Franco Cimino: "La festa della terra senza felicità degli uomini"

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Franco Cimino
  22 aprile 2020 21:14

di FRANCO CIMINO

Oggi si celebra in tutto il mondo la giornata della Terra. È il cinquantesimo anno dalla sua istituzione. Sarebbe stato un anniversario solennemente celebrato, invece si svolge in sordina. Anche se è vero che in sordina, o quasi in silenzio, si è svolto per tutto questo mezzo secolo. Il motivo per cui ciò è avvenuto si trova tutto concentrato in quello per cui oggi non lo possiamo vivere apertamente. All’aperto, cioè, come meriterebbe la festeggiata. Tutti chiusi in casa da due mesi, la terra non la sentiamo neppure come superficie su cui camminare. Il motivo ufficiale è questo maledetto virus che, avvolto nel mistero più cupo, invisibile come un fantasma, si è presentato a noi con questa incredibile doppia voglia: farci morire e farci sopravvivere nella paura più cupa del male. È stato detto dai governi e dagli osservatori che il mondo intero è sotto attacco. La nostra fantasia ci ha portati, per quasi un secolo, ad esorcizzare le nostre ancestrali paure attraverso l’immaginazione di altri pianeti, lontanissimi dal nostro chissà di quante galassie ma tecnicamente molto più evoluti, capaci di raggiungerci per distruggere la terra. La narrativa e il cinema ci hanno presentato più volte scenari apocalittici, che da una parte ci spaventavano dall’altra ci tranquillizzavano. Il resto lo facevano le religioni, che ci hanno sempre immaginato come l’unico mondo abitato.

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Tuttavia, è in alto che noi abbiamo guardato quando abbiamo temuto un assalto contro la terra. In “ alto” . In alto, perché il dominio sull’uomo o l’amore o la misericordia o il castigo o la protezione o il perdono, solo dall’alto abbiamo potuto pensare che arrivassero. La terra sta sotto i piedi dell’uomo, e la cultura dominante ha considerato i piedi la parte meno nobile del corpo umano. Quella che ci serve per camminare solo dove il cuore e la mente vogliono. I piedi, per compiere lavori semplici e comuni, imprimere forza muscolare quando vogliamo indirizzarla contro qualcosa. I piedi, parti da coprire perché privi di bellezza estetica, che non da proteggere e attrezzare per il cammino su superfici diverse. Sembra un ragionamento semplicistico, questo mio, o infantile, da chissà quale memoria lontana io l’abbia tratto. Ma la mia impressione è che per lungo tempo il rapporto tra l’uomo e la terra sia stato condizionato da questi elementi, i piedi che non hanno gli occhi per vedere il cielo e troppo lontani dalla testa per poter ragionare.

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L’uomo, la creatura più intelligente di questo universo è in fondo così stupido, come sembro io in questo (s)ragionare? No, non credo questo, tutt’altro. Io credo che sia stato soltanto dominato dalle più antiche credenze e superstizioni che hanno impedito alla cultura e alle culture delle regioni più progredite di progredire anch’esse, liberandosi con la stessa forza della tecnica e con la quale la tecnica ha liberato immensi imprevedibili spazi. L’uomo si è sentito sempre più potente di tutto ciò che lo circonda, lo copre, lo sostiene. Più potente in particolare della terra che gli sta sotto. L’uomo egoista, a volte ingordo, ha mosso guerra alla terra, così senza pensarci tanto. Forse, anche senza volerlo. Ha creduto fosse un giocattolo a sua totale disposizione, e come per i giocattoli potesse farne ciò che volesse. A suo piacimento. Ha prima pensato di dominarla. Poi, di sfruttarla. Consumarla fino all’ultimo lembo. Ha distrutto foreste, deviato il corso dei fiumi, prosciugandone molti. Ha inquinato i mari. Industrializzando e consumando in proporzioni esagerate ciò che produce, si è educato alla pratica del consumo più sfrenato.

