muove verso Sant’Elia, ha il fresco sempre. D’estate il venticello che è una delizia. Per la mente. Per il corpo. Per il cuore. Si sta bene, pertanto, anche nel Centro Storico. Di più che al mare. Specialmente, di sera. Il Centro non è il luogo dei vecchi. E di quelli che, abbandonati, restano chiusi in casa. Che se nessuno li vuole, nessuno li accompagna in alcun posto. Neppure per una piccola passeggiata.
Catanzaro non è, tuttavia,una Città per vecchi, che, tra l’altro, sono una risorsa importante e la parte più tenera e forte della nostra società. Chi pensa sia “ vecchia decrepita”perché non ci sono i giovani e gli universitari é un “ cretino”. Il Capoluogo, invece, é un luogo per tutti. É la Città della Vita. Della salute. E della gioia. Dell’incontro. Di generazioni. Di classi sociali. Di etnie. Di “ forestieri” diversamente intesi. Nonostante tutto questo, il Centro in estate, si svuota. Ad agosto è quasi delittuosamente abbandonato. E chi dovrebbe portare la gente, che verrebbe e vi starebbe, ore, serate, notti, intere, sceglie il mare. E da chi opera o sta al mare si fa scegliere. Perché al mare tutti stanno bene, no? Tutto va bene, e certamente! É tutta una festa.
Ogni avvenimento un successo. Eh, sì, al mare c’è la gente! Quanto sia sbagliato questo atteggiamento e questa assai povera cultura di paese, lo dimostrano due elementi contrastanti: la gioia di vedere tanta gente affluire sul Corso Storico, quando un qualcosa, pur se non sempre la migliore, su di esso si muove. E la tristezza di vederlo vuoto, quando quasi sempre durante l’anno, e di più in estate, le poche persone che vi si incontrano potrebbero parlarsi, nel silenzio assordante, da un marciapiede all’altro, se i marciapiedi ci fossero. A dimostrarci la forza di questa contraddizione, ma, soprattutto, il come possa essere superata, é arrivata, emblematicamente, Graecalis. Quel tutto di originale, che, rinato dalla Teatro di Calabria Aroldo Tieri, operante da più di vent’anni, va dal Teatro alla scuola di teatro, dalla cultura in senso lato a quella più specificamente antica, dalle tragedie greche, riviste e ridotte, ai classici della letteratura italiana.
É arrivato Graecalis e tutta la bella compagnia dei sette vecchi amici, autentici artisti, guidati magistralmente da chi li ha di fatto generati. Quella personalità della cultura vasta e profonda, il cui nome ormai è garanzia di autenticità calabrese, altrove invidiata. É Gigi La Rosa. Il professore innamorato dell’antica Graecia, e studioso di tutto ciò che nel tempo si collega alla cultura classica. Anche per la scoperta dei valori eterni, che, da quel tempo lontano, stanno fermi nelle opere e teatrali e filosofiche e letterarie. Le opere, che sono giunte a noi, in questo tempo di gravi incertezze, per attualizzarsi nelle vesti nuove cucite dal professore con testi di straordinaria intensità culturale ed emotiva. É arrivata Graecalis perché è tornata da un lungo esilio in terra di Vibo, che ancora piange per non averla potuto trattenere. Per fortuna, la lontananza si é interrotta, anche se qui, da noi, resta valido che “Nemo profeta in patria”, sempre é. Sembrava che Catanzaro, che li aveva fatti scappare, non li volesse più. GigiLarosa(scritto per intero come lo si chiama)é tornato, invece.
E con i suoi guerrieri della Pace, gli attori Mariarita Albanese,Marta Parise, Arianna Riccelli, Paolo Formoso e Salvatore Venuto, che ha anche curato la regia e la direzione artistica dell’intera rassegna, che ha “ imperato”, tra luglio e agosto, nel magico teatro all’aperto del monumentale San Giovanni. Un quadrato perfetto, dove, comodamente seduto, puoi muovere gli occhi tra il palcoscenico e il cielo nero e stellato, che vi sta sopra, con il saltuario affacciarsi della luna, a spiare, ruffiana, l’Amore che si muove tra sensi e poesia sotto di lei.
Gli appuntamenti sono stati cinque con l’anteprima del dieci luglio. Di seguito: Casta Diva, il diciassette luglio, Il Canto della Dea, il trenta dello stesso mese. La Strada per Itaca, l’otto agosto. Tutte rappresentazioni di alto livello, ben pensate, ben raccontate, ben scritte, poeticamente trascinanti. Bravissimi i due La Rosa, padre e figlio, a tessere il racconto della vita della Callas, la Divina. Straordinario scrittore e sceneggiatore Gigi, per tutte le altre. Coraggioso quanto umile, capace quanto innovatore, creativo quanto tradizionalista, Salvatore Venuto nel nuovo ruolo, aggiunto a quello che manterrà quasi per tutte le recitazioni, di regista. Paolo Formoso, dice della sua bravura anche se lasciasse afona quella voce di attore nato. Di lui parla quel corpo da campione del palcoscenico e quegli occhi intensi e romantici su quel volto ricco di mistero. Attore vero. Marta Parise, é la novità. In tutti i sensi. Bella.
