di FRANCO CIMINO
È arrivato il 27 gennaio. Come ogni anno, da quando nel 2000 è stato introdotto nel calendario civile del nostro Paese. La scelta di questo giorno si collega a quello che nel 1945 vide, da parte dell’esercito sovietico, la liberazione del più grande campo di concentramento, quello di Auschwitz, dal quale ne uscirono in poche centinaia rispetto alle decine di migliaia di ebrei e altri “ disgraziati” considerati dalla follia nazi-fascisti esseri inferiori.
È la giornata della memoria, per ricordare tutte le vittime del più atroce crimine commesso da uomini, in carne e ossa, nei confronti di uomini in carne e ossa. Nei libri di storia quel crimine viene indicato come Olocausto, Shoah, Genocidio. Olocausto, per riferirlo a tutti i morti divorati dai forni creamatoi. Non soltanto gli ebrei, ma anche zingari, disabili, omosessuali, e non pochi combattivi dissidenti rispetto a quelle due feroci dittature. Shoah, per urlare contro lo sterminio degli ebrei e la cancellazione della razza odiata dai carnefici. Genocidio, per indicare ambedue le atrocità, con l’inserimento di una sorta di calcolo matematico o statico per rapportare la cattiveria più crudele alla vastità del numero dei soppressi. Sono queste, tutte, oggi, diventate parole che si vorrebbero trascinare nelle solite contrapposizioni ideologiche per svuotarle di significato. Addirittura, per farne strumento di riduzione della portata tragica di quei fatti quando non addirittura di revisione della storia, che viene portata fino alla negazione di quella tragedia umana incommensurabile. Ma cosa ricorda questo giorno?
Qual è il riferimento di quella memoria? Si ricorda il numero dei morti. Sei milioni in un colpo solo. Più di una guerra di dieci anni. Un dolore dell’umanità che si intreccia allo scandalo e al terrore. Le immagini, che le tv trasmettono ogni anno in questo giorno, accentuano quel senso di ripulsa del male di cui l’uomo europeo si è macchiato. E in piena Europa, il continente dell’antica civiltà. Ci pensiamo, è vero. Piangiamo anche. Ma solo davanti a queste immagini e ne restiamo pure marmorizzati. Ci scuote solo la domanda. Una sola. Quella che ci fa più paura, evitando però la seconda che pure ci viene in mente. La domanda di questa giornata, si articola negli interrogativi seguenti:” ma noi, in quanto essere umani, ciascuno di noi fra quelli, siamo capaci di questo?
La morte, e non la vita, ci domina nella presunzione di poterla decidere per gli altri? Negli “altri” ci sono le razze, ma tra queste ve ne sono ancora di inferiori? “ Ci poniamo questa domanda dopo la commozione alla vista di quelle montagne di carni accatastate, di quei corpi coperti solo della pelle rinsecchita, dei volti scheletriti e privi di sguardi negli occhi, di quei fantasmi senza un minimo di forze per muovere le gambe e le braccia, neppure per affidarsi alle mani amiche. Ma passa subito. In un minuto questo tormento interiore lo facciamo passare. Ogni anno. Senza indugio. La domanda che non ci facciamo, invece, si muove su due linee parallele. La prima: il giorno della memoria non dovrebbe ricordare pure tutto quel male che ha preceduto l’olocausto e senza il quale quell’orrore non si sarebbe consumato? Il male che ha preceduto i campi di concentramento, per poi tragicamente accompagnarsi lì dentro, ha un nome che ha fatto un lungo cammino nella storia degli esseri umani, “ assolutismo”.
Da quello, il parto più mostruoso, l’ideologia che avvelena tutto ciò che incontra, prima ancora di imporsi come l’unica. Si chiama fascismo, nazismo, totalitarismo dell’una forma e dell’altra. L’Italia ha conosciuto dolorosamente l’aspetto ancora più mostruoso, il nazi-fascismo, la fusione micidiale, cioè, di due malefiche intrecciate visioni della vita. Quella che alimenta l’odio e, l’altra, la volontà di soppressione di chiunque dissenta o contrasti quel progetto infame di dominazione della società, di appropriazione dello Stato, di controllo della vita delle persone, di disprezzo della vita in generale e di tutti i valori di cui è corredata, la libertà prima di tutto. L’antisemitismo, che pensiamo essere ristretto in quella tragedia della storia, può tornare, come da un lontano molto vicino sta tornando, in diverse forme. Lo stiamo vedendo tornare dal Medio Oriente, dove gli errori di reazione commessi dall’attuale governo israeliano sulla Striscia di Gaza, stanno portando la pubblica opinione mondiale a confondere la storia degli ebrei con i diritti alla patria dei palestinesi. “L’antisemitismo di ritorno”, per usare una delle recenti espressioni del nostro caro presidente della Repubblica, antifascista vero perché democratico autentico, lo vediamo in molte piazze d’Europa e in non poche di quelle italiane (l’ultima in via Acca Larentia, nelle quali un numero sempre crescente di fascisti e nazisti, inneggiano, utilizzando canti e simboli di quelle nefande ideologie, alla tragica gloria di croci celtiche, svastiche, divise e camicie nere. L’indifferenza unita alla dimenticanza, la rinuncia chiara e moralmente indiscutibile del proprio passato ideologico, debole e robusto che sia, il tutto coperto da uno strano rispetto del diritto inalienabile alla libertà di espressione politica, porta a quel colpevole lasciar fare, che altrove e in altri tempi abbiamo visto rovinare in malo modo. Per fare della giornata della memoria la quotidiana azione per il rafforzamento della coscienza democratica del Paese, e uno degli strumenti più efficaci per la formazione della stessa nell’impegno politico dei giovani, è necessario dire con il Capo dello Stato, ieri al Quirinale, che la Repubblica( si noti bene, la Repubblica, che è democratica e antifascista) non tollererà il crescere di fenomeni contrari allo spirito della nostra Costituzione. Il Presidente ci invita inoltre a “ non dimenticare che l’Italia durante il fascismo ha adottato le leggi razziali.”
La giornata della Memoria si chiude con le parole che l’hanno iniziata. Sono parole solenni. Importanti. Provengono, come quelle di Sergio Mattarella, dalla voce di due personalità di elevata altezza morale e culturale. Le riporto testualmente per il loro significato nel domani che sorgerà da questa notte. Liliana Segre, la senatrice a vita, la bambina reduce dai campi di sterminio, che in quei campi ha perso tutta la famiglia:” il giorno della memoria per me è tutti i giorni, non solo il 27. In tutti questi anni non c’è notte in cui non mi svegli al pensiero di quanto è successo.”
E le parole di Francesco, il Papa:” state attenti a come é incominciata questa strada di morte e di sterminio. Ricordare è un’espressione d’umanità, è segno di civiltà. Ricordare è creare le condizioni per un futuro di pace e di fraternità.” Insomma, mi permetto di aggiungere, la memoria è atto d’Amore. L’Amore cancella l’odio. Perdona. Salva la vita che crea la vita.
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