di FRANCO CIMINO
“Due popoli due Stati”, è la proposta della diplomazia internazionale. Che bella novità! E che puntualità nell’offrirla! La guerra quarantennale tra israeliani e palestinesi si potrebbe finalmente risolvere in questo modo. Ma non era stato già detto, mille volte e mille anni fa? Solo in Italia, lo ricordo bene, questa tesi è stata fortemente sostenuta dai nostri governi e dal nostro Parlamento. In documenti anche ampiamente condivisi tra le forze politiche. Parole chiare e iniziative coraggiose. Aldo Moro, Giùlio Andreotti, Bettino Craxi, Ugo La Malfa, Giuseppe Saragat, Sandro Pertini, Enrico Berlinguer, l’hanno chi inventata, chi elaborata, chi avanzata, chi sostenuta, da circa un quarantennio in avanti. In campo mondiale a farne una risoluzione sacralizzata con la famosa stretta di mano, a Campo David, tra Barak e Arafat, fu il presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton, nel luglio del 2000. Sembrava cosa fatta. Non poteva nascere con auspici migliori il terzo millennio. Il mondo civile e i paesi democratici hanno insieme gioito. Era arrivata la Pace. Quella vera. Non solo tra quei due popoli, ma potenzialmente per tutto il pianeta. Di sicuro, per l’intero Medio Oriente.
La terra del profeta, la prescelta dal Signore di tutte le religioni, la terra dove è nato e vissuto Gesù, finalmente avrebbe smesso di bruciare. Le sue terre sarebbero tornate fertili e i magazzini avrebbero conservato il grano invece di nascondere armi. I bambini avrebbero ripreso ad andare a scuola, a studiare le belle discipline e la propria lingua, anziché l’unica materia imposta. Quella della guerra o del terrorismo o dello scontro fisico preparato da lanci di pietra, da una parte e da bombe, dall’altra. Si era detto che sarebbero stati perfino abbattuti muri e recinti e i confini sarebbero stati affidati alla bellezza del cambio di luce. Si era anche sognato, tutti insieme noi, i volenterosi della Pace di quest’altra parte del cosmo, che gli unici controllori e vigilanti e soldati, sarebbero stati due soltanto. Di giorno il Sole. Di notte la Luna. Ci sono sempre, in quel cielo, il Sole e la Luna. E sono bellissimi. Forse, per lo stesso motivo della scelta di Dio, che ha voluto che lì fosse tutto più bello. Ma non aveva forse pensato agli uomini, la cui libertà concessa in dono, hanno trasformato nel più acceso fanatismo, dicono religioso, che ha messo in lotta fratricida i due Dio che loro stessi hanno inventato. È così, di quella volontà, costruita anche dall’intelligenza e dal cuore di leader molto coraggiosi, l’israeliano Isaac Rabin con il suo amico Shimon Peres, e il solitario, poi isolato fino alla sua strana improvvisa morte, Yasser Arafat, non si fece, concretamente, poi nulla. La Politica, specialmente dopo la scomparsa di quei tre eroi, è stata soppiantata dagli interessi intrecciati e dai diversi aspetti, interni ed esterni a quelle stesse realtà, messi da più parti brutalmente in campo. Le religioni e gli antichi rancori, hanno poi fatto il resto. Il ricordo delle stragi reciproche e delle migliaia di morti subite, ha stimolato quello spirito di vendetta che non si è più fermato, anche quando i fuochi sono rimasti provvisoriamente spenti. Nel frattempo, una questione apparentemente nuova, ma invero vecchia quanto le altre, è stata fatta crescere. Una questione divenuta via via sempre più grande e che non poco gioca dentro quell’antico scontro.
