di FRANCO CIMINO
Mario Martino va ricordato. Come catanzarese vero, innamorato follemente di Catanzaro. Come cittadino onesto, perbene. Come uomo buono. Pulito. Come amico sincero. Generoso. Come uomo di cultura. Vasta. Autentica. Va ricordato come intellettuale, dal pensiero profondo. Originale. Va ricordato, come poeta. Innanzitutto, come poeta. Robusto, dolce, penetrante. E quale scrittore. Efficace, divertente. La sua lingua di poeta e di narratore era la nostra catanzarese. Quella dei padri più lontani. Era poeta dialettale, della poesia autentica, non minore. Amava la musica e aveva una bella voce. Voce da attore . Da recitante. Queste due qualità innate, lo fecero anche attore, regista. Teatrante.
Divoratore di palcoscenico. Il palcoscenico di qualsiasi spazio. Con o senza le quattro tavole. Con o senza platea e sceneggiatura. Con o senza biglietteria. Con con o senza sold out, come usa dire nella lingua che non è mai stata la sua. Con o senza teatro. Il palcoscenico, era, per lui, un metro quadro, la periferia, dove potersi esprimere. Esprimere la sua arte. La sua vocazione. Il suo amore per la vita. Per il mondo che la contiene. Per la sua Città e la lingua dei padri, da amare in quanto strumento e luogo della vita. Quella vera. Da vivere. Da difendere. Da consegnare. Da tramandare. Fu, il poeta tanto stimato dal più grande, Achille Curcio. Fu anche cantautore , sempre in dialetto. Intenso. Romantico. Ironico. Commovente e divertente. Un narratore anche di fatti e di emozioni. Di storie. Anche di storia. Di sentimenti profondi. Un vero cantastorie. Tra i più bravi che si possano considerare cantastorie, l’arte tra le più difficili e impegnative. Come tutti i grandi, non ebbe artisticamente fortuna, che già da sola non gli sarebbe arrivata, men che meno con quella sua schiettezza e prontezza della parola, priva di fronzoli e di ipocrisia, comunemente chiamata, da noi, brutto carattere. Non ne ebbe, forse per lo stesso “ difetto” , neppure nella vita, mai alleggerita da dolori e “ solitudini”, da tristezze profonde e nostalgie inappagate. Il colpo al fisico, che lo colpi d’un tratto e lo sconfisse in sole poche settimane, é una sorta di colpo di fucile che lo abbatté nella sua solitaria guerra. Una sorte di don Chisciotte, lui era. Eroe solitario in questo mondo in guerra quotidiana, nella quale perdi. E perdi e cadi. E cadi e muori. Se non sei forte nei muscoli. Se non sei cinico ed egoista. Se non sei cattivo e invidioso. Se non ti arrampichi sul potere e non strisci davanti a chi lo detiene. Perdi, cadi e muori e piangi, se sei poeta. E se ami. Però, alla fine vinci, mentre cadendo per andare nel posto dei vincitori del premio eterno, il poeta ride. Di noi povera gente, che non amiamo la Bellezza, la Città. L’Amore. E non cerchiamo Poesia.
Mario mi era amico. E io lo sono stato di lui. Un onore, una lezione, per me esserlo. Chiederò al Sindaco di rendergli onori che merita attraverso riconoscimenti significativi, quali l’intitolazione di una via, una biblioteca, una scuola. Un campetto per i giochi dei bambini. A parziale riparazione anche di quel funerale sotto la pioggia, nella piccola chiesa della sua religione, dove c’eravamo poche, ma molto poche, persone. Con me, a celebrarlo con un gesto aperto di parole sincere, il suo amico e attore, Enzo Colacino. Poi, la dimenticanza cittadina anche del nome, che io qui ripeto forte e chiaro, Mario Martino. Il Poeta. Il cantore di Catanzaro.
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