di FRANCO CIMINO
Tre giorni, soltanto tre giorni, uno dietro l’altro, e la guerra lancia l’ultima guerra alla speranza di una piccola pace. Piccola come quantità ed estensione. Nella parola con la minuscola, per la qualità. Piccola pace è quella del recupero di un poco di umanità, della sospensione dei bombardamenti e degli scontri a fuoco. Sospensione anche breve, affinché l’aria respiri e non soffochi. E il cielo dall’alto riveda il suo colore, dalla coltre nera di fumo acre che lo copre. Un solo momento di pausa, perché si seppelliscano i morti e i sopravvissuti li possano piangere, lanciando grida al cielo solo per loro e non per la paura.
Una piccola pace che la guerra stessa faccia riflettere e, stanca di essere invocata, usata, strumentalizzata dall’odio che la muove, spinga i signori delle armi e dei conflitti a farla riposare. Tre giorni, uno più uno più uno, e le fiamme le vediamo anche da qui. Tre giorni consecutivi e i rumori delle bombe, che si rompono sulle case e sui corpi umani sfarinano, li sentiamo anche con le nostre orecchie.
Tre giorni di più pericolosa guerra sulla guerra, quella della Terra delle tre religioni dello stesso Dio diviso per tre. E sulle guerre dimenticate. In terra ucraina, in terra siriana, in quella yemenita e di altre regioni ancora. Che non ricordo e che non so. Tre giorni, uno sopra l’altro, che fanno apparire meno duro, addirittura, quel folle sette ottobre e i successivi drammatici duecentosettanta giorni. Tutti, infuocate, erano buoni e utili per far cessare il conflitto e cercare un ragionevole accordo tra le parti. Questi ultimi tre sono più gravi, perché chiudono le porte a ogni dialogo. A ogni possibilità di allentamento dello stato di tensione e di raffreddamento di incrociata rabbia, rancore e spirito di vendetta. Il primo giorno è stato quello della bomba sul campo di calcio alla periferia di Israele, sulla “ sacre” alture del Golan. Sono stati, nonostante le solite propagandistiche negazioni, gli Hezbollah. Hanno lanciato il “ colpo” da una loro base in Libano, il bellissimo paese dei Cedri, bruciato dalle mille guerre. Interne, quelle tra fazioni. Ed esterne, dei nemici. Sono almeno dodici i morti, tutti giovanissimi, il più grande non aveva ancora vent’anni. Molti altri sono i feriti. Alcuni gravissimi. Ieri, la rappresaglia ben mirata in un progetto militare già da tempo in attesa. Israele colpisce con un drone un palazzo, alla periferia di Beirut, e uccide Saleh al-Arouri, numero due della struttura militare del variegato esercito palestinese.
Arouri è un uomo molto importante, non solo sul piano militare, ma anche su quello diplomatico per le sue relazioni politiche con Hezbollah libanesi, con l’Iran. E la Turchia, anche per i suoi rapporti personali con Erdogan. Oggi, in un’operazione straordinaria che conferma i Servizi Segreti israeliani quali i più forti del mondo, con incredibile precisione e puntualità, uccide, in un raid davvero geometrico, addirittura Hismail Haniyed, capo politico di Hamas. Mai, in questa lunga guerra si era giunti a tanto. Mai che, nonostante volontà e tentativi, una delle due parti uccidesse il capo politico dei nemici. L’uccisione in un attentato di Sadat in Egitto, non era più neppure un ricordo. Oggi Israele vi è riuscita. E nella forma più grave che si potesse concepire. Haniyed viene colpito alle due di notte, poche ore dopo la partecipazione all’ insediamento del nuovo presidente iraniano. Viene ucciso in un un Paese non suo, che lo ospitava. Quel paese, cose da follia pura, é l’Iran, da sempre acerrimo nemico di Israele. L’Iran, che nega l’olocausto e la furia nazista contro gli ebrei, e proclama la guerra del feroce annientamento degli ebrei e la distruzione totale di Israele.
L’Iran, che solo pochi giorni prima, con l’ayatollah Ali Khamenei, capo supremo del paese, aveva lanciato un nuovo anatema contro Israele. Anatema. oggi diventato dichiarazione di guerra, grido potente di vendetta. Questa guerra non finirà mai. Non finirà mai quella in Ucraina. Come le altre dieci e più. Solo che quella che ha incendiato il Medio Oriente e che si allargherà a una parte dell’Africa, coinvolgerà sotto altri aspetti, ma più bellici però, gran parte del pianeta. La guerra mondiale, che Papa Francesco aveva intuito si facesse sempre più a piccoli fuochi, a pezzettini, da oggi sarà più che una minaccia. Più che un pericolo. La possibilità che un niente la possa globalmente armare, é proprio dietro l’angolo. È sempre più si avvicina al nostro Paese, quello dell’Europa il più esposto a ogni attacco. Le stesse analisi politologiche sull’esito delle elezioni americane, sono rese inutilizzate. Certo che il dramma e il pericolo si accrescerebbe se venisse eletto quel pazzo di Trump. Ma, per come si sono messe le cose, c’è da temere che gli Usa avranno comunque difficoltà a operare per la cessazione di almeno quest’ultimo conflitto. Per quello in Ucraina c’è poco da sperare che finisca se quell’altro pazzo, che siede sul trono del Cremlino. non si sarà abbuffato di morti e distruzione e di territori da portare in Russia come bottino della vittoria. E al mondo come simbolo di potenza temibile, con la quale tutti dovranno trattare se vorranno vivere tranquilli. Oggi la Pace è diventata il dolore della guerra. Il sangue che la copre, come l’acqua del temporale la terra fragile.
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