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Per garantire la produzione ha fatto sì che l’essere umano si facesse ingranaggio del sistema ed egli stesso nel medesimo istante produttore- consumatore, indifferente alla conseguenza più diretta: la consumazione di se stesso e la distruzione del suo habitat naturale. Ha immesso nell’aria una quantità incalcolabile di sostanze velenose che, alterando progressivamente la temperatura( lo scorso anno si è elevata di ulteriori due gradi), continua a far sciogliere estese superfici dei ghiacciai più solidi. Molte specie animali sono già a rischio di estinzione, mentre parte della vegetazione sembra ormai essere sparita. La biodiversità, la nostra migliore risorsa, si è fortemente modificata. La terra è stanca. Da molto tempo. Adesso è arrivata al limite. Non ce la fa più. E si è ribellata all’uomo che vorrebbe ancora tenerla schiava dei suoi voleri. Io non so a cosa voglia puntare questa nuova aggressione degli USA nei confronti della Cina. E non sono in grado, come miliardi di persone, di soffermarmi su quell’accusa e sui sospetti, da altre parti sollevati, che il coronavirus sia stato creato nei laboratori di Whan e da quegli stessi sia “ fuggito”. Non mi pare, tra l’altro, che sia una discussione utile in questo momento se non per coprire le gravi responsabilità che i governanti hanno nei confronti del pianeta, oltre che nella cattiva gestione del coronavirus. Mi interessa più pensare che la terra, insofferente alle tante violenze subite, si sia ribellata. Forse, anche vendicata.

Non lo ha fatto, però, con la stessa cattiveria che usa l’uomo contro la vita e contro se stesso. La terra ci ha voluto dare una lezione. Ci ha dato uno schiaffo. Per avvertirci che siammo tutti in pericolo, che lei sta morendo e che se morirà, insieme ad essa morirà anche l’essere umano. Ci ha avvertito generosamente per salvare noi prima che se stessa, che potrebbe restare a ruotare su se stessa anche senza gli uomini. Infine, ha voluto farci capire che la sua pazienta sta per finire. Lo già fatto altre volte prima con i terremoti, le mareggiate, e, chiedendo l’aiuto del cielo, il suo tetto, con gli uragani e le alluvioni. Ma, l’uomo, tempio del genio creativo, ha fatto finta di non capire o davvero paradossalmente non ha capito. E ha continuato nella sua strada di guerra e di morte e nella sua follia di dominio indiscriminato. Ha ammalato quasi mortalmente la sua prima madre. La prova ce l’ha data questa emergenza sanitaria che ci ha allontanati da essa. Sono bastati questi due mesi di “ prigionia” dentro le nostre abitazioni che la terra ha ripreso a respirare. L’aria è migliorata, le polveri sottili che l’hanno soffocata si sono fortemente ridotte, in alcune regioni e città sono pressoché scomparse. La temperatura si è abbassata d’un tratto tornando ai livelli delle regolari stagioni.

Anche i singoli elementi della natura hanno ripreso a respirare. I colori, da quelli dei fiori a quelli dei muri dei palazzi, hanno recuperato lucentezza. Il sole stesso e la luna sembrano aver recuperato un aspetto più sereno, non trovano ostacoli nell’accarezzare e servire la terra. Sessanta giorni di separazione delle due creature fatte per stare insieme, il più grande dramma della vita in sé, la più grande contraddizione della storia umana. Dalle nostre finestre guardiamo, con la fantasia, oltre quel brevissimo tratto d’asfalto che ci si para dinanzi, quella cosa meravigliosa chiamata terra. E più fortemente la desideriamo. La terra oggi coincide con tutto il corredo che ci portiamo con la nascita. Il suo bene è il nostro. La sua salute, la nostra. La sua vita è la nostra vita. L’uomo ha avuto tutto il tempo per pensare alla salvezza del pianeta. Se non si farà dominare dalla paura riguardo solo a se stesso-quella di ammalarsi, di essere costretto in ospedale, o di poter morire- e avrà liberato la ragione, gli occhi avrà adagiato sul proprio cuore e su quelli degli altri, e insieme tutti gli occhi umani guarderanno quelli della terra, allora sì che la speranza di cambiare supererà la semplice dichiarazione di buoni intenti e si materializzerà in azioni concrete a favore della Vita. Le ricette sono tante. Una su tutte: costruire la casa della felicità. Per tutte le creature viventi e per l’uomo il loro principe bellissimo.

Intanto, oggi la Terra festeggia se stessa da sola. Lontana dai suoi figli. Il prossimo anno vedremo se saremo finalmente insieme a far festa. In un anno si possono fare tante cose meravigliose.

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