Franco Cimino: "La partita allo stadio, la festa dello sport e la città ritrovata"

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Franco Cimino
  22 maggio 2022 21:09

di FRANCO CIMINO 

Ho temuto di non poterci andare, per i biglietti quasi tutti venduti in solo ventiquattr’ore e quella fila lunghissima da fare davanti i molti punti vendita. È vero che non l’avrei meritato avendo io, come la stragrande maggioranza dei tifosi, abbandonato il Catanzaro e che dovrei un po’ arrossire, insieme a quelli di cui sopra, per il mio mio ritorno al Catanzaro che vince, e però ho sentito forte il bisogno di andarci e ci sono andato. Biglietto trovato, quello della tribuna centrale, il più caro nella scelta societaria dell’abbattimento dei costi. La regola di queste giornate cruciali è saggiamente confermata:” meglio uno stadio pieno che le casse ricche”.

Che, tra l’altro, significa esattamente l’opposto in tempi di magra…sportiva, e suona pressappoco così:” stadio vuoto, casse povere.” Quanto a me, rispondo alla morale che mi sono confezionato una vita fa. È questa: quando la Città chiama, io rispondo “presente”. Finora non ho mancato un solo appello. Cinema, teatri, negozi, fiere e manifestazioni sportive, mai disertati. La partita di ieri, sinceramente, aveva una forza di richiamo, addirittura, superiore. Vi era dentro un lunghissimo elenco di cose preziose per me. Le scorro, finché posso, in ordine: la mia fanciullezza allo stadio militare, settore distinti, con mio papà a tenermi per mano lungo la via, e sulle braccia quando vi era molto gente e i miei occhi non raggiungevano il verde magico campo; i miei miti tra i campioni da imitare quando giocavamo a Marina, sulla spiaggia o nel campo sterrato davanti alle palazzine, in costruzione, delle suore, o al fantastico “ orto del maresciallo”, il nostro Maracanà, dove hanno mosso i primi passi Totò Nisticó, Franco Riverso, Mario Scerra e altri promettenti ragazzi di quel tempo; prima indimenticabile promozione in serie A, che fece del Catanzaro la squadra della Calabria, la squadra fra le più amate in Italia, la più seguita fuori casa, la squadra che ha fatto sognare e riscattare dalle tante frustrazioni migliaia di emigrati e studenti calabresi, e quella che per un “ lungo momento” ha unito la Calabria, quasi per intero, e quasi politicamente.

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E, poi, i momenti della tristezza, della rabbia, della delusione, seguiti alle tante sconfitte e ai fallimenti di gestione. Agli abbandoni ripetuti, in quella separatezza via via cresciuta fra la squadra e la Città, il gonfalone e la bandiera degli stessi colori. Una tristezza aggiuntiva, che si è fatta dolore. Una discesa che ha accompagnato progressivamente quella della Città, a dimostrazione che non v’è impresa sportiva senza quella sociale. Insieme fanno l’impresa politica tra le più grandi. Ieri sono andato allo stadio con questi sentimenti ritrovati. E con alcuni ritrovati intendimenti. Il primo fra questi, la sintonia antica tra il Catanzaro e Catanzaro, la fusione del gonfalone e della bandiera, del grido sugli spalti e del canto nelle case, del tifo sfrenato e della preghiera nascosta, del sacrifico nel seguire la squadra e della fatica di sostenere la Città, della passione dei tifosi e della responsabilità del cittadino. Insomma, tutti i cuori in uno solo, tutti le bandiere e le sciarpe in una sola. Se non sarà una fiammata dovuta alla emotività “ calcistica”, possiamo sperare che questa unione ritorni. Più forte e orgogliosa del giallo e del rosso, dei tre colli e dell’aquila reale. Non è un caso che questa opportunità si verifichi nei due momenti in cui il Catanzaro, con la sfida dei play off e la Città con la sfida delle elezioni, stiano profondendo il massimo sforzo, nel rischio più alto, ché questa fase di passaggio è davvero quella “dell’ora o mai più”. La storia si incarica sempre di mettere la realtà nella condizione di rispondere a se stessa e ai fenomeni che la modificano. Vedere le strade a salire verso lo stadio strapiene di gente festosa e imbandierata, tante famiglie con i loro bambini e tante donne sorridenti, fare una fila lunghissima e ordinata davanti ai cancelli per entrare, è stato il primo spettacolo di vera bellezza catanzarese. Il secondo, l’ho visto negli spalti occupati fino all’inverosimile e quel tappeto enorme di bandiere che coloravano il mondo nuovo, il nostro, che si annunciava lì dentro. 

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Dodicimila, dicono, ma sembravamo il doppio. Tutti ordinati, composti, educati, da rendere ben visibile la rispettata pattuglia dei quattrocento tifosi pugliesi. E i canti e le canzoni riadattate e quel ritmo antico che risuona nel vento buono di Catanzaro. Eccolo:” Catanzaro vinci per noi! Facci un gol, dai facci un gol. Sempre con te, Aquile alè.” E tutti a cantare e a ballare. Anche il presidente in maglione blu, nonostante il freddo, sul terrazzo sotto la tribuna stampa e sopra i distinti. E la partita? Ah, la partita, perché c’era una partita? Quella che si è vista sul rettangolo era una festa, di giovinezza, di passione, di fedeltà. Allo sport. Al calcio. Ai nostri colori. Una festa aggiuntiva a quella vera. La grande festa di Catanzaro, la Città ritrovata, per il rilancio della quale-delle sue ambizione e delle sue enormi potenzialità-occorre la più ampia partecipazione dei catanzaresi alla vita politica. Questa notte ho sognato il sogno “ ritrovato” : novantamila catanzaresi che fanno il tifo, nelle fatiche a sostegno, per la Città, come i dodicimila di ieri hanno fatto per i giallorossi. Sarà magnifico, intanto, che il dodici giugno Città e squadra vincano insieme, il loro primo campionato.

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