È quella araba. Insieme a questa, come spinta incontenibile, la pretesa dell’Islam di diventare la religione unica in tutta quella immensa area. Lo scopo principale è la costruzione di uno Stato unico fondato e governato dalle leggi islamiche e dall’unico credo. Troppi sono gli anni fatti passare su questo terreno minato. Il rancore è diventato odio, la voglia di costruire il proprio paese si è trasformata nel desiderio di distruggere l’analoga volontà dei “nemici”, la necessità di garantire la reciproca sicurezza si è rivelata necessità di distruggere quella altrui, il diritto di essere riconosciuti come popolo e Stato e nazione, si è tradotta nella negazione dello stesso diritto per il nemico. E il dovere di assegnare porzioni di terra per farne il territorio di uno Stato nuovo dalla storia antica, si concreta nella volontà di annettere quello provvisorio, in tutto o in parte, al proprio. Magari, con la scusa di garantire la propria, di sicurezza, esistente per il diritto acquisito nel secondo dopoguerra. Diritto radicato nella storia antica.
Ora che sono passati centoquattro giorni di guerra feroce, e tutta sulla Striscia di Gaza andata completamente distrutta, ora che i morti sono diventati venticinquemila tra i civili palestinesi e qualche migliaio tra i due “ eserciti, ora che dei trecento ostaggi israeliani barbaramente rapiti dai terroristi di Hamas ne ritorneranno, se la guerra non salirà ancora di spirito di vendetta, meno della metà, ora che tutto quel territorio é diventato, nell’indifferenza della comunità internazionale, un ammasso di rovine, un deserto d’anime senza più voci di bambini e lamento di preghiera di donne e anziani, ora che a Gaza non vi sono più le scuole e gli ospedali, e neppure quel milione circa di palestinesi che sono riusciti a fuggire per stiparsi nei disumani campi profughi o nei ghetti dell’Egitto e di altri paesi vicini, ora che quei “due Dio” staranno maledicendo quei pazzi che hanno, da ambedue i fronti, voluto questa terribile guerra, ora che le belve di ambedue le parti si sono completamente scatenate al solo unico grido” ci fermeremo quando del nemico non resterà neppure l’ombra”, ora che il solo interesse degli Stati occidentali, in particolare quelli europei, anch’essi indifferenti alle stragi di persone inermi, è quello di fare la guerra agli Houthi iemeniti, che attentano alle navi commerciali (quindi alle merci, al mercato, ai soldi)che sono costrette a passare dal Golfo Persico e dal Canale di Suez, ora che Francesco, il Pontefice della Chiesa di Roma, non ha più la forza di implorare la fine della guerra, ora, sì oggi, dai potenti si propone, quale soluzione del tragico terrorismo incrociato, la nascita di due Stati. Praticamente ciò che era stato concordato tra le due autorità e accettato dalle due popolazioni, israeliana e palestinese, oggi viene riproposto, addirittura arretrandolo di cento passi.
Non pochi di questi riguardano l’assurda mancata consistenza della stessa proposta. In particolare, non si dice che i due Stati debbano essere liberi e indipendenti. Da tutto. E da tutti. Non si dice, in quale territorio preciso, Cisgiordania e altro, debba trovare spazio e forma, quello palestinese. E, ancora, la questione più spinosa nelle domande nascoste. Queste: cosa ne sarà della Striscia di Gaza? A chi deve appartenere, a quale autorità e Stato deve rispondere, e in che modo consentire la normale, su quella porzione piccola di territorio, convivenza tra i due milioni di palestinesi e una scarsa decina di migliaia di israeliani, che insieme finora l’hanno abitata? Niente di tutto questo viene posto e detto. L’unica risposta è stata anche qui univoca e unitaria. Bengiamin Netanyahu, per quanto indebolitosi nel suo Paese e Hamas, per quanto decimata dei loro capi, hanno apertamente dichiarato che la guerra finirà quando del nemico non resteranno neanche le carni bruciate. Insieme al loro diritto alla vita viene decisamente negato il diritto ad essere Stato. Il diritto a essere Paese. Di più, il diritto a essere popolo. E persone all’interno di esso. Di più ancora, il diritto di essere vissuti quale entità umana, corpo della storia, strapieni di cultura, di religiosità buona, di moralità alta, di conquiste eroiche e di battaglie perdute in nome della vita e della sopravvivenza del proprio essere popolo, nell’umanità in cammino. Questa guerra, è il mio dolente pensiero, purtroppo non finirà, se questo maledetto odio non si fermerà, almeno un poco, a riposare sulle ceneri delle sue distruzioni, sui disastri delle sue rovine. Piuttosto, è destinata ad allargare i suoi campi di battaglia, estendendosi, come desiderano i pazzi che governano i paesi vicini, oltre gli attuali confini. Questa guerra non finirà se all’odio delle due parti continuerà ad aggiungersi l’ipocrisia dei potenti, gli interessi economici dei soliti pochi e l’indifferenza di questa umanità divisa e spaventata dalla crescente povertà che sempre più l’aggredisce.
