di FRANCO CIMINO
Le ricorrenze civili, si chiamano festa quando possono attualizzarsi nell’insegnamento del valore rappresentato. Quando possono uscire dalla retorica e farsi idea ancora in cammino. Monito affinché, quell’idea, non sia abbandonata o sacrificata a un interesse contingente e parziale. Il venticinque aprile é per l’Italia una ricorrenza che racchiude in sé un milione di cose. Storia, dolore e guerra odio e amore, libri e fucili, pensieri e scarponi, macerie e terra, fosse e fossi, pensiero e azione, nemico e amico, passato presente futuro, verità e menzogna, patria e nazione, popolo e Stato, internazionalità dei fini ed Europa che rompe i confini, divisione e conciliazione, frammentazione e unità, occupazione dello straniero e sua cacciata, violenza e non violenza, oppressione e serenità, sete di dominio e creatività, rassegnazione alla violenza e Costituzione, dittatura e Democrazia. Tutto questo significa il venticinque aprile, la festa che Alcide De Gasperi, nella sua qualità di capo del Governo di unità nazionale, istituì con decreto ratificato, nel millenovecentoquarantasei. E di più. Significa Libertà. Con la maiuscola. Valore cioè assoluto, non negoziabile, nel quale ciò che noi chiamiamo le libertà, per indicare i nudi diritti, altro non siano che parti indistinguibili, indivisibili, di quel valore. Libertà, pertanto, non è un diritto ma un dovere. Da ciò ne deriva che non esistono diritti senza che essi non siano accompagnati dal dovere. Il dovere di rispettarli. Di vederli gioire negli altri. Il dovere di difenderli per ciascuno e per tutti. Sempre. Libertà è un dovere che consiste nel riconoscerla come elemento costituivo della persona. Nel venticinque aprile c’è anche questo. L’idea, cioè, che quanto è stato conquistato con la lotta di Liberazione, è una riappropriazione dell’essenza dell’essere umano. Una restituzione di ciò che gli appartiene. Non un diritto, che potrebbe essere revocato ancora mille volte, ma un dovere umano. Quello di difendere l’uomo e l’umanità che è dentro di lui. La Democrazia, nata dalla Resistenza e che fa della nostra Costituzione la Legge fondamentale più bella del mondo, è il luogo in cui la Libertà non si concede, ma si riconosce. È l’impalcatura istituzionale che la difende e la valorizza. È una sorta di Chiesa laica in cui Libertà si celebra, quotidianamente, come il Pane e il Corpo nella santa Messa cattolica. Ci si ciba ogni giorno di essa. Democrazia è anche l’ambito nel quale Libertà e sviluppo economico camminano insieme, senza che la costruzione della ricchezza sottragga nulla al principio fondamentale. Anzi, concorre a fare della Libertà il mezzo attraverso il quale viene esaltata la libera creatività individuale, favorendo che essa sia al servizio dell’intera comunità. Non esiste, pertanto, Libertà se essa non lo è in tutti. Per tutti. Riconosciuta e valorizzata in ciascun cittadino. E non è Democrazia, quell’organizzazione nella quale lo sviluppo non crei benessere per tutti. La Libertà è la Liberazione, con la maiuscola. Ce lo dice la data che ogni anno mettiamo in rosso sul calendario. È festa della Liberazione del nostro Paese dal nazi-fascismo, della cacciata del nemico e dello straniero. Dalla barbarie e dai torturatori. Dell’espulsione dell’odio razziale e delle discriminazioni. Della fine della violenza come metodo di lotta politica. E della menzogna come sua applicazione propagandistica. È la definitiva condanna di nazionalismi feroci e dell’idea che un uomo solo possa imporsi sul popolo come l’assoluto, il capo infallibile. E il condottiero verso mete impossibili in quanto inesistenti, laddove non sia la gente il fine dell’azione politica, il popolo, e la persona per esso, lo scopo stesso della Politica. Il fine prime e ultimo della Libertà. Liberazione, è, però, altro ancora. Una forza inarrestabile perché vivente nella realtà che si muove incessantemente. Se non fosse così, il venticinque aprile diventerebbe una mera celebrazione retorica, via via più debole fino a scomparire con la morte dell’ultimo partigiano, ora si contano sulle dita di una sola mano.
Diventerebbe una favola, senza il racconto testimoniale di chi ha vissuto o soltanto visto o sentito la lotta partigiana, lotta del popolo unito sopra le fazioni, vorrei tenere fermo in mente. Specialmente, se ancora la Scuola di essa non ne sappia alimentare il profumo ideale, che si possa respirare come aria sempre nuova e pulita. Che animi il pensiero dei ragazzi e lo riporti a spingersi verso i cieli più alti, oltre i confini visibili. Ciò che unì sul terreno di una guerra assurda e assordante e portò forze politiche e culturali tra di loro opposte e oppositive a unirsi, non fu solo la necessità di liberare l’Italia dalla guerra e dalla dittatura, con tutto il loro carico di macerie. Ciò che condusse tutti a superare, in quel momento straordinario, e per quel momento irripetibile, le proprie ideologie, fu il bisogno di ricostruire un’idea alta già esistente in natura, la Liberazione come processo continuo della Libertà che diviene. Il più alto codice di civiltà, il più fermo proposito della Democrazia. Quella Liberazione oggi vale e per sempre varrà, perché è liberazione dal bisogno e da ogni costrizione o potere che quel bisogno crea e a quel bisogno gli esseri umani costringe. Il bisogno del pane. In esso vi sono tutti i diritti concepibili, il lavoro dignitoso e liberante, la casa, il futuro. Il bisogno di cultura. In esso, il diritto allo studio, alla cultura e ai suoi strumenti, alla libertà della ricerca. Il bisogno di muoversi per realizzarsi e realizzare progetti di vita. In esso, quello di poter liberamente circolate per il mondo e scegliere dove volersi fermare, per un po’ o per sempre. Il bisogno di sentire liberamente la propria spiritualità, quale parte fondamentale dell’essere. In esso, la libertà religiosa e quella di poter professare la propria nel rispetto di quella degli altri. Il bisogno della Pace. In essa la costruzione di tutte le condizioni che la promuovano e la fermino una volta per tutte. E per sempre. Tra le più importanti, la giustizia, la libertà delle persone e dei popoli, il loro diritto ad avere una patria e un territorio su cui farla vivere nella assoluta inviolabilità dello stesso da parte di un altro Stato. Ovvero, per un’altra annessione imposta con la violenza e la dittatura. Questa Liberazione, così completa nel suo senso di Libertà, è ciò che fa di questa ricorrenza una bella Festa e di noi italiani i soldati della Pace e della Libertà. Non solo per noi nel tantissimo che c’è ancora da fare, per riprendere quel valore in una Paese che si rompe ogni giorno e sui più grandi principi ancora si divide. Ci fa soldati di Pace e di Libertà, per tutti gli esseri umani che in ogni parte del mondo sono aggrediti dalle guerre, dalle dittature, dalla violenza di un potere cinico che opprime l’ansia di libertà delle persone e che per quel volgare antico egoismo affama interi popoli e deruba le bellezze di paesi e territori. Il venticinque aprile o diventa, già da oggi, tutto questo o non sarà più neppure quello di ieri.
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