Lei stessa, attrice e persona, è la novità che porta in palcoscenico. Non la conoscevo molto, ma la sua crescita è stata davvero straordinaria. Un talento naturale. Se avrà coraggio, e con lei il professore e il regista, potrà alzare la posta in palio, la sua e quella di Graecalis. Di Maria Rita Albanese, imponente sulla scena, magica in Maria Callas e “ indisponente” tanto è brava, ripeto ciò che ho scritto anni fa, potrebbe calcare i migliori palcoscenici italiani e recitare disinvoltamente la parte di molti personaggi femminili. Io non sono nessuno per dirlo, però lo dico! La stagione é finita col botto. Anzi, con i fuochi d’artificio! “Quel che non fu fatto io lo sognai”del 21 agosto, é stata portentosa. Tutto giusto quella sera a Catanzaro. Anzi perfetto.
Sbagliato é soltanto chi sarebbe dovuto venire e non è venuto. Non saprà mai cosa si è perso, quella sera unica! Difficilmente ripetibile, al di là della stessa bravura dei protagonisti, esaltatisi maggiormente per il tutto perfetto che li accompagnava. Il clima, cielo limpido e aria fresca, senza vento. Senza alcun rumore “ in sala”. Non una parola. Non un respiro. Neppure un battito di ciglia. Tutti silenziati dalla magia che si muoveva su quei pochi metri quadri di tavole e pavimento. Gabriele D’Annunzio a Catanzaro! Lo abbiamo visto muoversi lì dentro, camminando per il “quadrato” e su e giù dal palcoscenico. Cambiato d’abito e di espressioni, man mano che i suoi ultimi anni, i diciassette davanti al lago del suo sontuoso Vittoriale, che ne ha raccolti i sospiri.
E sotto quel cielo, che ne ha spiato, invidioso, le passioni e quegli incontenibili impulsi dell’amore carnale, che erano solo un mezzo per tenere acceso quel fuoco che gli bruciava dentro per confermarsi padrone del mondo e di sé stesso, dominatore in ogni guerra. Quelle belligerate e quelle interiori. Solcando i cieli, sempre, nella battaglia militari e in quelle della vita. I cieli, per l’unico cielo, dal vate sempre sognato come l’unico spazio del dopo che lo potesse accogliere. Anche perché lì ci sarebbe stata l’amata madre ad attenderlo per riprenderlo tra le braccia. Come il Poeta desiderava nei drammatici anni della sua fine.
Drammatici e dolorosi, perché di quel corpo “invincibile, non gli era rimasto che il dolore delle carni e la debolezza virile. Negli occhi la mancanza di luce. E nella mente, però, tutta la forza. In particolare, quella del sentire e comprendere tutto nel più dolente crepuscolo. E la poesia, forse la sua più alta, quale unico rifugio a tanto morire vivendo. Una poesia ineguagliabile. come lo fu per il cammino successivo della letteratura italiana, e non solo. Questo D’Annunzio lo abbiamo visto i fortunati che siamo l’altra sera per la chiusura della stagione Graecalis, quasi tutti venendo dal mare. Anche quello di Marina, dove, dal pomeriggio, si “ esibivano, due artisti straordinari, Domenico Dara del suo ultimo romanzo” Liberata”, e Andrea Bressi, lo straordinario cantore delle tradizioni popolari della nostra terra. Un artista genuino di calabresità, che a me piace molto.
Ma perdersi Salvatore Venuto, quella sera, sarebbe stato come rinunciare a dire “ Ciò che non pensai, lo trovai. E chi non non avevo mai incontrato, neppure sui libri di scuola, lo incontrai .” Quella notte al San Giovanni, davvero piccolo tempio della cultura se venisse stabilmente e coerentemente considerato, D’Annunzio é stato con noi. E nella messa in scena assai particolare. In qualche modo nuova. Il Poeta era nei panni del nostro Salvatore, attore tra i più bravi in assoluto, che ci sembrava di averlo conosciuto personalmente. D’Annunzio era nella voce dolente di Maria Rita. Ma lo era maggiormente in quella di chi davvero non t’aspettavi. Un La Rosa dicitore delle poesie più belle. Poche volte ho ascoltato una lettura così piena, intensa, profonda, di poesie “infinite”.
Gigi era D’Annunzio in quelle fessure sanguinanti di dolore dell’uomo che va incontro verso la fine. E con una consapevolezza del sé dolente sospesa tra la certezza di finitezza e la speranza di non morire completamente qui. Gigi ci ha fatto sentire, quasi toccare con mano, questo D’Annuzio finalmente divenuto uomo mortale. La sua anima, ci ha fatto vedere con i nostri occhi. Il suo cuore dal battito sempre più lento, ha accostato al nostro che ha battuto, all’unisono, fortissimo. Hanno fatto rumore i nostri cuori, che l’aria stessa fino ad allora muta, si è messa a gridare.
L’unico grido prima degli applausi scroscianti e lunghissimi che l’hanno coperto. Era commosso il professore, nel leggere le poesie. Specialmente, quella sulla madre. E si vedeva chiaramente in quel viso, che sempre protegge le sue emozioni e i suoi turbamenti. Ha commosso anche noi, che saremmo saltati su quel piccolo pergamo, prendergli i fogli dal leggio, e dirla noi. Quella poesie. E le altre due, La Pioggia nel pineto e La Sera fiesolana. Con la nostra voce. E che importa se fosse brutta, rauca o rotta dal pianto!
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