Anche come minaccia alla propria libertà. E all’antica propria sicurezza. Se non nascerà, qui da noi, in Europa, in tutto il mondo occidentale, dentro ogni paese e nel cuore di ciascun cittadino, un forte sentimento di Pace, intesa quale responsabilità che si appartiene a ogni essere umano prima che a ogni Stato, a ogni ragazzo come ai loro padri, che quel sentimento hanno perduto, il mondo sarà destinato a essere quel che Francesco teme sia già quasi diventato. Un campo di battaglia, cioè, globale, su cui muovono tutte le diverse forme belliche, storicamente attualizzate, da quelle religiose a quella della povertà, da quelle etniche a quelle economiche, da quelle politiche a quelle di conquista di territori e di annessione di paesi liberi. Se, come ai lontani tempi del Vietnam, i giovani non invaderanno le piazze del mondo e non le incendieranno di ideali e di idee nuove sugli stessi antichi, se infine non ci rieducheremo e non educheremo alla Pace, questo pianeta esploderà e dei monumenti delle diverse civiltà, come di ogni forma di vita, non resterà traccia. Si parta, quindi, dall’Europa per questa grande avventura. L’Europa deve battersi unitariamente. E subito! Il vecchio continente porta ancora sulla propria pelle le ferite delle due guerre mondiali. Le più tragiche guerre, le più brutte, perché dentro di esse, come energia atomica che le ha mosse, si rintracciano tutti gli elementi dei conflitti in atto nel mondo. Quelle su Gaza e Ucraina, in particolare. L’odio, la sfrenata voglia di sangue umano, di berlo o versarlo a terra. La negazione dell’altro. L’ambizione a occupare tutti gli spazi. E quella di asservire popoli e persone. Di dominarne le coscienze, prima dell’annientamento delle loro culture e loro stesso passato. Se la guerra è tutto questo, ed è certo che lo sia, dobbiamo costruire in noi la cultura della Pace, assumendo con pienezza il suo vero significato. La Pace è rifiuto della violenza.
Di ogni forma di violenza. A partire dai nostri piccoli spazi. È sostituire il concetto di tolleranza con quello di accettazione del diverso. E della diversità. Da intendere quale valore e non come una sorta di inferiorità. Anzi, da tradurre nell’opposto del suo significato, nel modo che segue: non esiste la normalità, ma solo la diversità, che è grandezza del genere umano ed elemento della sua perfezione. La Pace autentica è accoglienza e solidarietà, donazione di sé agli altri, nella ferma idea che se non siamo al sicuro tutti non lo sarà mai nessuno, se non siamo felici tutti non lo può essere nessuno. La Pace è il luogo in cui si pratica l’eguaglianza e la giustizia, e queste, insieme, si coniugano con libertà e democrazia. È, pertanto, la Pace, lotta costante contro ogni autoritarismo e ogni egoismo, contro tutte le discriminazioni e le diverse forme di ghettizzazione. La Pace, quindi, inizia da noi, parte dal nostro animo. Verso di essa bisogna agire allo stesso modo in cui dovremmo nei confronti della guerra. È fatto che ci riguarda da vicino!
Non è un cosa difficile da sentire. Per metterla in azione subito, prima ancora di educarci pienamente, basterebbe andare oltre lo schermo televisivo, tendere l’orecchio e allungare lo sguardo verso quei bambini che, appena scampati al bombardamento, terrorizzati, gridano in quella lingua che non è mai straniera, “ mamma, voglio la mia mamma.” Se il nostro cuore palpiterà di un ritmo nuovo, la nostra mente si scandalizzerà e la nostra anima si ribellerà, la Pace non sarà più l’inganno della nostra falsa coscienza o la furbizia del sistema, ma una meta possibile. Il sogno a portata di mano. L’ideale che si compie. La Felicità che arriva.
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